“Leggi come quella sul Testamento Biologico aprono all’eutanasia e quindi all’omicidio e a storie orribili e crudeli di persone uccise perché non servivano più”. A sostenerlo è Toni Brandi, presidente di ProVita Onlus, associazione da anni in prima fila nelle battaglie per la vita e la famiglia.
Presidente Brandi, il 27 febbraio arriverà in Aula il disegno di legge sul Testamento Biologico approvato in commissione Affari Sociali. Una legge che serve all’Italia per mettersi al passo degli altri Paesi europei che in materia di Fine Vita hanno da tempo una legislazione. Come giudica il testo su cui si sta lavorando?
“Non capisco la necessità di “mettersi al passo di altri paesi” poichè grandi Stati come la Spagna, l’Inghilterra e la Francia vietano l’eutanasia e il suicidio assistito. Negli Stati Uniti solo una manciata di Stati lo permettono e nel mondo la maggioranza delle nazioni considera eutanasia e suicidio assistito quello che sono: un omicidio. Aggiungo che si tratta del peggiore degli omicidi perché perpetrato su una persona debole, fragile e incapace di difendersi. Il testo presentato è molto pericoloso. Qualsiasi provvedimento in materia di dichiarazioni anticipate di trattamento dovrebbe almeno salvaguardare l’indisponibilità della Vita, rimanere coerente con gli articoli 275, 279 e 280 del codice penale , quelli che condannano l’omicidio, anche quello della persona consenziente. Inoltre occorrerebbe trattare idratazione e nutrizione come normali sostegni vitali e non considerarli come terapie che si possano rifiutare. Bisogna ribadire che i medici devono curare, e non divenire meri esecutori della volontà altrui procurando la morte con atti od omissioni e, infine, serve affermare che la vera soluzione per le persone malate è l’accompagnamento amorevole delle persone care e le cure palliative per alleviarne la sofferenza. Vi garantisco, e lo dico per esperienza diretta avendo una disabile in famiglia, che anche i disabili possono essere felici se circondati da cure e amore e possono trasmettere la loro gioia a coloro che gli sono vicini”.
In ordine cronologico il recente caso di Treviso e l’appello di Dj Fabo sono solo gli ultimi episodi saliti alla cronaca e spesso “sbandierati” come vessilli di una battaglia etica. Quello che per alcuni è “il diritto di scegliere” per voi è “eutanasia”, è così?
“Purtroppo si tratta della solita campagna ideologica di disinformazione. Nel caso di Treviso, ad esempio, non si è trattato di eutanasia. Dino Bettamin, che era arrivato alla fine naturale della sua vita, ha solo chiesto di essere accompagnato alla morte con sedativi”.
Entrando nel merito del Testamento Biologico uno dei punti più contestati è la possibilità da parte del paziente di rinunciare ad alimentazione e idratazione ritenute quindi come terapie e non come sostengono altri, sostegno vitale. Se ciò fosse possibile quale scenario ci troveremmo di fronte e in che modo i medici potrebbero veder garantita la loro dignità professionale?
“Innanzitutto mi permetto di insistere che idratazione o nutrizione sono sostegni vitali perché se si tolgono a una persona, malata o sana, la si uccide e in un modo molto crudele. Uno dei tanti problemi del Ddl è infatti costringere il medico a dimenticare il giuramento d’Ippocrate e il primo principio della sua professione “Primum non nocere”. In quei pochi Stati degli Usa che hanno legalizzato l’eutanasia vi sono molti casi davanti ai Tribunali, perché il medico non avrebbe rispettato la volontà del paziente o perché il dottore non avrebbe capito la vera volontà del suo assistito. Queste leggi aprono all’omicidio, a storie orribili e crudeli e a tanti problemi umani e legali. Poi, scegliere la morte con dichiarazioni che possono precedere di molto tempo la potenziale incapacità, non è una vera scelta responsabile. Un esempio fra tanti, il professor Fernando Mirarchi, medico d’emergenza della Pennsylvania, è stato chiamato nel mezzo della notte a soccorrere un paziente perché lo stesso, prima di perder coscienza, aveva suonato il campanello d’emergenza alcune volte. Mirarchi arriva in ospedale per rianimarlo, ma viene bloccato fisicamente dall’infermiera e dal capo sala perché era un paziente DNR (do not resuscitate, da non rianimare). Il paziente muore. Tuttavia quale era la sua volontà? Quella astratta, di non voler essere rianimato, scritta anni prima, o quella che lo ha spinto a chiedere aiuto per vivere, suonando il campanello?”.
In molti si chiedono come possa valere una dichiarazione data in condizioni psico fisiche di salute. La malattia può stravolgere tutto, in ogni senso…
“Esattamente. Io stesso ho voluto la morte in due periodi particolarmente difficili della mia vita, nel 1993 a Praga e nel 2013 a Roma. Se qualcuno mi avesse detto “non ti preoccupare Toni fra 5 minuti non avrai più problemi” io avrei certamente accettato. Nei mesi seguenti quando tutto si era sistemato, mi sono spaventato dell’assurdità del mio precedente pensiero. L’umanità ha commesso suicidi, omicidi, furti per millenni, ma non per questo possiamo legalizzare l’omicidio o il suicidio o il furto”.
Resta, tuttavia, il principio dell’autodeterminazione e l’equilibrio complesso da trovare con l’alleanza terapeutica. Ma non sarebbe meglio investire sull’assistenza e sulle cure palliative invece di “scaricare” il dramma del fine vita sull’individuo e sui suoi familiari, spesso abbandonati a sé stessi?
“L’eutanasia pregiudica lo sviluppo delle terapie palliative, come ha denunciato Elst Borst in Olanda precedentemente fautrice della legge sull’eutanasia”.
Pochi giorni fa l’associazione Luca Coscioni ha lanciato una “Carta dei Medici” che chiede di specificare nella proposta di legge in oggetto la possibilità per il medico, su richiesta del paziente, di operare una sedazione palliativa profonda continua con sospensione delle terapie, in modo da accompagnare il paziente a morire senza soffrire. Cosa ne pensa?
La solita neo lingua per confondere. L’eutanasia è provocare direttamente la morte di un individuo con atti o omissioni, lasciandolo morire senza cibo e idratazione come nel caso di Eluana Englaro. La “sedazione palliativa profonda con sospensione delle terapie” significa o una eutanasia omissiva mascherata dai sedativi, oppure una eutanasia attiva per somministrazione massiccia di sedativi orientata a provocare la morte. Quando il malato è arrivato alla fine della sua vita naturale va aiutato e accompagnato con cure palliative e sostegni vitali fino alla morte naturale. Dietro l’eutanasia non vi è compassione o “morte dignitosa”. La vera compassione rende solidali con il dolore altrui e non sopprime colui del quale non si può sopportare la sofferenza. Al contrario dietro l’eutanasia vi è tanto egoismo, molti profitti per le cliniche e risparmi per le assicurazioni e i sistemi sanitari nazionali e soprattutto una mentalità eugenetica per cui chi non produce o è di peso, va eliminato”.
Come ProVita Onlus avete lanciato una petizione contro una legge che, a vostro modo di vedere, apre all’Eutanasia e avete raccontato molte storie di persone sopravvissute a gravi malattie che dovrebbero indurre a maggior cautela quando si vuole affrontare il tema della vita e della morte delle persone. Cosa si sente di dire alle tantissime persone che invece, nella lotta per rimanere in vita, chiedono di farla finita?
“Tantissime? Comunque gli mostrerei affetto, amore e gli starei vicino per aiutarle e incoraggiarle e mi assicurerei che ricevano le migliori cure palliative. Gli esseri umani amano vivere. La vita è il primo dei diritti umani. Siamo tutti fisicamente capaci di suicidarci, l’umanità lo ha fatto da millenni, ma non per questo si può legalizzare e promuovere il suicidio come avviene in paesi come l’Olanda, il Canada e il Belgio. Ovunque è stata legalizzata l’eutanasia, la morte in brevissimo tempo ha dilagato: i paletti posti dalle leggi sono saltati, vi sono abusi, vengono uccise persone che non hanno dato il consenso, a volte anche senza avvisare i parenti. In Olanda, per fare un esempio, una donna anziana che non voleva morire, ma che soffriva di demenza senile, è stata uccisa dopo che le sono state somministrate delle droghe. In Canada una signora terrorizzata dall’eutanasia, Christine Nagel, si è fatta un tatuaggio sulla spalla “do not euthanize me”. E poi il caso di Jay Hendry in America: per 17 volte hanno invitato la moglie a praticare l’eutanasia al marito: la lesione cerebrale era troppo grave, irreversibile. Ora vive, gioca con i figli ed è felice perché è amato. In California, Stephanie Packer, sposata e madre di quattro figli, ha una forma terminale di sclerodermia. Inizialmente l’assicurazione sanitaria le forniva la chemioterapia. Ma poco dopo l’approvazione della legge sul suicidio assistito della California ha ricevuto una lettera per posta che comunicava la cessazione della copertura assicurativa del farmaco. Viceversa per le pillole per suicidarsi, la malata avrebbe dovuto sborsare solo 1 dollaro e 20 cent: il resto del costo del veleno sarebbe stato coperto dall’assicurazione. Anche nell’Oregon alcuni anni fa a Barbara Wagner e Randy Stroup è accaduta la stessa cosa: sono state negate le cure mediche, ma gli è stato offerta l’eutanasia. D’altronde nella conferenza stampa del 16 febbraio scorso alla Camera abbiamo assistito alle testimonianze di Max Tresoldi, Sara Virgilio, Roberto Panella e il fratello di Salvatore Crisafulli che sono caduti in coma profondo, sono sopravvissuti, ora vivono e vogliono vivere”.
@PiccininDaniele