Se in Italia il #FertilityDay non ha avuto gli esiti sperati un altro movimento nato in America e in Gran Bretagna sta prendendo sempre più piede nel nostro paese: si chiama Childfree e raccoglie intorno a se tutte quelle coppie o persone che decidono consapevolmente di non procreare. Attenzione, non è un’associazione che ha un vero e proprio coordinatore, ma è più che altro una corrente di pensiero. Molte donne infatti dichiarano schiettamente di non volere figli. Sia per un senso di inadeguatezza che per la paura di sentirsi schiacciate da responsabilità a cui non sanno se riuscirebbero a far fronte. Molte dichiarano che prima vogliono realizzarsi sul lavoro e puntare su loro stesse. Libere dal ruolo imposto dalle convenzioni che le vuole mogli, madri e anche brave lavoratrici. Sul sito Childfree.net ad esempio si può leggere pubblicata in home page la presentazione del movimento: “Siamo un gruppo di adulti che condividono almeno un desiderio: non vogliamo avere figli. Siamo un gruppo di insegnanti, dottori, imprenditori, autori, esperti di computer. Scegliamo di chiamarci childfree piuttosto che childless perché sentiamo che quest’ultimo termine implichi la mancanza di qualcosa che desideriamo, e non è così. Ci consideriamo ChildFree: liberi dalla perdita di libertà personale, soldi, tempo ed energie che avere un figlio richiede”.
Sono in molti ad aderire a questo movimento, soprattutto negli Stati Uniti. Tanto che nel 2013 il magazine “Time” gli dedicò addirittura una copertina, puntando i riflettori su questa nuova generazione non solo di donne, ma di coppie che sceglievano per sé altro rispetto al matrimonio e ai figli.
Ma se in America e Gran Bretagna questo tipo di scelta viene tutto sommato accettata dall’opinione pubblica senza critiche, in Europa e soprattutto in Italia la società non vede ancora di buon occhio una coppia senza figli. Eppure in molti casi la rinuncia alla prole è quasi una scelta “altruistica”. In molti, infatti, non possono permettersi le spese che seguono alla nascita di un figlio e in certe situazioni, non rare in Italia, tra i coniugi solo uno di solito lavora, l’uomo. In molti affermano che preferiscono non far passare quello che hanno passato loro, vivere in ristrettezze economiche e non permettersi magari neanche di poter frequentare l’università o un semplice corso di studi.
Tantissimi i profili facebook come questo https://www.facebook.com/childfreeitalia/?fref=ts dove sulle informazioni campeggia questo messaggio chiaro e diretto:
La prima pagina interamente italiana dedicata alla filosofia di vita CHILDFREE. La pagina nasce allo scopo di riunire tutti coloro che non sentono il bisogno di procreare.
Ecco il regolamento: “Questa pagina esiste per far si che chi, come noi, non desidera procreare possa avere uno spazio dove parlare, sfogarsi, esprimere le proprie opinioni e affrontare temi inerenti a questa filosofia di vita. Essere “childfree” significa non volere figli, non sentire il bisogno di riprodursi, non avere istinto materno/paterno o semplicemente non amare i bambini. Significa vedere la propria realizzazione personale in altre cose: lavoro, passioni, viaggi e tutto quel che volete voi.
QUESTA NON E’ UNA PAGINA DI ODIO VERSO NESSUNO. QUI NON ODIAMO I BAMBINI, NON ODIAMO LE FAMIGLIE, NON ODIAMO NESSUNO!!
Chi decide di aderire a questa pagina, lo fa per confrontarsi con persone che la pensano come lui/lei. Essere childfree non significa voler obbligare l’umanità a non procreare. Significa essenzialmente sentirsi liberi di non volere figli. Chiunque posterà frasi offensive, ingiuriose o minacciose verso chi, per libera scelta, ha deciso di procreare, verrà bannato, per il semplice motivo che, come noi esigiamo il rispetto della nostra libera scelta di non avere figli, si pretende il rispetto verso chi, pensandola diversamente da noi, di figli ne vuole.
I primi a non volere bambini siamo noi ma non per questo approviamo violenza e abusi su di loro, al contrario, la cosa ci fa inorridire e la consideriamo la più vile e inconcepibile forma di aberrazione. Non ne vogliamo mettere al mondo, tutto qua, ma non desideriamo la loro sofferenza. Voi si? Bene, allora fuori da qui, ci sono pagine più adatte a voi.
Il discorso vale anche per voi, genitori convinti che la scelta giusta sia solo la vostra. Non venite a giudicare, insultare e rompere. Noi non ce l’abbiamo nè con voi nè coi vostri figli, rispettiamo le scelte di tutti. Rispettateci.
NON TOLLERIAMO RAZZISMO, OMOFOBIA O BIGOTTISMO DI NESSUN TIPO.
Detto questo, BENVENUTI/E”.
Un messaggio chiaro e forte e di sicuro privo di ipocrisie. Ipocrisie che molte volte è la stessa società a far affiorare, puntando il dito contro chi, per scelta o esigenza, non si allinea con essa.
Sarà anche per questo nuovo modo di pensare che la campagna del Fertility Day ha generato una sequenza incessante di polemiche e insulti? Di certo, e non ci sono dubbi la campagna del Fertility Day promossa dal ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, è “abortita” sul nascere. Questo nonostante abbia riscosso molta attenzione da parte dell’opinione pubblica e delle dirette interessate: le donne. Peccato, però, che il clamore sia arrivato in maniera a dir poco negativa. A partire da alcuni slogan: «La bellezza è per sempre, la fertilità no»; «I giorni fertili: quando farlo?», che sembravano più dei moniti che consigli verso le donne e hanno scatenato un vero putiferio.
Le donne e non solo hanno cominciato a manifestare da subito il loro dissenso attraverso i social, affermando che il motivo principale per cui non possono permettersi il lusso di rimanere incinte è quello economico. Per non parlare poi del dissenso verso la pruriginosa retorica dello slogan: “ La fertilità è un bene comune” che richiama sotto alcuni aspetti a quella del Ventennio. A dimostrare la loro contrarietà anche molti nomi noti del giornalismo, della politica e persino dei sindacati, come il segretario nazionale della Cgil, Susanna Camusso, che ha affermato: “La campagna sulla fertilità l’ho trovata offensiva. Io credo che innanzi tutto c’è un tema che si chiama libertà delle persone. La gente deve avere la libertà di scegliere“.
Roberto Saviano ha replicato attraverso un tweet: “Il #fertilityday è un insulto a tutti: a chi non riesce a procreare e a chi vorrebbe ma non ha lavoro”. In una nota congiunta invece le parlamentari M5S di Camera e Senato hanno affermato: “Se non fosse drammatico ci sarebbe da ridere. Non è che rinunciare a diventare genitori sia una moda da scoraggiare o una consuetudine capricciosa. Non si fanno figli perché non si può”.
La senatrice, Paola Taverna invece, ha postato e aggiunto sul suo profilo Facebook:“Il vostro Fertility day dovreste ribattezzarlo Hypocrisy day. Quella è l’unica dicitura che non vi verrebbe tacciata come milionesima bugia”. La Sinistra italiana ha commentato brevemente: “Il governo prima pensi a disoccupazione e precariato giovanile”.
Polemiche a parte, se da un lato si comprendono le buone intenzioni del ministro Lorenzin di informare e divulgare i principi della prevenzione, dall’altro non si comprende, dopo aver speso per questa campagna già 28.000 euro, la necessità di farne un’altra. Intervenendo su La7 qualche giorno fa ha affermato, rispondendo alle varie polemiche, che chi l’ha creata la rifarà gratis e a costo zero. Che dire, speriamo. Nel bene e nel male comunque questa campagna ideata dal ministero della Salute ha fatto intendere come in Italia questo argomento sia non solo molto delicato, ma anche molto sentito.
LA MATERNITA’
Le difficoltà per le donne infatti, pur trovandoci nel XXI secolo, non sono poi molto cambiate. Ci si ritrova sempre a fare il doppio, a dimenarsi fra l’amletica scelta: figli o carriera. Alcune optano per la prima scelta, altre invece scelgono di realizzarsi attraverso la carriera piuttosto che delimitare la propria esistenza in una vita familiare. Ma non per egoismo o superficialità, ma per sopravvivenza. Conciliare infatti vita lavorativa e vita privata non è così semplice. Seppur alcune aziende in Italia hanno provveduto a mettere in atto dei programmi per agevolare le dipendenti con figli, di strada da fare ce ne è ancora tanta.
Le donne che lavorano sono il 46,8% contro il 64,6% degli uomini. Il 30% di esse molte volte interrompe la sua ascesa lavorativa per motivi familiari e solo 4 su 10 riprendono l’attività dopo la gravidanza. Ma c’è anche chi di figli proprio non vuole averne per propria scelta e basta.
I DATI SULLA PROCREAZIONE IN ITALIA
Ma andiamo a vedere nel dettaglio la situazione in Italia in fatto di procreazione e i problemi inerenti alla fertilità delle donne e uomini nel nostro Paese. Secondo gli ultimi dati Istat, Al 1° gennaio 2016 nel 2015 le nascite sono state 488 mila (-15 mila), nuovo minimo storico dall’Unità d’Italia. Il 2015 è il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità, giunta a 1,35 figli per donna. L’età media delle madri al parto sale a 31,6 anni. Previsioni demografiche per l’anno 2050? Ci saranno 262.8 anziani ogni 100 giovani. Nel 2011 i giovani si attestavano su un numero di 147.
I dati raccolti dal tavolo consultivo istituito presso il Ministero della Salute, confermano una spiccata denatalità. Nel nostro Paese infatti solo 1,39 figli per donna. Nemmeno il prolifico Sud fa più eccezione. E per paradosso a fare figli nel Centro Nord sono soprattutto le donne straniere. In Italia la bassa soglia di sostituzione nella popolazione non consente di fornire un ricambio generazionale. Il valore di 1,39 figli per donna, nel 2013, colloca il nostro Paese tra gli Stati europei con i più bassi livelli. Questo determina un progressivo invecchiamento della popolazione. La combinazione tra la persistente denatalità ed il progressivo aumento della longevità conducono a stimare che, nel 2050, la popolazione inattiva sarà in misura pari all’84% di quella attiva. L’Istat ha stimato nel 2013 circa 64.000 bambini nati in meno negli ultimi 5 anni.
L’analisi del fenomeno della denatalità nel nostro Paese evidenzia delle differenze territoriali, in quanto l’andamento delle nascite nelle tre aree geografiche – Nord (ovest ed est) Centro e Mezzogiorno (sud e isole) – ha avuto dinamiche diverse. All’inizio degli anni ‘80 solo il Mezzogiorno era contraddistinto da un tasso di fecondità totale maggiore di 2 nati per donna. Gli ultimi 20 anni sono stati caratterizzati da una inversione della geografia della fecondità: le regioni del Centro-Nord hanno raggiunto e superato quelle meridionali, interessate da un costante percorso di declino. Questa inversione è il risultato delle nascite nella popolazione straniera: una maggiore concentrazione della presenza di immigrati nel Nord, unita ad una più elevata fecondità degli stranieri, rappresentano una spiegazione del divario attualmente esistente; nel Nord il numero di nati da madri non italiane è pari al 28%, nel Centro si attesta al 23%, mentre nel Mezzogiorno non giunge nemmeno all’8%.
Ma c’è chi, pur volendo, di figli non riesce ad averne. Una coppia su 5 in Italia ha infatti problemi di infertilità. Vediamo insieme i dettagli e le cause di questa patologia:
Fonte: Ministero della Salute, “Tavolo consultivo in materia di tutela e conoscenza della fertilità e prevenzione delle cause di infertilità” per il piano nazionale per la fertilità
– Su 10 coppie il 20% circa (1 su 5 ) ha difficoltà a procreare per vie naturali 20 anni fa la percentuale era circa la metà;
– Circa 40% delle cause di infertilità riguardano prevalentemente la componente femminile, l’altro 40% riguarda la componente maschile ed un 20%invece è di natura mista;
– Negli ultimi 50 anni il numero di spermatozoi nel maschio si è ridotto della metà;
– Negli ultimi 30 anni l’età media al concepimento in ambo i sessi è aumentata di quasi 10 anni, sia per l’uomo che per la donna;
– Nei primi 10 anni di vita le patologie maschili che più danneggiano la fertilità sono il criptorchidismo (ritenzione testicolare), le orchiti e la torsione del funicolo spermatico;
– Nel periodo puberale (12-14 anni) le patologie maschili che più danneggiano la fertilità sono problemi ormonali e il varicocele che prosegue a danneggiare la fertilità per tutta la vita;
– Dai 14 ai 20 le patologie maschili che più danneggiano la fertilità sono le infezioni genitali e gli stili di vita alterati;
– Dai 20 ai 40 potrebbero manifestarsi anche problemi più o meno gravi di sessualità, specie nel maschio;
– Nella donna fra i 10 e i 15 anni le patologie femminili che più danneggiano la fertilità sono i disturbi del comportamento alimentare e le infezioni genitali oltre alle alterazioni ormonali;
– Nella donna fra i 15 e i 20 anni le patologie femminili che più danneggiano la fertilità sono le infezioni e gli alterati stili di vita e le patologie più frequenti sono i disturbi dell’ovulazione spesso conseguenti ad eccesso o difetto ponderale;
– Nella donna fra i 20 e i 40 anni le patologie femminili che più danneggiano la fertilità sono i disturbi ovulatori, l’ovaio policistico, le infezioni genitali, i fibromi.
Molte coppie comunque non desistono e cercano aiuto nella PMA, ovvero in tutte quelle tecniche di Procreazione Medicalmente Assistita che possono facilitare ed eventualmente risolvere alcuni fattori meccanici o non di sterilità.
L’età della donna è comunque uno dei fattori principali che più riduce la possibilità di avere un bambino. I tassi di successo per madri over 40 sono uguali o inferiori al 10-15% a seconda delle casistiche, e diventano trascurabili dopo i 43 aa mentre sono superiori se si ricorre alla donazione di ovociti derivati da donne più giovani. Nelle tecniche di I livello (11.5% nascita per paziente), nelle pazienti con età inferiore ai 34 anni la probabilità di ottenere una gravidanza è del 13,3%; nelle pazienti con più di 42 anni la percentuale scende al 2,6%. Nelle tecniche di II e III livello (18.0% nascita per paziente), nelle pazienti con età inferiore ai 34 anni la percentuale di gravidanza sui prelievi (tecniche a fresco) è del 30,8% e scende fino al 5,7% nelle pazienti con età superiore a 43 anni.
Per chi poi non riesce neanche così c’è che pensa all’adozione, ma in molti vi rinunciato causa gli ostacoli e le lungaggini burocratiche.
Quindi ritornando alla campagna promossa dal ministero della Salute, magari bisognerebbe chiedersi come mai l’Italia è il terzultimo Paese europeo per numero di donne occupate, davanti solo alla Grecia e alla Macedonia. In Italia infatti lavora solo il 57% delle donne. Magari nella prossima campagna #FertilityDay i creativi potrebbero aggiungere un asterisco, quello del welfare: con un sostentamento sociale in più molte donne magari prenderebbero in considerazione in maniera più serena l’idea di un figlio. Sentendosi più protette sia a livello sanitario, sociale e umano.