La storia di Indy, la bimba inglese di 8 mesi afflitta da una gravissima patologia degenerativa ed incurabile, sottopone tutti noi a dilemmi etici e morali, oltre che a una grande pena nel cuore.
Pena perché questa piccolissima creatura non avrebbe avuto un futuro davanti a se, a prescindere dalla decisione della corte di giustizia inglese che ha deciso di staccarle la spina di quei macchinari che la tenevano in vita artificialmente.
Viene da domandarsi, anche leggendo l’ottimo articolo della ricercatrice Sara Novello di questa mattina, pubblicato su questo sito, quanto e come la scienza abbia investito tempo e risorse nella ricerca delle cura di una malattia come la Sindrome da Deplezione del DNA Mitocondriale, che colpisce un numero così esiguo della popolazione mondiale, lo 0,005% e quanto le grandi multinazionali del farmaco dedichino sforzi e finanze a trovare soluzioni a patologie così rare.
Quello che sconcerta però è la decisione dei giudici britannici, presa senza il consenso dei giovani genitori che invece hanno sperato fino all’ultimo di tenere la piccola agganciata al treno della vita, in un afflato così tenero ed umano da lasciare senza fiato al pensiero.
Il nostro governo intanto aveva generosamente concesso alla piccola la cittadinanza e con essa la possibilità di poter venire in Italia a curarsi presso una struttura di eccellenza come il Bambino Gesù di Roma, ma anche qui la posizione di Londra è stata irremovibile. Alla bambina non è stato dato il permesso di muoversi dal Regno Unito ed é stata trasferita in un hospice locale e non a casa come avevano chiesto i genitori.Lo spostamento presso l’abitazione giudicato “troppo pericoloso” ma, vista la situazione, cosa poteva esserci di così pericoloso visto l’epilogo triste e scontato?
Quante contraddizioni ci sono in un mondo dove a degli adulti, malati terminali che soffrono pene indicibili e che hanno la consapevolezza e la coscienza di poter scegliere, non viene concesso di poter morire serenamente, mentre in questo caso non si è permesso a dei genitori di poter scegliere la sorte per la loro bambina nata da pochi mesi.
È vero, la legislazione varia da paese a paese, ma usare un criterio universale e che tenga conto dei sentimenti di noi umani è così impossibile?
Certo, l’accanimento terapeutico va evitato quando e per quanto possibile, ma il dubbio se il legislatore possa sempre e comunque sostituirsi alla patria potestà di un genitore rimane.
Perché deve essere una corte di giudici a stabilire quando, come e dove un paziente dovrà lasciare questo mondo? Perché nel caso di Indy non le è stata data la possibilità di venire in Italia, come proposto dal governo italiano, per tentare il possibile e l’impossibile, mentre si è scelto di arrendersi e di gettare la spugna, stabilendo la sua sorte e lasciando affranti i genitori e tanta opinione pubblica che in questo momento soffre al pensiero di questa triste storia?
Sono queste domande che ci lasciano attoniti, addolorati e senza risposta, ma che lasciano un dubbio legittimo: esiste una giustezza etica e morale nei sistemi giuridici che hanno il primato sull’essere umano?
Certamente se la bambina avesse sofferto pene indicibili probabilmente sarebbero stati gli stessi genitori a scegliere la soluzione meno dolorosa per lei, ma era arrivato quel momento? E si poteva e doveva fare di più per lei e permetterle almeno di morire in casa e non in una fredda e asettica struttura ospedaliera, dando così un minimo di conforto ai poveri genitori?
Di sicuro la corte inglese si è presa la responsabilità di decidere per loro.
Può essere giudicata arbitraria questa decisione, seppur confortata dal dispositivo di legge? Ovviamente la risposta viene lasciata alla coscienza di ogni singolo individuo ma di certo rimane inspiegabile l’ottusità, di fatto, con la quale l’Inghilterra ha seguitato a non concedere alla famiglia di Indy il diritto di poter curare la propria bambina come e dove meglio credessero.
Ora Indy è morta, il dolore e il raccoglimento sono quello che dobbiamo a questo piccolo angelo volato in cielo, assieme alle nostre preghiere.