Il vaccino contro il covid per poliziotti e forze armate rischia di sollevare numerose proteste. Il siero al momento indicato per la somministrazione a queste categorie, infatti, sarebbe quello di Astrazeneca che offrirebbe una percentuale di efficacia più bassa.
Nonostante l’Organizzazione mondiale della Sanità abbia consigliato la somministrazione anche a tutte le persone con età superiore ai 18 anni, incluse le over 65, alcuni rappresentanti del comparto sicurezza nutrono forti dubbi. Soprattutto perché secondo l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, “l’indicazione per il vaccino AstraZeneca resta preferenzialmente per la popolazione tra i 18 e 55 anni e senza patologie gravi, per la quale sono disponibili dati più solidi”.
“La scelta di somministrare agli appartenenti alla Polizia di Stato, alle altre Forze di Polizia e alle Forze armate il vaccino Astrazeneca, ossia quello che al momento offre la percentuale di efficacia più bassa, è inconcepibile – dichiara Domenico Pianese, segretario generale del sindacato di Polizia Coisp – Si tratta dell’ennesima dimostrazione dell’approssimazione con cui si approccia al comparto sicurezza, nonostante la sola Polizia di Stato conti già tra le sue fila più di 7500 contagiati e 8 morti”.
Dubbi sulla scelta di somministrare il vaccino Astrazenaca alle forze armate sono stati espressi anche da Antonello Ciavarelli, delegato Cocer Marina Militare – Guardia Costiera, e Pasquale Fico, delegato Cocer Interforze. “Ben vengano i vaccini ai militari, con le dovute precauzioni e prudenze – spiegano – ma non dimentichiamo la prevenzione, la diagnosi e la cura che sono ‘le priorità delle priorità’.
I militari si pongono con prudenza rispetto alla somministrazione in generale dei vaccini – aggiungono i delegati Cocer – Non dimenticano, infatti, le recenti Commissioni parlamentari di inchiesta che hanno trattato l’argomento. Con la stessa prudenza si pongono rispetto al vaccino anti-covid. Infatti, si sente anche parlare di somministrazione di vaccini con bassa possibilità di successo nonché sconsigliabili agli ultra cinquantenni. La cura è la vera urgenza. Il vaccino non offre certezze matematiche, oltre al fatto che per somministrarlo in larga scala ci vorranno mesi. La realtà è che, come la sanità pubblica, anche quella militare ha subito tagli sulle risorse economiche e sugli arruolamenti. L’attività lodevole da parte dei militari, sanitari e non, anche in questa circostanza è frutto soprattutto dei loro personali sforzi. Sono anni che con delibere e non solo e su tutti i tavoli, evidenziamo le difficoltà delle Forze Armate riguardo l’esercizio e la scarsità di personale. Con le prossime manovre economiche sarebbe il caso di intervenire speditamente ed in modo strutturale su queste questioni”.
E il segretario dei Coisp punta il dito contro la scelta fatta dal Commissario straordinario. “La decisione del Commissario Arcuri non tiene in considerazione una pluralità di fattori – sottolinea – a cominciare dal fatto che nelle Forze di Polizia e nelle Forze armate c’è personale over 55 a cui il vaccino non può essere somministrato. Le Forze di Polizia, peraltro, sono state indicate, subito dopo il personale sanitario, tra i soggetti più esposti al rischio Covid: i poliziotti hanno contatti diretti con persone contagiate, come accade ad esempio nei centri di accoglienza e rimpatrio dei migranti. Questo avrebbe dovuto suggerire la necessità di riservare agli agenti il vaccino che offre la più alta percentuale di efficacia anche nei confronti delle varianti al virus, ma non è stato così. Siamo convinti sostenitori dell’importanza dell’immunizzazione: per questo chiediamo maggiore attenzione per quel 75% di poliziotti che hanno già aderito al piano vaccinale e in particolare per chi non potrà essere immunizzato a causa dell’età, rimanendo così esposto al contagio”. E poi conclude: “La mancanza di considerazione del Commissario per l’emergenza nei confronti dei poliziotti ci lascia profondamente delusi”.
Ma i delegati Cocer vanno oltre spiegando che “ciò di cui hanno sicuramente bisogno i militari è la prevenzione, come ad esempio la distribuzione quotidiana di mascherine FPP3 (sicure al 100%), pannelli in plastica soprattutto per gli uffici aperti al pubblico, sanificazioni e pulizie da intensificare. Inoltre, sarebbe doveroso procedere a test e tamponi con risultati rapidi con una frequenza almeno quindicinale”. Perché, sostengono, “non è affatto scontato che il medico di famiglia ai primi sintomi intervenga tempestivamente e di persona al fine di curare il paziente. I tempi per eseguire il tamponi, e i relativi risultati, sono incerti. Nel frattempo, un eventuale contagio potrebbe prendere il sopravvento sulle difese immunitarie e la salute. Sarebbe il caso – concludono – che volontariamente si possa ricorrere alla Sanità militare (che dovrebbe essere sussistente a se stessa), la quale potrebbe attivare protocolli di cure che prevedono l’uso di antinfiammatori, antibiotici, cortisone, eparina, plasma (che tanti colleghi guariti sarebbero disposti a donare) ecc..”.