“Il diritto di morire non può diventare la nuova frontiera dei diritti umani e scegliere la morte con dichiarazioni che possono precedere di molto tempo la potenziale incapacità non è una vera scelta responsabile“. Un concetto ribadito dall’associazione ProVita Onlus insieme ad alcuni parlamentari che stanno conducendo la battaglia in Parlamento per impedire “il varo di una legge eutanasica”.
La ProVita Onlus, nel corso di una conferenza stampa che si è tenuta giovedì 16 febbraio alla Camera, ha lanciato una petizione online e una campagna informativa per “raccontare ai cittadini “quello che realmente si sta tentando di introdurre in Italia”: una legge che, come spiega la deputata di Idea, Eugenia Roccella, “mette in conflitto la libertà del paziente con la professionalità del medico”. Per l’ex sottosegretario alla Salute del governo Berlusconi, questa legge “mina l’alleanza terapeutica e riduce il medico a mero esecutore. Il punto su cui ci siamo arrabbiati è il fatto che si sta tentando di contrarre il dibattito, nonostante su un tema così delicato come la vita e la morte delle persone debba prevalere il diritto a prendere tutto il tempo necessario per discuterne”.
L’incontro, che si è tenuto l’indomani della decisione di stringere i tempi della discussione del testo in commissione Affari Sociali per consegnarlo all’Aula entro il 27 febbraio, è stata l’occasione per la Onlus ProVita di dar voce ad alcune testimonianze di persone che si sono risvegliate da condizioni gravissime affrontando la malattia e le cure.
È il caso di Sylvie Menard, ricercatrice oncologica ed ex allieva del professor Umberto Veronesi, che era favorevole all’eutanasia e aveva persino redatto un testamento biologico, ma quando ha scoperto di avere un cancro inguaribile al midollo osseo, la sua prospettiva sulla vita e la morte è cambiata radicalmente: voleva vivere la sua vita fino in fondo e diventare una ferma oppositrice dell’eutanasia e del testamento biologico.
“Dal testamento biologico – spiega la ricercatrice – vorrei che venisse tolta la parola dignità perché non esiste alcuna malattia indegna da vivere. Il testamento biologico fatto da sano non ha senso perché nessuno può prevedere come si reagisce ad una malattia e io ne sono l’esperienza vivente: mai avrei creduto di essere pronta a vivere il dolore e a sottopormi a certe cure eppure è vita anche questa e anche la vita da malato terminale è un’esperienza”.
“Dire ‘se sono incosciente non voglio vivere’ – prosegue Menard – è pericoloso perché sull’incoscienza non sappiamo nulla. Abbiamo un milione di malati di Alzehimer di cui una buona parte li consideriamo incoscienti, che facciamo li ammazziamo tutti? Io credo che la dignità stia da un’altra parte. L’eutanasia è una malattia che vogliono quelli sani. I malati chiedono assistenza e aiuti e di questo dobbiamo occuparci”.
A raccontare la propria storia è stato anche Roberto Panella, anche lui entrato in coma dopo un incidente, che ha raccontato la sua lotta per la sopravvivenza e ribadito la dignità di ogni vita, anche quella che si trova in coma.
E’ intervenuto poi Max Tresoldi: la mamma, visibilmente commossa, ha raccontato come, dopo un gravissimo incidente, Max sia entrato in coma e poi in stato vegetativo, prima di risvegliarsi dopo dieci anni, contro il parere di medici e infermieri che continuavano a ripetere che “era inutile”. Il padre ha letto una lettera in cui, prima dell’incidente, Max aveva dichiarato di non voler vivere nell’ipotesi che si fosse trovato in uno stato di grave compromissione psicofisica ma, “da quando a Max è toccato vivere effettivamente questa esperienza, dimostra sempre una forte voglia di vivere e una grande felicità”.
Tutte queste testimonianze, ha sottolineato Toni Brandi, presidente di ProVita Onlus, “smentiscono i presupposti che stanno alla base delle DAT e dell’eutanasia, anche omissiva: che ci siano vite indegne di essere vissute; che una persona possa, da sano, sapere in anticipo il suo atteggiamento di fronte ad una grave malattia; che in coma e nello stato vegetativo non ci sia niente da fare e che il paziente sia come un corpo morto. Max, Roberto, Pietro, Sara e Sylvie ci dimostrano invece la dignità di ogni vita, il coraggio nascosto delle persone comuni davanti alla malattia, e il fatto che convenga sempre vivere fino in fondo la propria vita”.
Per questi motivi, come ha spiegato Toni Brandi, la petizione “No Eutanasia” ribadisce il “No alla vita come merce” perché “la verità è che dietro l’eutanasia ci sono egoismo, profitti e una mentalità eugenetica. Quando una persona non è più produttiva, o comporta una spesa soprattutto per lo Stato, o non viene più considerata degna di vivere, si vorrebbe procedere a dare la morte, magari anche sospendendo la nutrizione e l’idratazione”.
@PiccininDaniele