L’alcol rappresenta il primo fattore di rischio per la salute in Europa, dopo il fumo e l’ipertensione. Nei paesi dell’Unione, il consumo annuo pro capite è stimato a 9 litri. L’Italia supera nettamente la media mondiale di un consumatore di alcol su tre: il 60% degli italiani, infatti, consuma una o più dosi di alcol al giorno. Nel nostro Paese si contano 8,6 milioni di consumatori a rischio, 2,5 milioni dei quali anziani e 1,5 milioni adolescenti. Secondo l’Osservatorio Nazionale Alcol-Cneps dell’Istituto Superiore di Sanità i consumatori “dannosi”, che presentano problemi di salute conseguenti al consumo di alcol, sarebbero circa 700mila.
Attraverso l’analisi e l’incrocio di diverse fonti statistiche, Eurispes ed Enpam hanno calcolato i decessi causati dall’alcol in Italia negli ultimi 10 anni: 435mila morti dal 2008 al 2017 per patologie alcol-correlate, incidenti stradali, incidenti sul lavoro, incidenti domestici e omicidi o suicidi legati allo stato di alterazione psicofisica. Di questi, 296mila e cinquecento sono uomini, 139mila donne.
La struttura dell’indagine
Partendo dalla convinzione che il fenomeno sia grave e profondo, a distanza di oltre trent’anni dal Primo Rapporto sull’Alcolismo in Italia – che per la prima volta rivelava dettagli sconvolgenti del fenomeno – l’Eurispes, in collaborazione con Enpam, ha dedicato una nuova complessa indagine al tema. Il fenomeno è stato osservato attraverso tre diversi sondaggi, ciascuno dei quali contribuisce a disegnare un quadro completo e dettagliato di come sono cambiate e stanno cambiando le abitudini nel nostro Paese, di quanto si sia diffuso e radicato il consumo di alcol tra i giovani, di come si è modificata l’immagine del consumatore di alcol.
L’ampio e articolato lavoro “Indagine sull’alcolismo in Italia. Tre percorsi di ricerca”, realizzato nel quadro delle attività previste dall’Osservatorio permenente Eurispes/Enpam su “Salute, Previdenza e Legalità”, ha coinvolto giovani studenti, adolescenti, cittadini e operatori sanitari.
Per il presidente dell’Enpam, Alberto Oliveti, “attraverso i dati della rilevazione ci si rende conto della pericolosità di alcuni fenomeni sociali legati a una cultura dello sballo in via di costante diffusione. Tra questi, il fenomeno dell’ “abbuffata alcolica” (binge drinking), tipico della popolazione giovanile tra gli 11 e i 17 anni. Così come la tendenza legata al primo contatto, sempre più precoce, dei giovani verso l’alcol. L’incidenza di certi comportamenti è sensibilmente influenzata dall’uso massivo delle nuove tecnologie e dai social network. Il medico di Medicina generale, che presidia società e territorio capillarmente, può e deve assumere il ruolo di playmaker”.
“Con questa indagine, ampia ed articolata abbiamo, a distanza di quasi trent’anni, fatto il punto sulla evoluzione del fenomeno e sulle sue derive – dichiara il presidente dell’Eurispes, Gian Maria Fara – I dati che emergono testimoniano una cresciuta consapevolezza, ma anche la necessità di un impegno costante sul piano della prevenzione e del sostegno alle famiglie interessate, così come su quello culturale, della comunicazione e dell’informazione”.
Il presidente dell’Osservatorio salute, previdenza e legalità dell’Eurispes, Vincenzo Macrì, ha commentato: “Questo studio è il primo di una serie di ricerche che mirano ad approfondire la diffusione dei consumi di alcool, tabacco, droghe, sintetiche e naturali, di psicofarmaci, con le conseguenti situazioni di dipendenza e gravi danni alla salute pubblica, alla sicurezza collettiva, alla vita stessa delle famiglie, quando qualcuno dei suoi componenti è vittima di dipendenza e delle patologie conseguenti. La lettura del rapporto consentirà di comprendere quanto il fenomeno dell’alcoolismo sia diffuso tra persone di ogni età, soprattutto tra i minori, verso i quali occorre concentrare l’attenzione per i danni che precoci abusi possono comportare per la salute psico-fisica delle giovani generazioni”.
Il sondaggio
Il consumo di alcol tra i cittadini
L’alcol come “immagine positiva”. Ubriachi e “felici”
Si beve ovunque a qualunque ora, anche con pochi soldi, sempre più lontano dai pasti, e soprattutto tra le fasce più giovani della popolazione.
Secondo l’indagine Enpam-Eurispes “Il consumo di alcol tra i cittadini”, un quarto degli italiani associa l’alcol a situazioni di convivialità (23,8%), il 17,1% lo accomuna ad una sensazione di piacere, l’11,9% ad un concetto di spensieratezza, un cittadino su dieci al relax (10,6%). Più contenute le percentuali di chi lo associa ad un’immagine non positiva: fuga dai problemi (9,3%), perdita del controllo (9%), pericolo (7,3%).
Il dato relativo alla risposta “convivialità” passa dall’ 16,5% nella fascia tra i 18-24 anni ad un valore massimo di 26,8% nella fascia dei più anziani. Sono i più giovani, invece, ad associare all’alcol il concetto di “piacere” più spesso delle persone mature (21,6% contro il 14,3% delle persone mature).
Gli uomini più delle donne ritengono che bere sia un piacere (19,4 contro 14,8%); al contrario, le donne più spesso degli uomini associano l’alcol alla perdita del controllo (11,5% contro 6,4%).
Italiani sempre più “precoci”
Entrando nel merito del consumo di alcol, le risposte raccontano un consumo “normale”, quasi moderato. Oltre la metà dichiara di consumare alcol “qualche volta” (55,7%), il 17,1% lo fa “spesso”, solo il 7,9% “tutti i giorni” e quasi due su dieci non beve “mai”.
A bere più “spesso” sono i giovani: tre su dieci nella fascia 18-24enni, il 23% tra i 25-34enni. Le differenze tra i due sessi sono sempre più sottili, anche se rimane più alto il numero delle donne astemie (28,1% contro il 10,5%).
Tuttavia, è la precocità del debutto alcolico, l’aspetto più preoccupante che emerge dalla ricerca. Il 15,8% ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 13 anni, e tra i maschi la percentuale sale al 20,5%; un terzo della popolazione lo ha fatto tra i 14 e i 17 anni (33,5%), per due su dieci il “debutto” è avvenuto tra i 18 e i 20 anni (20,1%), il 12,4% ha iniziato a bere dopo i vent’anni. Ha assunto alcol prima dei 10 anni il 3,8% degli intervistati: in particolare al Nord-Ovest, dove si registra un numero di bevitori precoci superiore alla media che si attesta al 7,6%.
Come cambiano le abitudini
Negli ultimi anni, è cambiato profondamente il modo di bere: lo si fa sempre di più fuori dai pasti, in dosi massicce e in un tempo circoscritto.
I dati dell’Osservatorio Enpam-Eurispes rivelano che oltre tre italiani su dieci bevono alcol quando si trovano “in compagnia” (32,1%), il 23,6% quando “ne ha voglia”, una percentuale quasi analoga lo fa “durante i pasti” (23,2%), il 21,2% “in occasione di ricorrenze”. La tendenza a bere in compagnia è più accentuata tra i giovani 18-24 anni (45%), mentre tra i 25-34enni l’abitudine a bere quando se ne ha voglia raggiunge il 32,7%. Dati spia di abitudini potenzialmente a rischio che caratterizzano più i giovani rispetto agli adulti e agli anziani.
Il consumo eccessivo “schizza” rispetto al 2010
Quasi la metà del campione ammette di bere eccessivamente “ogni tanto” (47,7%), l’11,1% lo fa “spesso”, solo lo 0,7% “tutti i giorni”; mentre quattro intervistati su dieci dichiarano di non bere mai eccessivamente. Se confrontiamo questo risultato con i dati del 22esimo Rapporto Italia dell’Eurispes del 2010, emerge un preoccupante aumento del consumo eccessivo: allora, la quota di chi beveva “spesso” era dell’1,6%, la quota di chi eccedeva “qualche volta” si fermava al 33,7%. Ed è tra i giovani che la percentuale dei consumatori occasionali cresce ancora rispetto alla media, arrivando al 60% tra i 18-24enni e al 59,2% tra i 25-34enni.
Al Nord-Ovest il triste primato del numero più alto di bevitori eccessivi
Se si analizzano i motivi di chi oltrepassa il limite, si scopre che gli eccessi oggi si sposano, più frequentemente che in passato, con gli stati d’animo delle persone e con le loro difficoltà, anche relazionali.
Il 28% di chi si trova a bere in modo eccessivo riconosce che lo fa per “piacere” (nel 2010 la quota era del 49,4%); oltre un quarto degli intervistati fa uso eccessivo di sostanze alcoliche per “stare meglio con gli altri”, il 12,1% in più rispetto a otto anni fa; il 23,7% dichiara di eccedere per “rilassarsi”, ovvero l’8,8% in più rispetto al 2010. Aumenta anche chi ritiene che bere sia un modo per “affrontare una situazione complicata” (9,2% contro il 2,6%) e chi lo fa per “reagire a un insuccesso” (2,2% contro l’1,2%).
In particolare, sono soprattutto i giovani a ricorrere alle cure dell’alcol per affrontare una situazione complicata (l’11,1% tra i 25-34enni, il 9,2% tra i 18-24enni, il 9,1% tra i 35-44enni).
Suddividendo la nazione in macro-aree geografiche, scopriamo che ad apprezzare maggiormente gli effetti di un uso smodato di bevande alcoliche per puro piacere sono gli abitanti del Meridione (31,3% Sud, 31,1% Centro), seguiti dal 28% del Nord-Est, dal 26,6% del Nord-Ovest, per finire con il 20% delle Isole.
Alla domanda “quante persone conosce che possono essere definite bevitori eccessivi?”, il 31,6% risponde “alcune”, il 29,3% “poche”, il 15,8% “nessuna”, il 14,8% “parecchie”, l’8,5% “molte”.
Eppure, in una classifica delle sostanze psicotrope capaci di alterare la regolare attività mentale, l’alcol è considerato all’ultimo posto dopo droghe sintetiche (38,5%), cocaina (25,1%), fumo (22,1%): solo il 14,3% ritiene, infatti, che l’alcol sia la sostanza più nociva per la salute.
Alcol e guida: “tasso alcolemico”, questo sconosciuto
In Italia, l’uso di sostanze alcoliche è tra le prime cause di morte tra i giovanissimi, spesso in seguito ad incidenti stradali. L’indagine Eurispes-Enpam ha cercato di capire quanto sia frequente la guida in stato di alterazione.
Sei intervistati su dieci dichiarano di non aver mai guidato dopo aver bevuto in modo eccessivo (nel 2010 erano il 59,9%); il 24,6% afferma di averlo fatto “raramente”, il 14,1% “qualche volta”, l’1,4% ammette di averlo fatto “spesso” (nel 2010 era il 2,2%). Ad avere una maggiore sensibilità sono le donne che nel 71,9% sostengono di non aver mai guidato in stato di ebbrezza, contro il 47,9% degli uomini.
Gli automobilisti più attenti alle regole sono quelli del Centro (67,9%); i meno ligi sono gli abitanti del Nord-Ovest che ammettono di aver guidato “spesso” dopo aver bevuto troppo nel 4,4% dei casi.
Ad oltre un quinto del campione (21,4%) è capitato di essere stato fermato alla guida e sottoposto al controllo per alcol e droga: un percentuale in notevole aumento rispetto al 2010 quando si attestava al 9,2%.
Interrogati sul tasso alcolemico consentito dalla legge per guidare, solo un terzo degli intervistati (33,8%) risponde correttamente indicando il limite di 0,5g/l. Quasi quattro su dieci ammettono di non conoscere la norma (39,6%), l’8,6% sottostima il reale valore indicando lo 0,2 g/l; un complessivo 18% crede invece che sia ben superiore a quello reale. In sostanza, i due terzi degli intervistati non sono in grado di stabilire la quantità di alcol che possono assumere senza compromettere la propria capacità di guida, segnando un passo indietro nella conoscenza rispetto al 2010, quando le risposte corrette rappresentavano il 38,7%. Ad essere più informati sono i giovanissimi, freschi di studi per il conseguimento della patente (42,3%).
Percezione del problema: solo il 35% lo considera “rilevante”
La maggior parte dei cittadini è consapevole dell’esistenza di un problema sociale legato all’alcol in Italia: secondo un terzo si tratta di un problema “rilevante” (35,4%), un altro 31,1% lo considera “moderato”. Una minoranza sottostima il fenomeno (14,3%), circoscrivendolo a casi isolati, mentre quasi un quinto non è in grado di valutare (19,2%).
In occasione del Primo Rapporto sull’Alcolismo in Italia, realizzato dall’Eurispes nel 1984, la percezione dell’alcol emergeva come problema sociale in modo nettamente più forte: in quell’occasione il 66% degli interpellati lo riteneva un problema, quasi il doppio rispetto ad oggi.
Analizzando le aree geografiche del Paese, salta agli occhi come il Nord-Ovest sia la macroarea che, molto meno del resto d’Italia, percepisce l’alcolismo come un problema (18,2% contro il 33% del Nord-Est, il 47,2% del Centro, il 39,2% del Sud, il 51,2% delle Isole).
La regolamentazione del consumo
Secondo il 60% degli italiani, il consumo di alcolici deve essere regolato dalla legge, il 40% la pensa diversamente. La fascia dei 18-24enni è l’unica nella quale prevale il numero di contrari ad una regolamentazione dei consumi.
Quasi un terzo di chi è contrario ritiene che consumare alcolici sia una “scelta individuale” (30,3%), per il 26,2% i problemi “non si risolvono con la legge”, per il 22,9% “informare è meglio che vietare”. Il 12,9% invece ritiene che l’alcol “non sia una piaga sociale”; infine, un 7,7% si dice “contrario per non incrementare la speculazione”. Nel complesso, quindi, prevalgono le risposte che evidenziano l’inefficacia di eventuali provvedimenti legislativi per contrastare il problema.
A chi, invece, si è pronunciato a favore di una regolamentazione del consumo di alcol, è stato chiesto quale regola, a suo avviso, dovrebbe essere adottata. Secondo il 43,7% si dovrebbe consentire di bere sopra i 18 anni; il 28,1% suggerisce una regolamentazione solo per la vendita; il 12,8% opterebbe per l’aumento del prezzo degli alcolici; il 10,7% vorrebbe che la proibizione fosse addirittura estesa a tutti; il 4,7% sarebbe d’accordo con la concessione a bere sopra i 14 anni.
Strategie di contrasto: la maggioranza è favorevole al divieto di vendita dopo le 22.00
Più di otto italiani su dieci ritengono che lo Stato negli anni abbia fatto poco per contrastare l’alcolismo (84,1% contro il 15,9%). Secondo un quinto degli intervistati occorrerebbe una maggiore strategia di sensibilizzazione (19,7%), per un altro quinto più informazione a livello scolastico (18,3%), per il 15,3% sarebbe necessario puntare maggiormente sulla prevenzione. Per un altro 15,4% lo Stato dovrebbe risolvere le cause sociali che portano all’abuso di alcol, secondo il 14,6% serve una regolamentazione per la vendita degli alcolici, il 6,2% ritiene si debbano creare più centri di assistenza e recupero.
Negli anni, si è più volte discusso e ragionato sui provvedimenti presi per contrastare il consumo eccessivo di alcol, perlopiù di tipo stagionale, attraverso il divieto di vendita di alcolici da asporto dopo le 22.00 e la somministrazione dopo le 2 di notte.
Ebbene, i favorevoli a questa misura prevalgono sui contrari (57,3% contro 28,3%): il 35,4% è “abbastanza d’accordo”, il 21,9% “molto”, il 18,6% “poco”, il 9,7% “per niente”. Il 14,4% non sa pronunciarsi. Il numero dei favorevoli al provvedimento cresce con l’innalzarsi dell’età.
Interpellando i cittadini su una serie di misure di contrasto emerge che: otto cittadini su dieci sarebbero favorevoli a proibire la pubblicità di alcolici vicino le scuole (79,8%); sette su dieci proibirebbero la pubblicità di alcolici in Tv durante la fascia protetta (71,2%); il 67,5% approverebbe le tanto discusse “etichette shock” sulle bottiglie, oltre la metà imporrebbe un prezzo minimo per gli alcolici (52,4%), un’altra metà proibirebbe la vendita a prezzi ridotti (51,4%).
Nota metodologica
L’indagine campionaria è stata realizzata su un campione probabilistico stratificato, attarverso la somministrazione diretta di un questionario a 1.106 cittadini.
Il questionario esplora diverse tematiche: consumo di alcolici, frequenza e modalità, età del primo approccio all’alcol, consumo eccessivo, motivazioni, diffusione del problema, alcol e guida, normativa e provvedimenti per il contrasto al fenomeno.
Il consumo di alcol tra i ragazzi
La netta maggioranza dei ragazzi beve alcolici (61,7%): oltre la metà lo fa “qualche volta” (51,6%), l’8,2% “spesso”, solo l’1,9% tutti i giorni. Se analizziamo le fasce d’età, scopriamo che tra gli 11-14enni prevalgono coloro che non bevono mai (64,8%) e che tre su dieci lo fanno “qualche volta”; la situazione si capovolge tra i 15-18enni: il 65,1% beve “qualche volta” e solo due su dieci sono astemi. La quota di ragazzi che non bevono mai risulta più elevata tra chi è nato all’estero (44,1% contro il 37,9%). Si inizia a consumare alcolici sempre più presto: più della metà dei ragazzi che ha confessato di fare uso di alcol, ha bevuto il primo bicchiere tra gli 11 e i 14 anni (52,8%), più di un quarto dai 15 anni in su (26,9%), e quasi due su dieci addirittura prima degli 11 anni (18,4%).
I maschi dimostrano un approccio più precoce rispetto alle femmine: per oltre un quinto l’iniziazione è avvenuta prima degli 11 anni (21,9%). Tra i nati all’estero la percentuale di chi ha iniziato prima degli 11 anni sale al 28,4%. In tutte le aree geografiche la fascia d’età d’esordio più citata è quella tra gli 11 e i 14 anni.
Che cosa si beve e quando: ovunque e a qualunque ora, fuori da casa
La birra è in cima alla classifica del consumo di alcolici tra i giovanissimi: solo il 12,2% dice di non berla “mai” e il 21,2% lo fa “spesso”. Seguono cocktail e aperitivi e in terza posizione il vino, poi shottini e superalcolici. L’area del Paese che registra la quota più alta di ragazzi che, sia pure con frequenza diversa, consumano tutti i tipi di alcolici considerati è il Nord-Est; medesima tendenza nelle Isole, ad eccezione del vino.
La ricerca rivela che, per i più giovani, il consumo di alcolici è quasi sempre disgiunto dai pasti e dalla tavola: si tratta, quindi di un consumo non abituale ma sempre più legato a momenti di convivialità e divertimento.
Se il 47,7% degli intervistati dice di bere alcolici in “occasione di feste e ricorrenze”, c’è un altro 30,9% che associa il bere allo stare “in compagnia”, mentre il 16,2% lo fa quando semplicemente “ne ha voglia” e solo il 5,2% “durante i pasti”.
A conferma di questa tendenza, il pub (28,6%), così come la discoteca (21,4%) sono i luoghi dove più spesso capita di farsi un bicchiere; due su dieci bevono a tavola, il 17,4% all’aperto, il 13,1% al ristorante o in pizzeria. Prevale quindi nettamente il consumo extracasalingo e indipendente dal pasto. Un comportamento più accentuato tra le ragazze che tra i ragazzi.
Il Nord-Ovest è l’area i cui i giovani bevono più spesso a tavola in casa (26,4%), nelle Isole si registra il picco di consumi al pub (39,4%), al Centro la percentuale più alta riguarda la discoteca (30%), al Nord e al Sud si consuma all’aperto con frequenza superiore alla media (22,7% e 22,3%).
Ma perché si beve? Parola d’ordine “sballo”
Sette ragazzi su dieci rispondono che queste bevande “piacciono” (71,1%), oltre un quinto sottolinea che “aiutano a divertirsi” (21,6%), il 4% confessa che servono a “dimenticare i problemi”, il 3,2% se la cava con un “lo fanno tutti”.
Quando si passa ad indagare comportamenti spia di una tendenza all’eccesso, salta agli occhi che un terzo degli intervistati afferma di aver giocato con gli amici a chi beve di più (33,1%) e che una identica percentuale rivela di aver visto un amico o un conoscente riprendersi o lasciarsi riprendere in video mentre beveva.
Ai giovani studenti italiani è stato poi chiesto se ritengono che ubriacarsi nel fine settimana sia un comportamento pericoloso per la salute. Ebbene, il 70,4% dei ragazzi riconosce la pericolosità di questa abitudine (“abbastanza” nel 46,1%e “molto” pericoloso nel 24,3% dei casi). Nonostante ciò, è elevato il numero dei ragazzi che lo ritiene poco (23,1%) o per niente (6,5%) pericoloso.
A sentire l’opinione degli stessi giovanissimi, il “limite” si oltrepassa per diversi motivi: ci si ubriaca per “sentirsi più grandi” (42%), o perché “lo fanno tutti” (18,4%), perché è “una cosa piacevole” (14,3%), per “fare qualcosa di proibito” (10,2%), per “rilassarsi” e socializzare (8,3%), il 6,8% per “fare una nuova esperienza” (6,8%).
Vendita ai minori: oltre la metà ha acquistato alcol
In Italia la vendita e la somministrazione di bevande alcoliche ai minori di 18 anni sono vietate e la legge obbliga il venditore a chiedere una documento di identità al momento dell’acquisto. Eppure, le risposte dei ragazzi rispetto allo stato di applicazione della normativa, sono sconvolgenti.
Se il 45,6% del campione non ha mai acquistato bevande alcoliche, il restante 54,4% invece lo ha fatto. Di questi, oltre un quinto dichiara che non gli è “mai” stato chiesto il documento di identità (21,7%), al 16,4% gli è stato chiesto “raramente”, ad uno su 10 gli è stato chiesto “qualche volta” e solo al 5,9% “spesso”.
In particolare, il 30,8% degli 11-14enni ha acquistato alcol e ad un quinto di questi non è mai stato chiesto il documento di identità (20%).
Le regioni italiane dove il documento di identità al momento dell’acquisto viene richiesto con meno frequenza sono quelle del Sud e del Centro.
Alcol e guida: il 30% dei giovanissimi ha viaggiato con chi ha bevuto
Alla domanda “ti è mai capitato di metterti alla guida di un motorino o di un’auto all’uscita da un locale dopo aver bevuto alcolici?”, la risposta appare confortante, visto che nove su dieci dichiarano di non aver mai guidato dopo aver bevuto alcolici, che il 4,8% dice di averlo fatto “raramente” e “solo” il 2,4% “qualche volta” e “spesso”.
Tuttavia, i risultati cambiano notevolmente quando ai ragazzi viene chiesto se sono saliti su un’auto o un motorino di amici, come passeggeri, con il guidatore che aveva bevuto. In questo caso, la risposta negativa si restringe al 62,3%. Ad un quinto è accaduto “raramente” (20,4%), al 13,3% “qualche volta” e al 4% “spesso”.
Sono proprio i giovanissimi studenti tra gli 11 e i 14 anni d’età ad ammettere con maggiore frequenza (30%), di aver viaggiato su un mezzo guidato da qualcuno che avesse bevuto alcolici.
In molti dimostrano di non essere pienamente consapevoli dei rischi che il consumo di alcol comporta per la guida.
Ai ragazzi è stato chiesto di indicare la quantità di alcolici che permette di mettersi alla guida senza correre rischi: per tre su dieci la sicurezza è garantita solo se non si bevono alcolici, mentre quattro su dieci credono che un solo bicchiere non comporti rischi (40,4%); per il 13,9% non è rischioso guidare dopo 2-3 bicchieri, per il 2,5% persino dopo 4-5 bicchieri.
In realtà, la legge non stabilisce il numero di bicchieri ma il tasso alcolemico da non superare (0,5g/l) che può essere influenzato da vari fattori, ma che può essere facilmente superato dopo uno o due bicchieri a seconda del grado alcolico.
Il 36% dei ragazzi è convinto che la legge vieti di mettersi alla guida dopo aver bevuto qualsiasi tipo di bevanda alcolica, il 27,7% afferma che è consentito bere un bicchiere, il 5,4% che si può guidare dopo 2-3 bicchieri, l’1,9% che il limite è 4-5 bicchieri. Tre giovani su dieci non hanno saputo indicare una risposta. Facendo i conti, quasi i tre quarti degli intervistati hanno risposto in modo non corretto.
Alla domanda: “sei d’accordo con i provvedimenti che proibiscono la vendita di alcol da asporto dopo le 22.00 e la somministrazione di alcol dopo le 2 di notte?”, la maggior parte delle risposte (52,1%) si dividono tra quanti si dichiarano “abbastanza d’accordo” (28%), “molto d’accordo” (24,1%). Coloro che non si ritengono d’accordo, considerando il provvedimento una limitazione della libertà, sono il 31,6%, tra chi è “poco d’accordo” (17,7%) e “per niente d’accordo” (13,9%).
Nota metodologica
L’indagine campionaria è stata realizzata su un campione composto da ragazzi che frequentano il secondo e terzo anno delle scuole secondarie di I grado, e i cinque anni della scuole secondarie di II grado in Italia. I questionari considerati validi sono stati 2.259.
L’indagine ha indagato le abitudini di consumo, le opinioni circa i rischi e i danni connessi al consumo e all’abuso, le motivazioni che spingono i giovani a bere alcolici, i rischi connessi alla guida in stato di alterazione.
Gli effetti dell’alcol sulla salute, il parere dei medici
È l’alcol la più diffusa tra le dipendenze; secondo il parere dei medici intervistati, non ci sono dubbi: nove su dieci sostengono che si tratta della sostanza psicotropa più diffusa e di quella che miete il maggiore numero di vittime in termini di dipendenza, rispetto a fumo, droghe sintetiche e cocaina.
La frequenza dei pazienti che presentano problemi legati all’alcol è preoccupante: poco meno della metà dei medici intervistati (48,5%) ha detto di incontrare persone con questo profilo “qualche volta”, più di tre su dieci (31,6%) ha rivelato di incontrarli “spesso”. A visitare pazienti che non sono in grado di gestire un uso responsabile di sostanze alcoliche sono, in quantità leggermente superiore, i medici delle strutture pubbliche rispetto quelli delle strutture private.
I problemi che i medici riscontrano con maggiore frequenza sono: patologie legate ad un’abitudine al consumo eccessivo (53,8%), problemi psicologici legati alla dipendenza da alcol (22,3%), incidenti dovuti alla guida in stato d’ebbrezza (13,4%), problemi legati al bere compulsivo, come coma etilico e intossicazione da alcol (9,9%), infine, in misura minore, incidenti sul lavoro dovuti allo stato di ebbrezza (0,6%).
Identikit dell’alcolista: segni particolari “nessuno”
Ma chi sono le vittime del consumo di alcol? Se si prova a tracciare un identikit, emerge una trasversalità drammatica rispetto ad età e condizioni sociali.
Secondo i medici intervistati, si tratta per più della metà dei casi di persone adulte (59,8%), per il 17,6% di giovani tra i 18 e i 30 anni, per il 2% di adolescenti e un altro 2% di anziani; tuttavia, non si può trascurare una fetta del 18,6% secondo la quale “non ci sono differenze tra fasce d’età”.
Così come, il consumo eccessivo non appartiene ad una particolare tipologia di paziente, ma “attraversa” l’intera società: secondo quattro medici su dieci (39,4%) queste persone non appartengono a nessuna categoria in particolare, per poco più di tre su dieci (31,8%) si tratta di persone che stanno vivendo un periodo di difficoltà o depressione, per il 23,5% di soggetti socialmente inseriti, solo per il 5,3% di persone senza fissa dimora o sbandati.
Secondo le testimonianze, quest’ultima categoria di pazienti si rivolge alle strutture di aiuto pubblico, dividendosi tra l’11% di coloro che cercano aiuto negli ospedali e il 3,9% di coloro che sono utenti delle Asl; le persone che si trovano in uno stato di temporanea depressione si rivolgono principalmente alle Asl (35,4%), ai Sert (33,3%), mentre uno su quattro preferisce le cure degli ospedali (25,5%) e delle cliniche specializzate (25%); i soggetti socialmente inseriti si orientano principalmente verso le Asl (27,6%) e le cliniche specializzate (25%), cui seguono gli ospedali (22%). Infine, le persone indicate come non appartenenti ad alcuna categoria, si rivolgono nel 66,7% dei casi ai Sert, nella metà dei casi alle cliniche specializzate (50%), nel 41,5% dei casi agli ospedali e per un terzo alle Asl (33,1%).
Quello che è assolutamente certo per i medici interpellati, è il fatto che nell’ultimo decennio i problemi legati al consumo di alcol sono aumentati: lo sostiene il 67,3% degli intervistati. L’aumento riguarda principalmente il Mezzogiorno.
Le nuove tendenze: una fotografia inedita
E poi ci sono le nuove tendenze che tracciano un panorama inedito del consumo: si inizia a bere più precocemente (93,7%), le donne bevono più che in passato (93,3%), si beve di più lontano dai pasti (90,5%), si bevono più superalcolici (78,5%), si associa più spesso il consumo di alcol a quello della droga (73,2%), sono più frequenti gli episodi di ubriacatura (71,4%).
Il fenomeno della dipendenza da alcol ha molteplici origini, sulle quali i medici italiani hanno diverse opinioni: ma ce n’è una che li accomuna quasi tutti, la scarsissima correlazione tra emarginazione sociale e alcolismo. Infatti, solo il 5,3% dei medici ritiene che la mancata inclusione sociale sia all’origine della dipendenza. Gli altri professionisti si dividono tra un 26,2% che ricerca la causa nell’abitudine ad un consumo sregolato, un altro 23,1% che considera depressione e ansia tra le principali cause, un 23,5% secondo il quale l’alcol viene usato come “stimolante”, e un 21,9% che vi legge un forma di imitazione verso modelli scorretti.
In sostanza, per oltre sette medici su dieci, le motivazioni al bere non sono legate a problemi, disagi o stati d’animo negativi, ma piuttosto alla ricerca di divertimento e di sballo.
Un approccio a cui contribuirebbero i media con i loro messaggi. Secondo il 64,7% dei medici, l’immagine dell’alcol veicolata dai media favorirebbe la diffusione di modelli di consumo pericolosi. Di questi, nel dettaglio, il 43,8% risponde “abbastanza”, il 20,9% “molto”. Solo secondo il 5,1% non ci sarebbe una correlazione.
Che cosa si fa per arginare il problema? “Strutture insufficienti”
Per oltre la metà dei medici intervistati, i reparti ospedalieri e le strutture mediche dedicate alla cura e al sostegno dei pazienti con problemi legati all’alcol sono “scarsi” (53,8%), per il 29% sono “insufficienti”, per il 16,2% sono invece “sufficienti” e solo l’1% ritiene siano “ampiamente sufficienti”. Coloro che danno un giudizio nettamente negativo sono concentrati in Sicilia, Sardegna e nelle isole minori.
Per la maggioranza degli intervistati non sono sufficienti nemmeno le campagne di sensibilizzazione e informazione promesse dallo Stato; uno strumento apprezzato dai medici e che dovrebbe essere più diffuso. Nel dettaglio, quasi nove su dieci ritengono le campagne “insufficienti” (88,2%), uno su dieci le crede “sufficienti” (11,4%), solo lo 0,4% le definisce “eccessive”.
Contrastare il fenomeno? Alla scuola la “patata bollente”
Oltre la metà dei medici crede debba essere la scuola a dover educare (51,3%). L’altra metà si divide tra chi ritiene le campagne di sensibilizzazione un ottimo strumento (16,6%), chi chiede di modificare l’immagine che pubblicità e media diffondono (9,9%), chi ritiene sia necessario promuovere servizi di consulenza dedicati (8,7%), chi vorrebbe una regolamentazione più restrittiva per la vendita (7,5%), chi vede la soluzione nell’incremento di centri di assistenza e recupero (6%).