Il lodo Moro – A questo punto, il governo guidato da Mariano Rumor interpella il ministro degli esteri, l’on. Aldo Moro, per cercare di stabilire contatti e trattative con l’Olp di Yasser Arafat per arginare l’offensiva terrorista.
Questi accordi, denominati “lodo Moro”, già dal 1973, prevedevano che in cambio dell’impunità nei confronti di soggetti legati al traffico di armi e esplosivi, i palestinesi non avrebbero compiuto azioni violente in Italia o contro interessi italiani all’estero. Unica eccezione erano gli obiettivi che, a qualsiasi titolo, rappresentavano o collaboravano con i sionisti e lo Stato d’Israele.
La delega per la stipula degli accordi viene affidata a Stefano Giovannone, colonnello del Sismi, inviato a Beirut dove inizia ad intavolare trattative con emissari dell’OLP e del Fronte Popolare per la liberazione della palestina. I nostri Servizi, dunque, aprirono il canale mediorientale avvalendosi della vicinanza di Giovannone con George Habbash, leader del Fplp che espresse da subito la sua preoccupazione per l’arresto di Saleh Abu Anzeh ed il sequestro dei lanciamissili, lasciando intendere che l’organizzazione si era divisa tra falchi e colombe e che gli oltranzisti manifestavano apertamente la volontà di colpire l’Italia per punirla del mancato rispetto degli accordi.
La “punizione” per il nostro Paese sarebbe stata inflitta da gruppi esterni all’Olp per non intralciare il cammino del riconoscimento dell’organizzazione guidata da Arafat da parte dell’Italia.
Non deve stupire la continuità dell’azione-inazione dei vertici della sicurezza italiana a partire dagli anni ’70. Dalla prima strage di Fiumicino nel lontano 1973 ad oggi, con il mancato compimento di attentati islamisti in Italia nonostante le reiterate minacce dell’Isis e al Qaeda, il quadro configuratosi è il medesimo: l’Italia non ha volontà di reprimere il fenomeno terrorismo ma di prevenirlo, in modo assai discutibile, con accordi sotto-banco (“La trattativa stato – islam”, di Francesca Musacchio – Curcio editore 2019) all’insaputa degli alleati e percorrendo la strada del motto “mors tua vita mea”.
Peccato che, come già accennato, negli accordi con i palestinesi l’unica eccezione era rappresentata dagli obiettivi che rappresentavano: i “sionisti e lo Stato d’Israele”. Così alle 11,55 del 9 ottobre 1982, durante la ricorrenza di Shabbat e in contemporanea allo Shemini Atzeret e al bar Mitzvah di alcuni adolescenti, celebrazioni rituali ebraiche, un commando di cinque terroristi della fazione Abu Nidal aprì il fuoco sulla folla con armi automatiche e bombe a mano uccidendo Stefano Gaj Tachè di soli 2 anni e ferendo altre 37 persone. Ma per alcuni erano forse un mero danno collaterale.
Ma tornando ai rapporti stretti tra i vertici del Sismi e le fazioni palestinesi, il defunto colonnello Stefano Giovannone, agente G216 dell’organizzazione Gladio – Stay Behind, come detto, capo-centro a Beirut, ricevette una missiva riservata (e a “distruzione immediata”) da parte del Ministero Marina Difesa, a firma del capitano di vascello Remo Malusardi, datata 2 marzo 1978, con la quale si delegava un dipendente del Giovannone ad aprire contatti con “gruppi del terrorismo mediorientale al fine di ottenere collaborazione e informazioni utili alla liberazione dell’on Aldo Moro”. Peccato che il presidente della DC venne sequestrato il 16 marzo 1978 e che Giovannone prospettò, comunque, un’azione eclatante in Italia già con un cablogramma del 17 febbraio precedente ai fatti di via Mario Fani.
Da Beirut, già all’inizio del 1980, Giovannone inviava messaggi criptati sempre più allarmati a Roma. Le informative segnalavano i rischi di un attacco palestinese come ritorsione per la condanna dei quattro arrestati ad Ortona nel dicembre precedente e in occasione dell’appello la cui udienza è prevista per il giugno 1980. Un periodo che precede di poco la strage di Bologna e del DC9 Itavia a Ustica.
Il Fplp manifesta contrarietà ritenendo di essere stato ingannato dall’Italia e minaccia serie rappresaglie se il procedimento contro i “compagni” non finirà con la loro assoluzione e liberazione.
Nei suoi messaggi Giovannone accenna anche a Carlos lo Sciacallo, nel frattempo giunto a Beirut in preparazione di probabili attacchi a lui delegati.
Nell’ultimo cablogramma, sempre più pressante e allarmato:, Giovannone riporta che “27 giugno 1980 – H10 Habet informazioni tarda sera Fplp avrebbe deciso riprendere totale libertà di azione senza dare corso ulteriori contatti a seguito mancato accoglimento sollecito nuovo spostamento processo. Se il processo dovesse avere luogo e concludersi in modo sfavorevole mi attendo reazioni particolarmente gravi in quanto Fplp ritiene essere stato ingannato e non garantisco sicurezza personale ambasciata Beirut”.
Nell’aprile 1980 cade il governo a guida Andreotti, sostituito da un esecutivo retto da Francesco Cossiga mosso da una linea politica completamente mutata in una versione atlantista e filo-israeliana. Ancor più, Cossiga è pienamente convinto, ed assai contrariato, dei traffici intercorrenti tra i palestinesi e le Brigate Rosse, come più volte segnalato dal Generale Dalla Chiesa e come stabilito con il “lodo Moro”.
Potrebbe stupire la sinergia operativa tra le due organizzazioni terroristiche poiché, mentre i brigatisti nostrani selezionavano i loro obiettivi in base a criteri politici, escludendo a priori qualsiasi tattica stragista, i palestinesi operavano con una mentalità strettamente terrorista, comprensiva di uccisioni indiscriminate e vittime collaterali. Ma, sebbene così distanti dal punto di vista operativo, i due gruppi necessitavano l’uno dell’altro: le Brigate Rosse per il sostegno ideologico dei mediorientali e la possibilità di avvalersi della loro manodopera, i palestinesi, dal canto loro, non potevano certo rinunciare alla loro testa di ponte in Europa costituita proprio dai brigatisti e dai gruppi eversivi a loro contigui.
Il gruppo Settembre Nero non disdegnava il compimento di stragi indiscriminate pur di portare avanti la sua “battaglia” contro Israele. Ma nel suo percorso di sangue coinvolse anche innocenti che nulla avevano da spartire con la “causa palestinese”. Gli attentati di Fiumicino del 1973 e 1985, per non parlare della strage di Monaco nel 1972, ne sono una dimostrazione abbastanza ampia.
Proprio l’asse Roma-Beirut a cavallo degli anni ’70, rappresentava il fulcro di ogni attività spionistica e terroristica in Europa e nel Mediterraneo.
Un’esempio lampante è l’operazione “Collera di Dio”, sviluppata ed eseguita dal diverse squadre del Mossad contro elementi della fazione palestinese “Settembre Nero” e dei finanziatori esterni dell’organizzazione proprio a seguito della strage di Monaco del 1972, che coinvolse proprio le due capitali. Iniziata a Roma nel 1972 con l’eliminazione di Wa’il Zu’ayter nell’androne di un condominio di Piazza Annibaliano, l’operazione terminò solo nel gennaio 1979 con l’uccisione, di Ali Hassan Salameh, mente della strage di Monaco, avvenuta a Beirut con l’utilizzo di un’autobomba.
Misconosciuto per decenni, rigettato dai magistrati di Bologna, che nel 2014-15 hanno stabilito non sia mai esistito, il «Lodo Moro» ha invece ottenuto conferme autorevoli. Ne sono convinti Rosario Priore e Guido Salvini, i giudici istruttori di Ustica e di Piazza Fontana; ne sono certi politici di idee diverse come il defunto e rimpianto Francesco Cossiga e l’ex presidente della Commissione stragi, Giovanni Pellegrino per arrivare all’ex capo del Sisde, il generale Mario Mori.
Continua domani con il seguito…