Indi Gregory come Charlie Gard, bambino britannico a cui venne diagnosticata nel 2016, a un mese dalla nascita, la rara Sindrome da deplezione del DNA mitocondriale. Ricoverato al Great Ormone Hospital di Londra, il bambino fu mantenuto in vita per dieci mesi attraverso macchinari necessari a farlo respirare e nutrire. Come i genitori di Indi, i genitori di Charlie, disperati, cercarono di portarlo fuori dal Paese, negli USA, per farlo curare in modo palliativo ma i medici dell’ospedale si opposero, proteggendo con fermezza gli interessi del paziente neonato che avrebbe continuato a soffrire moltissimo.
La vicenda fini nei tribunali britannici che in primo grado, in appello e infine davanti la corte suprema, diedero sempre ragione ai medici considerando la malattia del piccolo Charlie incurabile e spietata. Per porre la parola fine, anche la Corte europea dei diritti dell’uomo respinse l’appello dei genitori di Charlie che, come quelli di Indi, chiesero di portare il bimbo a casa, ma i medici riuscirono a lasciarlo in ospedale dove dolcemente fu accompagnato oltre.
Un padre e una madre, quelli di Charlie come quelli di Indi come quelli di tanti bimbi affetti dalle cosiddette malattie orfane, malattie rare che richiedono studi, ricerche, metanalisi, prove sperimentali, denari. Malattie lasciate indietro perché colpiscono lo 0,05 per cento della popolazione, a volte meno.
Cos’è la Sindrome da deplezione del DNA mitocondriale
Sono tre le forme principali di Sindrome da deplezione del DNA mitocondriale: miopatia, che colpisce l’apparato scheletrico, epatopatia che colpisce il fegato ed encefalomiopatia che interessa muscoli e cervello. La piccola Indi presentava quest’ultima.
Tale sindrome è causata dalle mutazioni di diversi geni: il TK2 nella forma miopatica, il SUCLA2 nella forma encefalomiopatica e i DGUOK, POLG e MPV17 per quella epatopatica. I mitocondri, fonte energetica dell’organismo, vengono attaccati e questo comporta una sintomatologia diffusa e dolorosa che spazia dalla debolezza muscolare all’ipotonia, a ritardo nello sviluppo, a difficoltà ad alimentarsi, a problemi di accrescimento, alla neuropatia periferica, all’ acidosi lattica neonatale letale associata ad aciduria metilmalonica, atassia spastica, sindrome di Alpers (cerebro -epatopatia rara e grave).
Con il progredire della patologia solo i macchinari riescono a tenere in vita il paziente in quanto la sindrome da deplezione del DNA mitocondriale è una patologia incurabile.
Cure attuali
A oggi non vi sono cure se non per tenere a bada i sintomi. Nel particolare, la terapia costosissima e palliativa per eccellenza è la “Nucleoside bypass” che non ha dato risultati utili in bimbi che versano in condizioni gravi come era Charlie e Indi.
La coscienza freme quando accadono vicende di questo tipo, poiché possono accadere a ciascuno di noi. Allora ci si chiede che cosa sia meglio fare, dove sia la ragione, dove sia la speranza. I genitori di Charlie lo avrebbero lasciato vivere in quel modo per sempre? Augurandogli una vita limitata e dolorosa, legata a macchinari, operazioni chirurgiche, complicazioni a polmoni, fegato, reni, cervello? Non possiamo giudicare l’amore di un padre e di una madre. La scienza con lucidità e raziocinio ha il compito di mostrare la strada più logica, meno crudele, ponendo al centro dell’attenzione il bene del paziente.
Indi Gregory non ce l’ha fatta
Ma quando questo ‘bene’ è la morte e l’opinione pubblica si schiera a favore della vita, perché ci è stato insegnato che la cosa peggiore è proprio la morte, la fine di tutto per chi non ha fede.
Allora il dibattito continua tra una giustizia tenace e drammatica che genera una ingiustizia, per molti, ingiustificata e disumana. Dove finisce la cura e dove inizia l’accanimento terapeutico? L’introduzione della magistratura è un limite ai diritti personalissimi dell’uomo? La vita va sempre preservata. Ma aver lasciato andare oltre Indy potrebbe essere un segno di clemenza, di pietà, di bontà per sottrarla a un dolore terribile.
Oggi Indy non ce l’ha fatta. Ma bambini come lei e Charlie non devono essere dimenticati, devono anzi spronarci a mantenere viva la speranza affinché studi genetici attraverso supporti, finanziamenti e ricerche, facciano in modo che le malattie orfane non lo siano più.
***Foto in evidenza credits profilo Facebook Simone Pillon