Strumento di marketing o pericolo per la salute e per l’ambiente. L’olio di palma è al centro di un dibattito che ha portato consumatori e produttori a sfidarsi in nome della consapevolezza ambientale e dell’attenzione alla salute. Ma quello che era nato come un dibattito ambientalista e salutista si è presto trasformato in guerra aziendale, lasciando da parte la completezza dell’informazione.
Se dici olio di palma dici Nutella? Non a caso il dibattito è iniziato, circa un anno fa, dopo le dichiarazioni del ministro francese Ségolène Royal, che accusava la crema spalmabile della Ferrero di essere corresponsabile dei danni provocati dalla coltivazione delle palme. Eppure l’ingrediente vegetale è alla base di un numero infinito di prodotti, alimentari e cosmetici, per la sua versatilità e il basso costo. Ma la sua produzione, che si concentra nelle zone a cavallo dell’equatore, è spesso associata ad una deforestazione massiva. I maggiori produttori dell’olio sono l’Indonesia (33,4 milioni di tonnellate) e la Malesia (19,9 milioni), che insieme producono circa l’84% dell’olio mondiale, poi Tailandia, Colombia, Nigeria, Ecuador e Guatemala (dati GreenPalm). Dagli anni ’80 la produzione di olio di palma è cresciuta in maniera esponenziale, portando i paesi produttori a liberare sempre più terreni e dedicarli alla coltivazione delle piante. Da strumento di crescita economica per aree afflitte dalla povertà, la produzione di olio si è trasformata in espropri illegali e distruzione della biodiversità. Organizzazioni come il WWF e Greenpeace portano avanti la battaglia contro la coltivazione indiscriminata di olio di palma, appoggiando al contrario, le vie sostenibili di produzione. Ma l’interesse mediatico e istituzionale non ha del tutto arginato il problema. Se da una parte del mondo i controlli crescono e una nuova consapevolezza limita le azioni delle aziende produttrici, in altre zone del mondo la storia si ripete e le previsioni dicono che la produzione raddoppierà entro il 2050. È quello che accade in Sud America, la nuova frontiera dell’olio di palma. Perù, Ecuador, Guatemala aumentano del 10% ogni anno la produzione, mettendo a rischio zone boschive come la foresta Amazzonica e il Péten. Una guerra nella quale vincono i narcos e perdono ogni giorno, anche la vita, decine di persone delle comunità indigene, che vedono la terra scomparire sotto i loro piedi.
Ferrero ha dimostrato di utilizzare solo “olio di palma sostenibile al 100%”. Secondo i dati forniti dall’azienda questo accade dai primi mesi del 2015, dopo una programmazione iniziata quattro anni prima, come confermano i dati delle ricerche di WWF e Greenpeace.
Regolarizzare la produzione e l’uso dell’olio di palma è quindi possibile. Resta da capire allora se convenga fare questo o trovare ingredienti alternativi. Insomma, l’olio di palma è davvero così insostituibile? Molti supermercati e catene alimentari hanno scelto già mesi fa di cambiare la propria politica ed eliminare dai prodotti a marchio l’utilizzo dell’olio vegetale. Uno dei primi a svuotare gli scaffali per rimpiazzare i prodotti incriminati è stata la Coop, insieme a Carrefour, Esselunga, Pam Panorama. Su una nota del supermercato si leggono i motivi della decisione: “Alla base di questa scelta la pubblicazione del dossier Efsa (European Food Safety Authority) su alcuni contaminanti di processo: 3-monocloropropandiolo (3-MCPD), 2-monocloropropandiolo (2-MCPD) e glicidil esteri degli acidi grassi (GE), che si formano ad alte temperature principalmente negli oli vegetali. Lo studio ha evidenziato che l’olio di palma contiene quantitativi molto più elevati dei suddetti contaminanti rispetto ad altri oli/grassi. A queste sostanze sono attribuite caratteristiche di tossicità, in particolare il glicidolo, che è stato classificato dallo Iarc (International Agency for Research on Cancer) nel gruppo 2 A = probabile cancerogeno per l’uomo, e il 3-MCPD”.
Questa la sentenza che il rapporto dell’Efsa (l’Agenzia Europea per la sicurezza alimentare) aveva diffuso il 3 maggio scorso, solo l’ultimo dei rapporti sui pericoli nell’uso dell’olio, o meglio, della sua lavorazione. Niente a che vedere con l’innalzamento del colesterolo o la dieta mediterranea. Il problema è di tutt’altro genere e riguarda l’assunzione di quantità eccessive di olio, specialmente per bambini e ragazzi sotto i 18 anni, a cui sono dedicati la maggior parte dei prodotti in questione. Quantità facilmente raggiungibili visto che, per superare la soglia di pericolosità, sono sufficienti 3 biscotti e una merendina al giorno. Il report dell’Efsa, così come le ricerche precedenti sulla pericolosità dell’olio, non si sono tradotti in restrizioni ufficiali del mercato, ma hanno evidentemente convinto le grandi catene a sostituire l’olio di palma con altri ingredienti. Barilla, Grom, ma anche Loacker, Conad, Buitoni. La lista è talmente ampia che la battaglia salutista si è velocemente trasformata in una guerra di spot. Non è più il gusto del prodotto, la sua golosità o semplicità e tradizione ad essere il motivo dell’acquisto, ma proprio l’assenza dell’olio vegetale. Ma c’è chi alla tradizione e al gusto sembra non voler rinunciare. Ferrero, per i suoi 70 anni, è entrata vigorosamente nel dibattito con uno spot che celebra la tradizione del marchio e l’unicità di Nutella, il prodotto che ha scatenato, in maniera trasversale, la disputa sull’olio di palma. Nella pubblicità l’olio viene definito “insostituibile” e la qualità del marchio difesa da quello che sembra un tiro a segno contro Nutella.
Se anche fosse una guerra di marketing, i risultati danno ragione a Ferrero, considerato che non ha subito nessun tipo di danno economico, come conferma un articolo de “Il Sole 24 ore” del 24 aprile 2016, in cui si indica che la multinazionale della Nutella, nel 2015, ha aumentato i ricavi di 1,13 miliardi “grazie all’eccezionale dinamismo dei nuovi mercati – scrive la società nel bilancio – le vendite dei prodotti Ferrero si confermano e in alcuni casi, migliorano gli eccezionali risultati raggiunti in Asia, negli Stati Uniti, Canada, Messico e Australia”. Una forza che il marchio ha ormai consolidato e che ha di fatto rispedito al mittente qualsiasi attacco relativo all’utilizzo dell’olio. Nel giugno 2015 il ministro dell’ecologia francese, Ségolène Royal, aveva pubblicamente invitato i consumatori a fare a meno della Nutella perché “contiene l’olio di palma, corresponsabile della deforestazione”. Una crociata esauritasi in breve tempo dopo la replica di Ferrero che ha specificato di usare solo olio di palma “sostenibile al 100%”.
Dopo le dichiarazioni della Royal è partita in Francia la proposta di aumentare la tassa sull’utilizzo dell’olio di palma (chiamata anche “Nutella tax”). Proposta respinta dal Parlamento transalpino proprio pochi giorni fa e tradotta nella firma di un progetto, che verrà presentato a febbraio, per creare un’esenzione per gli oli vegetali prodotti in maniera sostenibile.