Vi sentite insoddisfatti? Il vostro lavoro è diventato un peso? Secondo Kene Iloenyosi, coach e fondatore di Talent Revolution, autore del libro DNA of Talent: A Blueprint for Discovering Your Talents and Putting Them to Work, la causa è da ricercarsi nel fatto che non applicate il talento di cui siete dotati alla vostra vita lavorativa.
Intendiamoci, qui non si sta parlando necessariamente di genialità, ma di abilità o predisposizioni naturali che ciascuno possiede.
In pratica, spiega l’autore, il talento è il sentiero di collegamenti neurali che si crea durante lo sviluppo. Citando il lavoro di Daniel Coyle’s (The talent Code), spiega che la ripetitività dei gesti fa sì che si attivino i processi di mielinizzazione intorno a un preciso circuito cerebrale, ovvero che si depositi la mielina, una sostanza lipidica che isola elettricamente il neurone, permettendo alle informazioni di viaggiare più velocemente. In pratica, l’origine del talento risiede in come si sviluppano i nostri circuiti e può riguardare qualsiasi campo: il modo di parlare, di pensare, di organizzare le informazioni, l’abilità nel lavoro manuale.
A volte queste capacità sono ben evidenti, altre volte bisogna andarle a scovare.
Come? Ripercorrendo la propria infanzia, la primissima soprattutto, perché la mielinizzazione riguarda i primi anni di vita, riallacciando il filo dei propri ricordi, andando in giro a intervistare nonni, parenti, genitori. Magari guardando i propri disegni, se sono stati conservati. Cosa ci piaceva fare? Come agivamo? Persino nel modo in cui separavamo le verdure dalle altre pietanze nel piatto può risiedere un talento organizzativo.
Quanto più il talento viene individuato precocemente e incentivato, tanto più si valorizzerà. Naturalmente non basta di per sé avere talento. Come tutte le cose importanti necessita di essere nutrito. Bisogna acquisire competenze, formarsi e, se non si è cresciuti lavorando sul proprio talento, il processo potrà risultare più faticoso, ma i risultati valgono lo sforzo.
Infatti, quando una persona lavora nella sua “zona di talento”, grazie alla velocità dei circuiti cerebrali che si sono formati, necessita di minor concentrazione in ciò che sta facendo, perché, proprio come quando guidiamo la macchina, le cose vanno in automatico, permettendo al cervello di sviluppare creatività e idee. Insomma, occorre meno sforzo per ottenere risultati migliori.
Ma, soprattutto, ci rende più felici.
E se non si è seguito il proprio talento, bisogna gettare all’aria la propria vita? Sicuramente no. Intanto, secondo l’autore, una volta diventati consapevoli delle proprie abilità, a volte basta cambiare il proprio modo di lavorare, per poter utilizzare il proprio talento all’interno del proprio ambito lavorativo. A volte può essere sufficiente chiedere un trasferimento a un altro servizio/reparto/ufficio.
Ci sono scelte, invece, che richiedono un cambiamento radicale della propria vita. In questo caso bisogna pianificare, studiare, progettare. Può essere utile trovare un coach o un mentore, che ci aiuti a focalizzare gli obiettivi e i mezzi necessari per raggiungerli. Qualcuno che ha intrapreso quella determinata strada prima di noi. E poi via…un salto nel vuoto, come quello compiuto dall’autore del libro, che trasformatosi da missionario a coach, è volato sulle ali del suo sogno americano, dalla Nigeria agli Stati Uniti, dove, dopo aver svolto varie attività imprenditoriali, ha finalmente capito come applicare il suo talento: aiutare gli altri a trovare il proprio, per costruirsi una carriera felice e gratificante. E, se lo dice lui…
@SimonaRivelli