La recente polemica innescata sull’aereo di Stato intitolato a Balbo apre ad una riflessione sul passato, sul presente e sul temperamento del nostro Popolo. Non tutti sanno che il giorno della sua morte, il 28 giugno 1940, il Maresciallo dell’Aria e Governatore della Libia, Italo Balbo, ricevette un onore per pochi. Lo Sky Marshall della Royal Air Force per il teatro nordafricano faceva infatti lanciare sul campo italiano un bussolotto contente il messaggio: “Le forze aeree britanniche esprimono il loro sincero compianto per la morte del Maresciallo Balbo, un grande condottiero e un valoroso aviatore che la sorte pose in campo avverso”.
Italia ed Inghilterra, è bene ricordarlo, erano nemiche dal 10 giugno 1940. Un omaggio non da poco, dunque, da quell’avversario che, fino all’Operazione “Torch”, sarà l’unico grande ostacolo dell’Asse alla vittoria in Nord Africa e nel Mediterraneo.
I britannici tessero parole di elogio anche alla “Folgore” per l’eroismo mostrato nella seconda battaglia di El Alamein; ma seppero pure essere caustici di fronte al temperamento degli italiani: “Bizzarro popolo gli italiani. Un giorno 45 milioni di fascisti. Il giorno successivo 45 milioni tra antifascisti e partigiani. Eppure questi 90 milioni di italiani non risultano dai censimenti…”. Insieme a quel “to badogliate” (badogliare, ndr) coniato per sottolineare l’inaffidabilità dei vertici politici del Regno d’Italia, nazione per tre anni legata alla Germania poi passata al blocco Alleato.
Memorie che non ci sono nei libri di scuola, eppure non così sconosciute all’opinione pubblica che, talvolta, ne ride quasi come si trattasse di una barzelletta, invece che provarne sana vergogna.
In quel “Bizzarro popolo” c’è l’essenza del modus operandi italiano nella Seconda Guerra Mondiale e dopo: lo scarico di responsabilità, la negazione del passato, il tentativo di costruire un futuro senza tenere conto degli errori… e delle complicità.
All’alba dell’Armistizio non eravamo un popolo di partigiani. Né nei mesi seguenti mostrammo, unitamente, il desiderio di liberarci dall’occupazione nemica. Il numero esatto dei combattenti della Resistenza è ancora argomento di dibattito: su oltre 40 milioni di Italiani (cifra complessiva, del nord sotto i nazisti e del sud sotto gli Alleati), i partigiani effettivamente operativi furono fra i 30 – stima minore – ed i 100 mila – stima maggiore – Esclusi, naturalmente, i circa 50 mila militari regolari del Corpo Italiano di Liberazione.
Ciò che invece è assodato è che, dopo il 25 aprile ’45, le liste delle prime associazioni partigiane si riempirono di nomi… di chi sosteneva essere stato partigiano.
Nella realtà dei fatti gli Italiani (come d’altronde ogni popolo in guerra) cercarono di sopravvivere, tenendosi buone tanto le autorità della RSI tanto le bande di patrioti. Sì, perché partigiano è un termine inesatto, quello storicamente corretto è “patrioti”.
In qualunque conflitto civile la popolazione subisce eccessi di ambo le parti, per poi mobilitarsi solo quando è effettiva una vittoria dell’una o dell’altra parte. Sopravvivere, quindi, è l’intento principale; le ideologie e le alte aspirazioni hanno poco peso quando combatti ogni giorno per un tozzo di pane.
Nel ’45, ci si scrollò il passato di dosso. Vittime del fascismo lo siamo certamente stati, ma nel contempo quel Regime lo abbiamo appoggiato per oltre vent’anni, giungendo a prendere a martellate fasci e teste del Duce solo il 26 luglio 1943, ventiquattrore dopo l’ufficiale deposizione ed arresto di Mussolini.
Quanto agli intellettuali anti-fascisti ben pochi affrontarono, con dignità e coraggio, la repressione fascista. Per intenderci, di Antonio Gramsci ce ne è stato uno, molti altri hanno preferito l’esilio oppure uniformarsi con l’auspicio, un domani, di poter ottenere una rivincita sul corso della Storia.
Altro elemento che ci ha spinti nella direzione del “vittimismo” fu, forse, la speranza di essere trattati con maggiore umanità al Congresso di Pace. Andò male poiché gli Alleati, che la memoria l’avevano più lunga, ci trattarono da sconfitti. D’altronde, sin dal 1943 Washington, Londra e Mosca non erano intenzionate a fare concessioni, neanche come gratitudine per l’impegno nella Resistenza. Impegno importante, chiaro, ma sicuramente non incisivo sugli esiti di un conflitto in cui la Germania stava già perdendo.
Fino a qualche anno fa, quando ancora viveva la generazione di politici, militari, giornalisti testimone dell’inferno della guerra mondiale, negare la realtà dei fatti era decisamente meno facile rispetto ad oggi. Una voce fuori dal coro? Indro Montanelli che, infatti, siamo riusciti ad attaccare e a screditare… solo dopo morto.
Avremmo potuto spendere gli ultimi 75 anni a cercare di dare una dimensione, umana e politica, al Regime ed alla Guerra civile. Niente.
Avremmo potuto divorare i romanzi di Beppe Fenoglio, ex comandante partigiano che fotografò lo scontro fra italiani senza retorica ed in tutta la sua drammaticità. No, abbiamo preferito una retorica che sfiora, a tratti, la mitologia, una narrazione storica fatta di tante testimonianze orali ma di poche fonti tali da garantirne l’attendibilità.
Già perché ogniqualvolta si sia messo in dubbio una virgola d’una verità assodata, ecco che si è urlato al revisionismo.
Ma non al revisionismo storico, al revisionismo politico! L’uso della parola tanto amata da una parte della politica, ha origine nel revisionismo al pensiero di Marx, che ha assunto maggiore senso dispregiativo nel 1956, quando cioè Nikita Krushov fu accusato di aver “revisionato” le verità ufficiali sull’operato di Stalin.
Ogni popolo ha la sua mitologia. Noi abbiamo quella nata dalla guerra civile. E’ per questo che non possiamo permetterci errori come lo studio, l’analisi delle fonti o il mettere in discussione verità da decenni ritenute inattaccabili. Insomma, fare il mestiere dello storico.
Ecco perché non chiameremo mai “Italo Balbo” un aereo di Stato. E poco importa se Balbo fosse contrario alla guerra, alle leggi razziali, se fosse voce critica nel Fascismo, se avesse lavorato per avvicinare ed equiparare libici ed italiani. Era stato un mazzolatore fascista. Tanto basta.
A chi scrive no: quando fu nominato vice Presidente della Camera un ex terrorista l’autore non si è stracciato le vesti perché, chi ha ricevuto una educazione di base, orientata al rispetto ed ai rudimenti di garantismo, è capace di non attaccarsi al passato e di non mortificare la persona pur di fare contenta una parte politica.
In fondo, la politica ha valore solo nei palazzi. La Storia, la Verità e la dignità dell’Uomo sono altresì ben superiori al consenso.
Ed anche la capacità di fare auto-critica e di ammettere gli errori del presente e del passato segna il solco, profondo, fra persone oneste e non.
Ma siamo ancora lontani da questo: se cerchiamo la verità, ci ridono in faccia. Se chiediamo la verità, ci dicono “ignoranti”.