Migliaia di bambini nati con gravi malformazioni causate da farmaci assunti dalle madri durante la gravidanza. Anziani con importanti problemi epatici manifestati dopo l’assunzione di un antinfiammatorio. E ancora anestesie effettuate con il cloroformio e contraccettivi orali che procurano trombosi. Quella che regala la storia è la fotografia di un mondo senza farmacovigilanza, dove gli “strumenti” utilizzati per migliorare la salute spesso producevano l’effetto opposto.
Gli effetti dannosi dei farmaci
La preoccupazione che un farmaco potesse essere potenzialmente dannoso generando reazioni avverse nasce alla fine del diciannovesimo secolo. Nel finire dell’800 varie commissioni di studio furono istituite e per investigare sui decessi improvvisi avvenuti durante l’anestesia mediante l’uso di cloroformio. Nel 1922 si investigò tra casi di itterizia causate dall’uso di un arsenico organico. E nel 1937 negli Stati Uniti venne fondata la Food and Drug Administration (FDA) come conseguenza a 107 decessi avvenuti a seguito dell’assunzione di un elisir di sulfanilamide, un antibiotico. Paradossalmente, prima del 1937 nessuno aveva mai pensato di valutare la sicurezza dei farmaci prima della commercializzazione. Ma fu nel 1961 che avvenne la più grande catastrofe dell’era dei farmaci: la Thalidomide.
L’incidente “thalidomide”
La Thalidomide, un sedativo, venne ritirata dopo aver causato la nascita di un ingente numero di bambini focomelici, cioè affetti da gravi malformazioni: in particolare gli arti superiori o quelli inferiori non si sviluppavano in parte o in toto.
Nella Germania Ovest nacquero 10.000 bambini deformi (di questi 5000 sopravvissero). In Gran Bretagna ne nacquero 600: in 200 morirono.
All’epoca i test di teratogenicità per la valutazione di danni embrionali non erano una routine. Solo più tardi, attraverso test su animali, si comprese che la thalidomide era un farmaco teratogeno, che produce anomalie se assunto nei primi mesi di gestazione.
La nascita della farmacovigilanza moderna
L’incidente “thalidomide” scatenò una vera e propria protesta dell’opinione pubblica mondiale contro l’allora blanda regolamentazione dei farmaci e la loro autorizzazione di commercializzazioni.
Questo contribuì alla nascita della farmacovigilanza moderna, alla quale venivano richiesti metodi più accurati per la rilevazione degli eventi avversi durante i test preclinici e clinici e una maggiore valutazione dei farmaci prima dell’immissione in commercio. Conseguentemente la commercializzazione fu accompagnata da una sempre più crescente consapevolezza delle possibili reazioni avverse.
L’idea della creazione di un sistema il più possibile affidabile e sicuro contro le reazioni avverse, si aggiornava con ulteriori registrazioni di eventi avversi causati da nuovi farmaci, determinando un continuo cambiamento della regolamentazione e dei controlli.
Un esempio è rappresentato dal “benoxaprofen”. L‘anti-infiammatorio classe 1982 generò, dopo circa due anni dall’immissione in commercio, diversi casi di seri danni epatici (a volte con decesso) in particolar modo verso pazienti anziani. In seguito si scoprì che la maggior parte degli studi clinici era basata su pazienti giovani la cui farmacocinetica (studio dell’assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione di un farmaco) risultava essere molto differente rispetto a un anziano: da qui il danno epatico di questi ultimi e la necessità di svolgere studi clinici su soggetti rappresentanti la categoria cui il farmaco fa riferimento in una terapia regolare.
Il benoxaprofen fu ritirato dal commercio. Questo incidente contribuì a sensibilizzare le case farmaceutiche che procedettero al ritiro dal mercato di qualsiasi farmaco non appena si fosse manifestato un serio evento avverso.
Contraccettivi dannosi
Un ultimo caso che nel lontano 1995 causò non poche polemiche tra gli esperti, confusione tra i medici prescrittori e preoccupazioni nei pazienti: i contraccettivi. Un alto rischio di tromboembolismo venoso si manifestava dall’uso di nuovi contraccettivi orali contenenti la terza generazione di progestinici desogestrel e gestodene rispetto ai contraccettivi contenti la vecchia generazione. In questo caso i media contribuirono molto ad allarmare l’opinione pubblica.
I dati presi in esame portarono una valutazione circa la percentuale di rischio trombosi venosa nel caso in cui fosse stato assunto il nuovo progestinico. La percentuale in una donna non gravida e in salute che non assume alcun contraccettivo è 5 per 100.000, la combinazione di contraccettivi orali di seconda generazione di progestinici porta la percentuale a 15 per 100.000, mentre l’assunzione di un contraccettivo orale di terza generazione di progestinico implica un rischio di 25 per 100.000.
Tale calcolo aiutò le donne a considerare il rischio con una maggiore prospettiva e ai medici di consigliare e prescrivere in modo più appropriato.
Sfortunatamente per un breve periodo vi fu un aumento nel tasso di aborto terapeutico a causa della paura delle donne di assumere contraccettivi e questo dimostrò come reazioni avverse causate da prescrizioni selvagge e senza criterio possano avere un serio impatto sulla società.
La farmacovigilanza di oggi dunque è sorta dagli errori del passato ed è costituita da una robusta struttura regolamentare e sofisticata nell’indagine delle reazioni avverse durante il pre e post marketing. Nonostante i sacrifici per raggiungere tale obiettivo essa continua a migliorare facendo affidamento su ogni cittadino, il quale è responsabile della propria salute e di quella del suo vicino.