Dottor Meluzzi, è vero il luogo comune che molti usano spesso, chi dice di volersi uccidere alla fine non lo fa?
“No, non è vero, assolutamente. Non si può generalizzare, ci sono persone che non dicono di ammazzarsi e lo fanno, ci sono persone che dicono di farlo e non lo fanno e poi persone che dicono che lo fanno e poi non lo fanno. Dipende dal tipo di patologia, situazione, contesto, personalità e dalla fascia d’età. Il picco di suicidi è soprattutto nel genere maschile nell’età tardo adolescenziale e nell’ età senile”.
Esistono delle motivazioni che possono accumunare i vari casi di suicidio?
“La motivazione è la patologia depressiva, quando parliamo in particolare del maschio adulto. Nella patologia depressiva i comportamenti autolesivi fanno parte dei sintomi cardine. Nell’adolescenza i cosiddetti tentativi pseudo suicidari di tipo dimostrativo sono sicuramente più frequenti”.
Come si possono aiutare le persone che soffrono di disturbi autolesivi?
“In genere un’affermazione del genere (dire a qualcuno o esprimere l’intenzione di suicidarsi) ha in sè un contenuto di richiesta di aiuto, sia che sia vero o pseudo vero. E l’aiuto va differenziato situazione per situazione. Nell’anziano pesano le condizioni di salute, marginalità, povertà morale e materiale, ma anche la solitudine. Nell’adolescente c’è una problematica più di tipo relazionale spesso legata a vicende sentimentali. Parliamo di sensazioni di scoramento o con sensazioni di mancanza di reti di relazioni efficaci di ogni genere. Chiaramente una crisi di prospettive reali è più elevato nell’anziano, mentre nel giovane ci sono apparentemente molte prospettive ma è fondamentale costruire una dinamica di senso. Il problema dell’anziano è la paura di perdere se stessi di fronte alla morte. Nel giovane c’è un problema di indifinitezza a cui bisogna dare una risposta anche attraverso percorsi educativi, sociali e simbolici che sono inadeguati nella nostra società cosi povera di riti di passaggio.
In uno studio appena pubblicato su Psycological Medicine risulta che il 44,5% dei soggetti aveva comunicato l’intenzione di morire attraverso affermazioni verbali o lasciando messaggi scritti. E’ sempre così?
“Queste comunicazioni non sono sempre dirette e esplicite, alcune possono essere larvate, a volte da una battuta su Facebook, a volte una confidenza a un amico, espressioni dimostrative di vario genere che sono caratterizzate da una richiesta di aiuto”.
Che tipo di prevenzione si può fare?
“Tutto è unificato da una sola parola: ascolto, ascolto competente ed efficace. Capace di tradursi in fatti concreti”.
Tra le cause di suicidio, che ruolo ha il bullismo giovanile?
“Il bullismo è un fattore di disadattamento che colpisce l’immagine di sè, la stigmatizza. Ci sono stati molti casi che avevano avuto una risonanza sui network e quindi tale da produrre un’umiliazione profonda, come quella ragazzina di 14 anni a Novara, in cui lo sputtanamento, l’orrore di essere derisa, le aveva reso la vita insopportabile. Quindi direi che il bullismo mediatico un fattore di rischio importante”.