Alle 9.58 del 18 luglio del 1994, un furgone carico di tritolo distrugge la sede dell’Amia, l’Associazione Mutualità Israelita Argentina, e della Delegazione delle associazioni israelite argentine nel centro Buenos Aires, uccidendo 85 persone e ferendone oltre 300.
A seguito all’attentato furono subito avviate una serie di indagini federali e internazionali che portarono all’incriminazione di membri di alto rango del governo iraniano, ad iniziare dall’Ayatollah Ali Khamenei, il leader supremo dell’Iran, che delegò per la pianificazione dell’attentato il defunto Qassem Soleimani, durante una riunione tenutasi nell’agosto 1993. A sua volta, il generale iraniano contattò l’organizzazione Hezbollah, da decenni presente ed operante in Sudamerica, da sempre braccio armato del Regime degli ayatollah.
Questo attacco mortale, il più nella storia dell’Argentina, era stato preceduto due anni prima, il 17 marzo 1992, da quello perpetrato contro l’ambasciata israeliana e che provocò 29 vittime, rivendicato dall’Organizzazione della jihad islamica collegata all’Iran e a Hezbollah. La motivazione formale fu il presunto omicidio da parte di Israele del segretario generale di Hezbollah, Sayed Abbas al Musawi, avvenuto nel febbraio dello stesso anno.
Le indagini
Gli accertamenti effettuati portarono all’identificazione del personaggio di maggior spicco, Mohsen Rabbani, all’epoca addetto culturale dell’ambasciata iraniana a Buenos Aires, in realtà agente del Vevak, il Servizio di informazioni di Teheran.
Inoltre, si accertò un notevole flusso di telefonate precedenti all’attentato tra il regime iraniano e i membri di Hezbollah in Sudamerica, in particolare in Paraguay e Argentina.
A seguito dell’attacco e delle successive investigazioni, nell’estate dello stesso anno, i diplomatici iraniani di stanza in Sud America abbandonarono le loro sedi.
Le ragioni dell’attentato risalirebbero a un presunto mancato rispetto di Israele al negoziato in corso per gli accordi sul nucleare e al presunto coinvolgimento del Mossad nell’eliminazione di Imad Mugniyeh, succeduto ad al Mussawi a capo di Hezbollah, avvenuta nel 2008.
Il coinvolgimento di Hezbollah
L’operazione suicida contro il Centro ebraico è stata portata a termine da una squadra che ha agito tra Buenos Aires, Ciudad del Este (Paraguay) e altri paesi della Sud America con l’appoggio di criminali e strutture di copertura locali.
Nel 2020, il presidente del Brasile, Jair Bolsonaro, ha rivelato che il generale iraniano Qassem Soleimani, capo dell’unità dell’Irgc “Al Quds”, eliminato con un attacco aereo americano in Iraq, era dietro l’attentato dinamitardo. Secondo Bolsonaro, Soleimani, prima di ricoprire l’incarico di comandante delle Guardie rivoluzionarie, aveva trascorsi nei gruppi terroristici e un legame molto forte con Imad Mugniyeh, rimasto ucciso il 12 febbraio del 2008 in un’esplosione nei pressi di un locale a Damasco, in Siria, nel quartiere di Kfar Suseh.
E nel rapporto stilato dalle autorità investigative di Buenos Aires, si affermava che tali Kaml Za’re e Karim Zadeh, entrambi membri della Forza Quds, si erano recati in Argentina prima dell’attentato allo scopo di predisporre l’attacco pianificando ogni aspetto logistico.
Ma i misteri continuano. Nel gennaio 2015, in magistrato Alberto Nisman viene trovato morto con una ferita di arma da fuoco alla testa. Oltre ad avere inviato all’Interpol 5 mandati di cattura internazionali per altrettanti funzionari iraniani, aveva richiesto l’arresto di Cristina Fernandez, moglie del defunto presidente Fernandez de Kirchner succedutagli nel 2010, accusandola di aver coperto il coinvolgimento iraniano nell’attacco contro il Centro ebraico.
A tutt’oggi i parenti delle 85 vittime chiedono giustizia, ma il muro di gomma non è mai stato scalfito dalle indagini e dalle richieste di rogatorie internazionali emesse dalle autorità investigative argentine.