Esiste una scuola senza compiti, senza voti, senza banchi, senza materie, senza adulti che comandano? E, se esiste, mandarci i propri figli equivale a privarli di un futuro? Se lo sono chiesti Lucio Basadone e Anna Pollio, che hanno fatto la scelta di far seguire alla propria figlia Gaia un percorso scolastico alternativo. La risposta l’hanno cercata girando un film documentario, che li ha portati a confrontarsi con ricercatori, pedagogisti, ma anche con altre persone che hanno fatto una scelta simile alla loro. Figli della libertà nasce da un progetto di crowdfunding. L’obiettivo era raccogliere 45.000 euro. Ne sono arrivati 37,890 per un totale di 1635 donatori. Dal 7 marzo, il documentario è in giro per le sale. Sono proiezioni uniche, seguite da un dibattito.
Anna, girando il documentario avete trovato una risposta alla domanda iniziale? Si può avere un futuro effettuando un percorso educativo alternativo?
“Come si vede nel film, abbiamo incontrato persone adulte, che fanno lavori interessanti e di ogni genere, che hanno avuto una formazione simile a quella che stiamo offrendo a nostra figlia…di più non posso dire altrimenti svelerei il cuore del nostro lavoro”.
Tornando indietro, quindi, si può dire che rifareste la stessa scelta?
“Sì”.
Perché avete deciso di far fare questo percorso alternativo a vostra figlia?
“Quando siamo tornati dal viaggio di 6 mesi intrapreso per girare Unlearning (ndr il loro documentario precedente), Gaia cominciava la prima elementare. Nel girare il film avevamo incontrato famiglie che avevano stili di vita diversi dal nostro, bambini che frequentavano la scuola steineriana o che praticavano l’homeschooling. A noi era rimasta nella testa questa cosa di un’educazione alternativa, ma alla fine è stata Gaia a chiederci di vivere quel tipo di esperienza. Inizialmente abbiamo optato per l’educazione parentale, ma poi, siccome nostra figlia è figlia unica, abbiamo scelto l’educazione parentale condivisa, la “scuolina” come la chiamano i bambini, un luogo dove i nostri figli si vedono tutti i giorni, guidati da degli educatori, ma noi genitori ci vediamo abbastanza spesso per parlare e confrontarci con scelte educative e/o pratiche, non deleghiamo la loro istruzione alla scuola.
Sapevamo dell’esistenza questa associazione a Genova. Non è nulla di inventato: l’insegnamento si basa sui metodi di grandi pedagogisti come Maria Montessori, Rudolph Steiner, Celestine Freinet”.
Nel documentario si vede che i bambini vengono in continuazione interpellati su cosa vogliono fare. La scelta alla fine è, comunque, frutto di un compromesso: ciò che desidera fare la maggioranza. Nel dibattito post proiezione a cui ho assistito, alcune mamme o insegnanti sollevavano il problema che, alla fine, può essere estenuante per i bambini dover sempre fare una scelta. Voi cosa ne pensate? Avete mai avuto modo di parlarne con sua figlia?
“La scelta non è a maggioranza, ma si cerca di raggiungere il consenso. Si può rimandare una decisione, se non si riesce a trovare una soluzione e, comunque i bambini non sono lasciati a sé stessi nelle scelte, ma sono accompagnati dall’educatore. A volte è un compromesso a volte no. E poi ci sono le regole basilari. Quelle sono dettate dai genitori”.
Ad un certo punto viene chiesto ai bambini che seguono questo percorso di studio se qualche volta si annoiano. Rispondono tutti di sì. Una, molto simpatica, dice “anche adesso mi sto annoiando”. Al di là della motivazione che vi ha spinto a fare questa scelta, dell’idea di un’educazione parentale condivisa, siete soddisfatti del percorso formativo affrontato da vostra figlia, di come l’idea è stata poi messa in pratica?
“Sì, siamo contenti, perché un bambino ha il diritto di annoiarsi. Sono in molti gli studiosi che sottolineano l’importanza della noia per alimentare la creatività e scoprire le proprie inclinazioni”.
Mi sembra che però anche la scuola normale in quanto a noia non abbia nulla da invidiare alle “scuoline”.
“La differenza è che nella scuola normale il bambino che si annoia viene punito e, quindi, di fatto non gli viene riconosciuto il diritto di annoiarsi. Nella “scuolina” il bambino può decidere quel giorno di non aver voglia di fare una certa materia o magari che quel giorno preferisca leggere un libro”.
Come potrebbe migliorare, a vostro avviso, questo tipo di esperienza?
“Credo che quello che dovrebbe migliorare sia il rapporto fra genitori. Perché noi genitori siamo chiamati a partecipare alle scelte educative. Quello che emerge durante le riunioni è che noi adulti siamo fottuti, perché l’impostazione scolastica te la porti dentro. Non siamo abituati a parlare di emozioni. Nella “scuolina” c’è il cerchio dove i bambini parlano anche di emozioni. Possono, per esempio, esprimere la propria rabbia. Per noi adulti è più difficile relazionarsi.
Ed è faticoso. Siamo sempre tutti di corsa, ma come utilizzi il tempo dipende da cosa vuoi costruire”.
Voi avete viaggiato per l’Italia e siete stati anche in Inghilterra per visitare la Summerhill School che esiste dal 1921. Quello che mi sembra emergere da tutte queste esperienze è una carenza di formazione matematica. Lei, oltre che madre e regista, è anche un’insegnante della scuola secondaria “normale”. Ti chiedo, in questa doppia veste, ma davvero non è possibile trovare un modo per veicolare questa forma di conoscenza in modo da far appassionare i bambini?
“Sì, è possibilissimo. E poi la matematica ha a che fare con l’arte. Pensa al numero aureo. Il fatto è che la “scuolina” si propone di lasciare il tempo al bambino di scoprire il suo interesse, di far sì che i bambini seguano i propri ritmi. Se sono predisposti per la matematica, la approfondiscono. L’ideale sarebbe mettere dei livelli di apprendimento in modo che la gestione degli interessi sia libera. Nella Summerhill School è così: vengono proposti vari corsi e l’alunno sceglie cosa frequentare. Se, per esempio, un ragazzo in età di scuola media è appassionato di matematica potrebbe studiare con i ragazzi del liceo”.
Questa esperienza la ha cambiata come insegnante?
“Io ho preso tutta l’aspettativa che ho potuto per effettuare questa ricerca sulla pedagogia e la didattica, che naturalmente sono argomenti che mi appassionano.
Sono tornata a insegnare da gennaio. Se mi ha cambiata…certo che mi ha cambiata! Alcune cose ora per me sono diventate insopportabili, come la valutazione. Da autrice spero si accendano discussioni attorno alla scuola. Da insegnante, dentro una griglia prestabilita, metto in pratica ciò che posso. Non è semplice mediare”.
Perché avete deciso di trasformare questa esperienza in un documentario?
“Noi siamo per la costruzione di un nuovo immaginario di scuola e abbiamo cercato di dare il nostro contributo. Siamo per una scuola a misura di bambino. I pedagogisti sono contro i voti a scuola. Perché non recepire questo input? Il nostro obiettivo non è demonizzare la scuola pubblica, ma incentivare il dibattito. Vogliamo portare attenzione sul dialogo educativo. Monica Guerra, ricercatrice della Bicocca, dice “Se una cosa fa bene a un bambino perché non può essere a vantaggio di tutti?”
E i genitori devono contribuire a questo dibattito. Secondo noi i genitori devono riprendere in mano la genitorialità, partecipare alle scelte”.
Al termine dell’anno scolastico avete fatto fare a vostra figlia l’esame presso la scuola pubblica? Perché? E’ obbligatorio?
“Non è obbligatorio. Si può scegliere di farlo annualmente o al termine della quinta, ma, fondamentalmente, abbiamo scelto di farglielo fare per una nostra insicurezza, come abbiamo anche detto nel documentario”.
E per la scuola media cosa pensate di fare? Ci state ragionando?
“Gaia fa la seconda elementare. E’ prematuro. La vita è un divenire, per cui cerchiamo di essere elastici nelle scelte. Io spero che saremo in viaggio”.