Il rapporto tra medico e paziente è da sempre un tasto importante della sanità pubblica e privata. Le evoluzioni e i cambiamenti degli ultimi anni hanno cambiato, delle volte, in maniera radicale la percezione che i cittadini hanno rispetto alla salute e al volersi far curare. L’avvento del web, quasi sempre, ha portato le persone a porsi rispetto alla diagnosi in maniera convinta e poco professionale. Di questo e di altro ha parlato a Ofcs.Report, il sociologo, professore ordinario di Sociologia all’università Sapienza, Paolo De Nardis, che interverrà domani al convegno ‘La patologia del rapporto terapeutico. Relazione e conflitto tra paziente e operatori della salute’ presso la Sapienza a Roma.
Professor De Nardis, domani interverrà al convegno alla Sapienza dove si tratterà il tema del rapporto terapeutico e della relazione che vi è tra il paziente e il medico.
Lei in che modo crede che sia cambiato il rapporto medico paziente?
“Il rapporto medico paziente è una tormentata storia, nel senso che storicamente è un rapporto fortemente asimmetrico,un rapporto che addirittura risale alle origini della stregoneria, il medico-stregone. Dopo di che, dopo un’acculturazione che c’è stata da parte del paziente medio, il rapporto è diventato più simmetrico, più dialogico e più argomentativo. Il medico ha cominciato lui stesso a sentire il bisogno di poter comunicare, e spiegare al paziente la diagnosi e l’eventuale terapia. Tanto a livello medico quanto a livello chirurgico. Per cui il paziente ora può interagire con una collaborazione maggiore. Purtroppo, ultimamente un certo livello di causicità da parte dei pazienti ha incrinato il rapporto perché evidentemente quel principio della fiducia è caduto”.
Ritiene che l’avvento del web, e il suo uso a volte irresponsabile, abbia contribuito ad un cambiamento radicale nel rapporto tra medico e paziente?
“Indubbiamente sì. Il web potrebbe essere un formidabile strumento che potrebbe arricchire di molto la ‘cassetta degli attrezzi’ di un ex tormentato rapporto comunicativo. L’uso del web, in effetti, potrebbe facilitare, incoraggiare l’attitudine ad un rapporto più immediato, più franco. Ma di fatto quando l’uso del web diviene mastodonticamente invasivo rispetto a un rapporto dove si perde il contatto umano la relazione al di là del web, rischia di diventare qualcosa di pernicioso, qualcosa di falsato rispetto al vecchio rapporto che si era, negli ultimi decenni, stabilito tra nuovo medico e nuovo paziente. A questo si aggiunga pure che, soprattutto in Italia, siamo di fronte ancora ad una frattura digitale molto forte, per cui si rischia in qualche modo nell’accentuare il web, di creare pazienti di serie A e di serie B. In genere i secondi sono i meno abbienti”.
Lei pensa che dopo la crisi economica del 2008 sia cambiata la percezione che i cittadini hanno nei confronti delle Istituzioni e in maniera collaterale anche verso le strutture sanitarie/ medici?
“Sì, senz’altro è cambiata la percezione perché è cambiata tutta la percezione dello stato sociale, del welfare. Noi avevamo negli anni ’70 un welfare che era l’invidia di molti Stati occidentali.
Noi, fino a 15 anni fa, avevamo una sanità pubblica, sia pure modulata diversamente a livello territoriale, invidiata. Forse più efficiente al nord e al centro rispetto al sud. Ma anche al sud, soprattutto per quanto riguarda l’assistenza domiciliare nelle malattie acute, croniche, funzionava bene ( secondo ricerche pubbliche). All’improvviso questo non c’è stato più. Da un lato l’eccessivo uso e abuso del welfare da parte della cittadinanza, che forse ha vissuto in maniera troppo assistenzialista, soprattutto dal punto di vista della sanità. Dall’altro perché la spesa pubblica e la crisi fiscale dello Stato faceva i conti soltanto su quanti potevano pagare le tasse e quindi sappiamo che ancora adesso è solo il 30% della popolazione”.
Ci sono differenze tra Regioni del nord, centro e sud nel rapporto tra paziente e medico?
“Nel rapporto iniziale no, perché lo stesso standard di cortesia lo possiamo trovare un po’ dappertutto. Però se i costi della sanità nel meridione sono costi da predoni rispetto a quelli al nord. Di fatto, al di là di quello che può essere il rapporto superficiale e comunicativo, al sud si viene trattati male. Perché evidentemente i costi sono maggiori, il tasso di efficienza non è lo stesso, è evidente che ancora entrare in un ospedale al sud sia qualcosa di diverso rispetto a uno del nord. Non solo, quando questo si abbina e si incrocia anche con differenza di classe sociale, di status, il prodotto di questa moltiplicazione crea uno iato dal punto di vista delle disuguaglianze e diventa incolmabile tanto da sembrare di stare in Paesi diversi”.
Invece ritiene ci siano differenze tra l’Italia e il resto dell’Europa?
“Purtroppo credo di sì. Ricerche ci hanno dimostrato che la situazione europea non è la stessa italiana. Anche in Italia ci può esser una situazione più europea. Ma la struttura stessa geografica e geopolitica del Paese, le politiche pubbliche sulla sanità e soprattutto il modo di viverle, comportano un modo borbonico di gestire le cose, anche dal punto di vista burocratico e di quella che può essere una fonte di corruzione rispetto a un modo più ‘scandinavo’. Non voglio generalizzare perché gli scandali possiamo trovarli anche in nord Europa, però il trend mi fa pensare a questo”.
Crede che in qualche modo il rapporto con il medico sia cambiato anche per le politiche sociali che si sono instaurate negli ultimi 10 anni?
“All’inizio di questo decennio, proprio nel libro che ha pubblicato Ranieri De Maria sull’alleanza terapeutica la nuova negoziazione della salute, ci faceva ben sperare perché l’inizio del decennio chiudeva un periodo di transazione. Negli ultimi dieci anni, a fronte di questo calo di efficienza pubblico amministrativa e quindi anche della sanità pubblica, rispetto a quella che è stata la crisi economica attraverso un processo di pauperizzazione dei ceti medi, credo che quell’ottimismo, quello che si vedeva 10 anni fa, si sia deteriorato. Soprattuto se si pensa all’americanizzazione che c’è stata che, invece di creare un principio di efficienza, da un lato tende a privatizzare di più e quindi chi può pagarsi un’assicurazione, dall’altro tende a far preoccupare di più i medici visto l’atteggiamento dei pazienti. Il rapporto tra i medici e gli altri diventa molto più complesso e se prima il medico poteva essere una classe in qualche modo sotto l’aurea della santificazione, oggi viene visto come il contraquem possibile in sede giudiziaria”.
Che tipo di ulteriore evoluzione prevede nei prossimi 10 anni nel rapporto terapeutico tra paziente e medico?
“Non vorrei essere pessimista, ma nel momento in cui il martellamento nei riguardi di tutto ciò che è pubblico continua in maniera così incessante, e non ci si rende conto che bisogna agire a un livello di produzione, ho paura che per la sanità pubblica, previdenza pubblica, e istruzione pubblica, il futuro non sia del tutto roseo. Stiamo raschiando il barile, abbiamo toccato il fondo dopo 10 anni, ma forse proprio per questo o prendiamo in mano le riforme facendo delle politiche strutturali necessarie oppure non vedo alternative al deterioramento”.