Quando ero piccola, mia nonna mi raccontava di un mondo senza elettricità, che si spegneva quando il sole cadeva dietro la linea dell’orizzonte. Io mi sforzavo di immaginarlo, ma era davvero difficile per me e credo che lo stupore trapelasse dal mio sguardo. Quello stesso stupore vedo negli occhi dei mie figli, quando racconto loro di un mondo senza computer (o meglio i computer c’erano, ma erano grandi come un monolocale), del telefono con il filo e dei lucchetti che i genitori applicavano per non farci telefonare.
La velocità con cui il mondo evolve, almeno sul piano tecnologico, cresce in progressione geometrica: ho sentito alla radio che Cleopatra è più vicina all’apertura del primo Pizza Hut che alla costruzione della piramide di Cheope.
Tutto questo pone una domanda: in questo mondo coinvolto in un’accelerazione temporale impazzita, siamo in grado noi genitori, ominidi dell’era digitale, che stiamo al telefonino come i proto-uomini stavano ai primi grafemi, di educare i nostri figli, cresciuti invece a pane e hashtag, di fornire loro gli strumenti per districarsi in un mondo che, per molti di noi, è oscuro?
Qualche giorno fa sono stata al Convegno Generazione hashtag# Gli adolescenti dis-connessi tra cyberbullismo, social e scuola, organizzato dall’Osservatorio Nazionale Adolescenza.
Sono state dette moltissime cose interessanti, ma tutti i relatori, che fossero insegnanti, magistrati, psicologi o poliziotti, convenivano su una cosa: la battaglia contro il cyberbullismo si vince sul piano educativo.
I due attori principali di questo processo sono i genitori e la scuola, che è formata a sua volta da persone, che siano insegnanti o personale dirigente, tutti nati prima che la Apple tirasse fuori dal cappello magico lo smartphone, cambiando per sempre la fisionomia del mondo.
Io credo che la risposta sia affermativa, perché ciò che emerso dal convegno e anche dalla mia esperienza di pioniera della rete, è che, se i fenomeni nel mondo virtuale vengono velocizzati e amplificati, perché crescono anch’essi in progressione geometrica, rimangono sempre profondamente radicati nel mondo reale.
Avventurarsi nel web, equivale ad uscire nel mondo e, come nel mondo reale, le persone subiscono l’impatto di ciò che viene detto, provano emozioni, frustrazioni. Bisogna educare i propri figli alla consapevolezza che le proprie azioni producono un effetto, alla responsabilità, all’empatia.
È necessario insegnar loro a soffermarsi a pensare prima di premere il tasto invio (e magari qualche volta ricordarcelo anche noi adulti): a come impatterebbe quella stessa cosa postata sulla nostra di bacheca, non dimenticando che comunque esistono delle sensibilità diverse dalla nostra; a cosa stiamo condividendo con gli altri: se nella realtà non fermiamo per strada la prima persona incontrata e ci mettiamo a raccontargli dettagli importanti della nostra vita, né ci mettiamo all’angolo della strada a distribuire le nostre foto più personali, non si vede perché dovremmo farlo nel web. Devono sapere che ciò che noi postiamo, anche se le nostre impostazioni di privacy sono “a prova di bomba”, possono essere condivise da qualcuno che non ha la stessa accuratezza e una screenshot (la foto alla schermata) può riprodurre qualsiasi cosa sia visualizzabile su uno schermo. Insomma, un po’ come quando nella realtà facciamo una confidenza a una persona sbagliata: la dice a Tizio, che la dice a Caio, che la dice a Sempronio. Solo che Sempronio, in questo caso, è il mondo intero, sempre a causa della progressione geometrica. In più, se tizio nel mondo reale “dice”, nel mondo virtuale rimane la prova, che sia testo o immagine.
L’adagio con il quale la mamma ci accompagnava sulla porta di casa “non dare confidenza agli sconosciuti”, vale anche nel web. Almeno fino a una certa età. Poi bisogna accettare che, da un certo punto in poi, non sarà più così. Io stessa ho conosciuto nella vita reale persone che ho incontrato nella rete, con cui collaboro o con le quali ho instaurato un rapporto di amicizia e conosco gente che si è sposata e ha messo su famiglia. È importante, però, spiegare loro, fin da quando sono piccoli, (a diciassette anni probabilmente non ci ascolteranno più) che anche qui vale il buonsenso: non si incontrano sconosciuti in contesti isolati, non lo si fa da soli. Esistono raduni di tutti i tipi, che sono le migliori occasioni per portare il virtuale nel reale. Prima di fidarsi di qualcuno bisogna conoscerlo, conoscere il suo ambiente. E poi la rete mette a disposizione tantissime informazioni e si possono incrociare le fonti.
Un’altra cosa che è emersa, è che i ragazzi compensano con internet la mancanza di dialogo con gli adulti. Se, per esempio, si tralascia di informare i ragazzi in materia di sesso, loro andranno a reperire le informazioni nel web e, molto spesso, la fonte privilegiata utilizzata è il mondo del porno, per cui molti adolescenti utilizzano il Viagra la prima volta, per paura di non essere all’altezza di quelli che sono i loro modelli.
Ho fatto l’esempio del sesso, ma non è solo questo.
Il web è un contenitore mondiale di informazioni non filtrate di tutti i generi, su tutti gli argomenti, pieno di falsità, a volte riportate ingenuamente, a volte costruite a tavolino, nel quale trovano asilo forum di aspiranti suicidi e gruppi di anoressici.
Mantenere aperta la comunicazione con i propri figli vuol dire essere per loro una fonte autorevole con cui confrontarsi, fungere da filtro in un mondo in overdose da informazione.
Ma parlare con i figli non significa solo sommergerli di parole. Bisogna fin da piccoli accompagnarli nell’espressione. E’ necessario insegnar loro a dare un nome alle proprie emozioni, per poi imparare a riconoscere e a rispettare quelle degli altri. E un dialogo vero si apre quando ci si predispone all’ascolto privo di giudizio, quando si stimola il bambino a trovare delle risposte personali, anziché impartire ordini, a rispondere a una gamma di bisogni, più sofisticati del mangiare, bere e vestirsi, ma altrettanto fondamentali.
Perché i nostri figli devono imparare ad utilizzare la loro capacità di giudizio fin da piccoli. Possiamo creare un falso account su fb e chiedere loro l’amicizia per controllarli, ma un domani ne apriranno uno su twitter, uno su instagram e poi nel social network che verrà, di cui magari ignoreremo persino l’esistenza, e noi non ci saremo. Così come non ci saremo, quando la sera usciranno di casa per andare a ballare. E allora sarà fondamentale ciò che avremo trasmesso loro negli anni, come li avremo seguiti e preparati; si vedrà, insomma, se noi, generazione di #ominidi digitali, saremo stati capaci di cogliere la sfida di questo mondo che accelera in progressione geometrica.
Primi passi in rete
Il dialogo che si costruisce anche con la complicità, magari incominciando ad esplorare il web insieme ai nostri bambini e scoprire tutti quei giochi educativi che nel web insegnano a stare, come Wild Web Woods del Consiglio di Europa o quelli sul sito della Polizia di Stato.
All’interno del progetto europeo Daphne, un consorzio di Enti pubblici e privati, fra cui il Ministero della Pubblica Istruzione ha messo in rete Tabby.
Per i più grandi
Gli stessi social network mettono a disposizione degli utenti e delle famiglie numerosi strumenti