Sono sempre di più i ragazzi italiani che trascorrono un periodo di tempo all’estero, per frequentare un anno scolastico, o parte di esso, in Paesi diversi dal proprio. Il ministero della Pubblica Istruzione promuove l’esperienza e, certe volte, anche le scuole si attivano per promuovere programmi di mobilità. Fondazioni, come Intercultura, elargiscono borse di studio ad hoc in base a criteri di reddito e di merito. Spinti dalla necessità di imparare le lingue e, al tempo stesso, dal desiderio di confrontarsi con altre culture, sono stati circa 7.400 gli alunni delle superiori che, nell’anno scolastico 2015-2016 hanno accettato questa sfida, il 111% in più rispetto al 2009. Luca è uno di loro.
Cosa ti ha spinto ad andare un anno all’estero e perché hai scelto come meta il Canada?
“Per imparare l’inglese. Ero già stato tre volte in Cina e ciò ha accresciuto in me il desiderio di conoscere altri Paesi, di fare un’esperienza culturale diversa”.
Cosa hai pensato appena arrivato lì, solo in un Paese nuovo?
“Sono nato in Germania. Andare in Canada, mi ha riportato alla mia infanzia. In Canada, così come in Germania, le persone sono molto più rilassate e tutto è più ordinato”.
Che tipo si sistemazione avevi e come ti sei trovato?
“Sono stato in famiglia. La prima era filippina, ma era evidente che mi ospitava solo per soldi. Ho cambiato e sono andato con una famiglia di giovani canadesi che erano simpatici e mi sono trovato benissimo”.
Parliamo di scuola. Come è stata l’esperienza e quali sono le differenze tra il sistema scolastico italiano e quello canadese?
“Ho avuto l’opportunità di frequentare corsi diversi tra cui Social Studies, Macroeconomia AP (livello avanzato) e Calculus AP. All’interno della scuola si scelgono le materie da seguire che, di solito, sono quattro per semestre (o quattro al giorno alternate in “Day 1” e “Day2″ come nel mio caso). La scuola Canadese è più pratica che teorica, ma soprattutto, più che una preoccupazione sulla quantità o sulla qualità del sapere, ci si concentra sulle relazioni umane. Si investe sull’ambiente scolastico e sulle relazioni”.
Cosa ti ha dato la scuola italiana che ti ha permesso di affrontare quest’esperienza di studio?
“Il merito della scuola italiana è di coltivare il pensiero critico divergente. Quello che ho notato in Canada è che non hanno un pensiero fondato su ragioni dimostrabili. Non sono capaci di argomentare le loro ragioni”.
Cosa dovrebbe importare la scuola italiana da quella canadese?
“Dal Canada porterei un pò di allegria. Mi piacerebbe che il professore di matematica arrivasse in classe con la cioccolata calda per gli alunni, come accadeva lì”.
Cosa invece alla luce di questa esperienza dovrebbe cambiare?
“Qui i professori devono seguire il programma ministeriale e presentare il loro programma e poi devono rispettare i tempi che si sono dati. Lì i professori fanno il loro programma, senza l’obbligo di presentarlo e questo li rende più rilassati”.
Che idea ti sei fatto di quel Paese?
“I canadesi hanno un’idea del loro Paese come del più tollerante al mondo. Vogliono far vedere che sono capaci di integrare chiunque, ma la verità è che il modello scolastico (dove le aule sono divise per materie e non per classe. I ragazzi scelgono le materie da seguire e si spostano in base all’orario delle lezioni) agevola la formazione di piccoli gruppi. La divisione per corsi non aiuta le relazioni. Mi ha molto colpito quest’ossessione dei canadesi per la tolleranza e il rispetto che, però, sono in realtà privi di un retaggio culturale. In pratica non è veramente sentito ma, tutto sommato, meglio così che nulla. Un pò di tolleranza in più non guasterebbe qui”.
Come hai vissuto le differenze culturali con i tuoi compagni all’estero? C’è qualche aneddoto in proposito che ci puoi raccontare?
“Loro pensano che gli italiani gesticolino, per cui tutti enfatizzavano i gesti parlando con me”.
So che al ritorno bisogna rimettersi in pari con il programma italiano. E’ faticoso?
“E’ stato faticosissimo. Quando torni devi rimetterti in pari ma, mentre tu ti rimetti in pari, loro vanno avanti e quindi devi rimetterti in pari di nuovo e così via. In pratica non si finisce mai”.
Nonostante il duro impegno lo rifaresti?
“Lo rifarei sicuramente, ma con il senno di poi consiglierei di stare all’estero solo 4 mesi”.
Come ti ha cambiato quest’esperienza? Il fatto di vivere da solo, di essere in un altro Paese.
“Per motivi di studio, io vivo fuori casa, sono abituato a stare da solo, per cui su di me l’esperienza di un anno all’estero non ha avuto un impatto da questo punto di vista. Però mi ha cambiato molto dentro e nelle relazioni con gli altri. Sono molto più open-minded, molto più aperto in generale. Non discuto più su tutto e sono diventato molto più tollerante. In Italia, invece, si litiga sempre, anche per le piccole cose”.
@SimonaRivelli