Covid e tumori, cosa sappiamo dell’immunoterapia sui pazienti oncologici? La pandemia odierna mette a dura prova i gruppi di popolazione più fragili, in particolare quello oncologico, in bilico tra la rivalutazione degli standard di cura del cancro, l’adattamento del sistema sanitario e la necessità paradossale di tenere i pazienti lontani dalle strutture sanitarie.
L’epidemia di covid-19, dichiarata pandemia dall’Oms l’11 marzo 2020, ha travolto i sistemi sanitari pubblici di tutto il mondo. Come ampiamente riconosciuto, il rischio e la gravità dell’infezione sembrano essere associati all’età avanzata e alle comorbidità preesistenti: diabete, malattie cardiopolmonari croniche, depressione immunitaria, tumori, includendo in quest’ ultima categoria pazienti attualmente malati e sopravvissuti al cancro.
Considerando la prevalenza di carcinomi in tutto il mondo e l’attuale pandemia Covid-19, è urgente descrivere gli effetti di questa nuova infezione sui trattamenti contro il cancro per garantire la protezione di una possibile popolazione vulnerabile di pazienti.
Covid e tumori: collaborazioni internazionali
A tal proposito sono state sviluppate diverse collaborazioni internazionali, tra cui il Research Collaborative Registry for Hematologic Malignancy (guidato dall’American Society of Hematology ), lo studio del gruppo TERAVOLT (“thoracic cancer international COVID-19 collaboration”, guidato dall’Italian National Cancer Institute), il progetto UK Coronavirus cancer-monitoring, l’American Association of Clinical Oncology Survey on COVID-19 in Oncology Registry, il Registro CCC19 basato sul web (il COVID-19 and Cancer Consortium) e il registro ESMOCoCARE della Società Europea di Oncologia Medica .
Una recente meta-analisi di 11 studi ha rivelato che la prevalenza complessiva aggregata di pazienti affetti da tumore e Covid-19 era del 2,0%, con un rischio più elevato di eventi gravi come l’aumento della percentuale di ricoverati che richiedono ventilazione invasiva, o decessi, rispetto ai pazienti non oncologici.
Tuttavia, ad oggi, i rapporti su pazienti affetti da tumore mancano di descrizioni esaurienti circa le terapie correlate come quelli su chi riceve gli inibitori del checkpoint immunitario antitumorale (ICI), che rappresentano l’opzione standard in diversi tumori solidi come il melanoma della pelle, cancro del polmone, carcinoma renale, tumori uroteliali, carcinoma della testa e del collo e, più recentemente, tumori della mammella.
Covid e tumori: lo studio campano
Con l’obiettivo di descrivere la gestione di pazienti oncologici sottoposti o candidati a inibitori immunitari antitumorale (ICI) e Covid 19, la sezione giovani della Scito (Società campana di immunoterapia oncologica) ha elaborato uno studio d’indagine eseguito dal 10 aprile all’8 maggio 2020. Agli oncologi, con riconosciuta esperienza in immunoterapia antitumorale, sono stati assegnati tre gruppi di regioni, secondo i dati epidemiologici nazionali covid-19 dell’8 maggio 2020: gruppo 1, regioni ad alta (H) prevalenza con più di 10.000 pazienti positivi; gruppo 2, regioni a prevalenza media (M) con pazienti positivi inferiori a 10.000 e superiori a 4000; gruppo 3, regioni a bassa (L) prevalenza con meno di 4000 pazienti positivi .
Metodo dell’analisi
Il sondaggio consisteva in 25 domande, che sono state organizzate in tre sezioni. Nel particolare, la prima sezione ha valutato le procedure di screening triaging di routine per SARS-CoV-2 in pazienti oncologici sottoposti o candidati per ICI, le misure di contenimento covid-19 adottate e la positività sempre per covid-19 in tali pazienti durante le immunoterapie. Al momento del cut-off dei dati, secondo le indicazioni dell’Istituto Superiore di Sanità, il triage dei pazienti oncologici comprendeva il monitoraggio dei segni vitali prima di entrare nella clinica oncologica e interrogare i pazienti sulla presenza di sintomi sospetti nei 15 giorni precedenti la visita, ed eventuali contatti con soggetti affetti da covid-19 o provenienti da zone ad alto rischio. In caso di sintomi sospetti o possibili contatti, la procedura di triage è stata seguita da isolamento preventivo e work-up diagnostico, secondo le indicazioni specifiche regionali.
La seconda sezione ha valutato gli adattamenti per i trattamenti medici e chirurgici forniti dai pazienti oncologici sottoposti o candidati a ICI durante la pandemia covid-19, nonché gli adattamenti delle terapie di supporto.
La terza e ultima sezione ha valutato le caratteristiche dei medici: quali età, posizione professionale, affiliazione, distribuzione geografica e campo di interesse.
Il risultato ha dimostrato che per garantire l’equità di accesso agli utenti oncologici locali, e per l’integrazione delle strutture sanitarie regionali, durante il periodo covid-19, la Regione ha ristrutturato l’erogazione del servizio mantenendo il modello basato sulla rete ROC e riadattando alcune strutture sanitarie esistenti come preferenziali per covid-19. Recentemente, anche un centro covid dedicato a pazienti affetti da tumore e positivi a SARS-CoV-2, è stato allestito presso l‘Ospedale del Mare, a Napoli. Con il supporto della medicina del territorio, basata sull’assistenza sanitaria di base, e l’ampio utilizzo della telemedicina, sembra essere stato raggiunto l’obiettivo sfidante di contenere l’infezione da covid-19, pur mantenendo l’assistenza sanitaria essenziale.
La Campania rimane una regione a media prevalenza di covid-19, con pochi casi positivi tra i pazienti oncologici segnalati finora. Tutti i centri di oncologia di riferimento multidisciplinari (CORP), individuati dal ROC e inseriti nell’ indagine, hanno prontamente riorganizzato la pratica clinica quotidiana con procedure di screening di triage in linea con le indicazioni nazionali. Per quanto riguarda il tema dei pazienti con tumore trattati con immunoterapia, i risultati campani sono molto simili a quelli nazionali, evidenziando il grande sforzo di tutte le comunità oncologiche per fornire cure di alto livello anche durante il periodo di emergenza
In conclusione, lo studio campano rappresenta la prima istantanea delle misure adottate dai giovani oncologi medici italiani per garantire la migliore qualità del trattamento per i pazienti oncologici senza compromettere il successo dell’ICI. Dallo studio eseguito si evince che, mentre il covid -19 ha spinto alla riorganizzazione delle strutture sanitarie, chiamate a riadattare tutte le loro aree per garantire il distanziamento fisico e la protezione con attrezzature specifiche, le strategie di gestione dei pazienti oncologici trattati con immunoterapia sono rimaste sostanzialmente intatte. C’è stato un consenso unanime per non ritardare l’immunoterapia nel contesto adiuvante, così come per la malattia metastatica, e allo stesso tempo sono stati fatti sforzi per adottare misure precauzionali come lo screening del triage per covid-19, riduzione del numero di persone accedere alla clinica preferendo, quando possibile, ICI con un programma di intervallo più lungo e un ampio uso di telemedicina per i pazienti in follow-up dopo ICI.
Un consenso quasi unanime per lo screening dei sintomi covid-19 nei pazienti metastatici, evitando così ritardi nell’immunoterapia. Ciò evidenzia l’inclinazione a proteggere una categoria più fragile a maggior rischio di progressione del cancro e complicanze correlate in caso di trattamento sistemico ritardato e la fiducia generale della comunità dei giovani oncologici nell’efficacia e sicurezza dell’immunoterapia. Allo stesso modo, la maggior parte dei medici ha preferito le ICI rispetto all’uso della chemioterapia o della terapia mirata. Questo ampio accordo molto probabilmente riflette la priorità di garantire un alto livello di cura del cancro come suggerito anche dalla gestione preferenziale nei centri di competenza dell’immunoterapia. Vi era, inoltre, un ampio consenso sul non modificare la dose di steroidi raccomandata.
Sebbene i rapporti emergenti e precedenti revisioni degli esiti in altre polmoniti virali abbiano dimostrato che l’azione dei corticosteroidi, per diminuire le risposte infiammatorie dell’ospite nei polmoni, può essere offuscata da effetti avversi, come la clearance virale ritardata e l’aumento del rischio di infezione secondaria, nessuno studio clinico randomizzato ha chiaramente dimostrato i danni e la mancanza di comprovati benefici per l’uso di steroidi nei pazienti con covid-19. Al contrario, il beneficio della somministrazione di steroidi è stato ampiamente dimostrato.
Dalle società oncologiche mondiali sono state sviluppate diverse raccomandazioni per guidare e trovare soluzioni per la pratica quotidiana della oncologia. Nonostante il ricco numero di recenti pubblicazioni su questo argomento, il clima di incertezza sul trattamento da eseguire su pazienti oncologici affetti da covid-19 è ancora persistente.