E così Gad Lerner decide di salire in cattedra, dalle pagine de ‘Il Fatto Quotidiano’ del 23 maggio 2024, per insegnare a Liliana Segre che esista seriamente la possibilità che Israele, in ragione della sproporzione della sua risposta all’attacco di Hamas del 7 ottobre 2023, possa subire una sorta di contraccolpo storico-ermeneutico in termini di inversione di responsabilità e di attuazione di violenze radicali e indicibili, nel senso che oggi non si potrebbe nascondere che a praticarle, in maniera insopportabile e anti-umana, sia proprio chi le abbia patite in modo assoluto e totale, ovvero quel popolo ebraico che, divenuto Stato di Israele, pare sia esso stesso in grado di tracciare una nuova e paradossale linea di senso delle dimensioni della brutalità e della prepotenza, tali da porlo sul banco degli imputati, ora, come popolo, da parte della Corte internazionale di giustizia, per l’appunto per ‘genocidio’ della popolazione palestinese – nonostante Lerner sembrerebbe non condividerne l’applicazione abusiva allo Stato ebraico, anche se il senso generale del suo discorso didascalico farebbe credere il contrario, alla fine dei conti –, ora in riferimento a singoli individui che lo rappresentano politico-internazionalmente in modo pieno, quali il primo ministro Benjamin Netanyahu e il ministro della difesa Aluf Yoav Gallant, da parte della Corte penale internazionale, per crimini di guerra e per crimini contro l’umanità, per il giornalista ebreo-italiano fattispecie del tutto accettabili e condivisibili.
Il ragionamento di Lerner, però, parte da due presupposti in sé discutibili, per quanto apparentemente connotati e rivestiti da buon senso (‘etico’). Il primo – implicito e quasi nascosto nel richiamo alle manifestazioni di dissenso e agli accampamenti pro-pace, ma principalmente anti-Israele, negli atenei, italiani e d’oltreoceano, di numerosissimi studenti, e anche docenti, universitari – riguarda l’impossibilità di non certificare che la sollevazione giovanile contro la devastante azione militare di Israele nei confronti dei palestinesi sia provvista di una giustificazione plausibile, nel senso che sarebbe impensabile che tanti individui alle più diverse latitudini dell’ecumene terrestre possano combattere per una causa comune, se questa non fosse intrinsecamente e universalmente giusta. Quasi a dire che sia la quantità dell’adesione a essa a legittimarne posizione in essere, natura e qualità. Tale tacita direttrice ragionativa è però dimentica che anche e soprattutto certe idee malvagie e tremendamente contro-morali, tradottesi, poi, in persecuzioni e azioni omicide di massa, hanno potuto nella storia contare su grandi numeri di suoi sostenitori, e che, dunque, non è invocando la matematica e la tassonomia che il contenuto delle cause, immediatamente e implicitamente, può e/o deve essere riconosciuto per forza nella sua giustezza. Anche la convinzione nazista relativa all’eliminazione degli ebrei dall’Europa ha incontrato il favore, obliquo e celato, quando non proprio evidentemente espresso, di una ragguardevole quantità di Stati e di individui, che l’hanno volta volenterosamente e alacremente in urgente e necessaria pratica sterminazionistica o in collaborazionismo eliminazionistico, ma non per questo è da ritenere giusta in sé.
Il secondo presupposto – del tutto esplicito – concerne il riconoscimento circolare e autoritorsivo della bontà degli effetti della lezione storica e morale di Segre, individuabili proprio nelle proteste di quei giovani studenti delle più diverse accademie, i quali, per Lerner, sono sicuramente gli stessi che partecipavano agli incontri sull’antisemitismo in cui la senatrice a vita parlava come testimone oculare e diretta dei fatti olocaustici. In pratica e paradossalmente, l’anti-israelismo contemporaneo sarebbe il frutto maturo e consapevole, e per questo ancora maggiormente comprensibile, giustificabile e apprezzabile, proprio degli insegnamenti delle vittime ebree sull’antisemitismo, in grado di porsi come nucleo di conoscenze e complesso di strumenti fondamentali per il riconoscimento e il relativo rigetto delle violenze subite dagli ebrei, di cui ormai si è imparato a riconoscere segni e fenomenologie. Insomma i ‘protestanti anti-israeliani’ di oggi rappresenterebbero l’incarnazione – pazienza se contro Israele e il popolo ebraico nella sua presenza territoriale e ‘globale’ – del ‘Mai più!’ quale messaggio ordinariamente associato alle innumerevoli Giornate della Memoria e riverberante la necessità di stanare, condannare e rigettare tutte le forme di violenza, paritetiche o addirittura superiori, rispetto a quelle manifestatesi e attuate dai regimi totalitari contro gli ebrei nel cuore dell’Europa nel primo Novecento. Israele, quindi, non solo starebbe meritandosi di essere criticato e giudicato nella sua azione cinica e incontrollata nei confronti dei palestinesi, ma non avrebbe alcun titolo a lamentarsi di questo trattamento, visto che proprio la sua storia di barbarie patìta rappresenterebbe la base ineludibile da cui partire per la stigmatizzazione della violenza estrema, da cui Israele come Stato non può emanciparsi in termini di responsabilità ed effettuazione per il solo fatto di esserne stata ‘un tempo’ la vittima, mentre ‘ora’ interpreterebbe la parte del carnefice, ovvero dell’esecutore materiale di quelle aggressioni spietate.
Proprio in virtù di tale impostazione del discorso, allora, Lerner, pur nel rispetto che nella sua lettera-articolo sempre mostra nei confronti della senatrice ebrea, sostenendo di condividere la sua posizione critica nei confronti dell’esagerazione dell’attribuzione a Israele del reato di genocidio, non manca di ammonire, bonariamente quanto sostanzialmente e severamente, Liliana Segre circa la possibilità concreta che lo stesso atteggiamento di respingimento delle critiche e degli attacchi pluri-frontali a Israele, anche intra-ebraici, sulla gestione e conduzione del post-7 ottobre, compreso quello di Segre stessa, sia alla base dell’inasprimento e dell’aumento vertiginoso dei casi e dei fenomeni di antisemitismo. Come al solito, dunque, nella storia degli ebrei, essi sarebbero responsabili tanto del male sofferto da altri quanto del proprio. Una colpevolezza ebraica infinitamente inesauribile nel tempo e nello spazio, che si concreta attualmente tanto nella capacità degli ebrei, oggi soprattutto in veste di israeliani, di essere artefici e realizzatori di una violenza sistematica, se non ancora genocidaria, sicuramente compatibile con la criminalità di guerra e contro l’umanità, e del tutto comparabile con quella subita per mano nazista, quanto nell’audacia ebraica, assolutamente inconcepibile e riprovevole, di ricusare, come fa l’attuale senatrice della Repubblica italiana, ex tredicenne deportata, l’accusa di genocidio, in tal modo giustificando la riemergenza e la riarticolazione di un antisemitismo in fondo mai del tutto estirpato e, al contrario, in grado di covare sotto la cenere, pronto a riesplodere. In tutto questo, il massacro compiuto dal ‘terroristico’ palestinese Hamas del 7 ottobre, sopportato dagli ebrei e generatore della robusta risposta militare ‘regolare’ dello Stato sovrano ebraico contro il gruppo paramilitare e i suoi convergenti altri militanti jihadisti, rimane una semplice formula verbale, svuotata completamente della crudezza illimitata della ferocia con cui quella mattanza anti-ebraica è stata espletata, con una consapevolezza e un perverso godimento umano/non-umano/a-umano per le sofferenze inferte sino a livelli insopportabili da chiunque, mentre, al contrario dovrebbe essere ancora più veementemente messo a tema invece di essere glissato e sorvolato con tanta, troppa leggerezza.
Questa, sì, colpevole! E in alcuni casi, anche da parte ebraica, ma forse, comprensibilmente, per una sorta di senso del pudore o anche per incapacità di credere che sia ancora possibile che gli ebrei, dopo Auschwitz, siano destinatari di ‘trattamenti speciali’ come quelli violenti riservati loro, in quanto ebrei-israeliani, da parte di Hamas e compagni. E come quelli, non tanto critici – pur legittimi –, ma demonizzativi e delegittimativi dell’esistenza di Israele da parte di Stati occidentali che oggi, con straordinaria(?) animosità e convinzione, da un lato, boicottano le relazioni scientifico-accademiche con quello, dall’altro, sostengono con soddisfazione e appagamento qualsiasi accusa venga mossa a governo e Stato israeliano in ordine alla sua amministrazione del conflitto armato con Hamas, quasi che esso non sia impegnato in una guerra bi-lateralmente partecipata, per di più del tutto inedita e complessa data la sua natura non ordinariamente urbana e regolare, ma in un attacco mono-direzionale, che non preveda la partecipazione di alcun contendente, ovvero Hamas, che in tale narrazione sparisce di colpo, per magia, come le inqualificabili violenze perpetrate a danno degli abitanti inermi del sud della Striscia di Gaza in quell’ormai ‘intangibile’, ‘indicibile’, ‘metafisico’ e ormai lontano 7 ottobre. Sintetizzando, dunque, in modo brutale: Israele deve subire, non deve rispondere e non deve alimentare l’antisemitismo, serpeggiante nel cuore dell’Occidente e, in maniera strutturale, nelle vene islamico-islamistiche. Detto ancora diversamente: Israele, rispetto alla macelleria organizzata e praticata da Hamas contro i suoi cittadini ebrei, avrebbe dovuto solo astenersi da qualsiasi replica militare, oppure, mantenendosi perfettamente lucido, metterne in atto una perfettamente quanto democraticamente(?) equilibrata, compiacersi paradossalmente della solidarietà e dei piagnistei compassionevoli dei ‘popoli della terra’, uniti profondamente nel dolore che ha colpito lo Stato ebraico, accettare messaggi di cordoglio, di sostegno e di invito alla ripresa morale da parte delle diverse cancellerie nazionali, battersi il petto per i suoi errori strategici e presentarsi ancora una volta in ambito pubblico internazionale come la vittima che piace continui a essere. Mentre il popolo ebraico, ormai, è anche, e soprattutto, Israele, ovvero uno Stato normale, sovrano e, di conseguenza, reattivo rispetto a tutte quelle azioni che ne minino la sopravvivenza/esistenza, soprattutto se di stampo terroristico.
Gad Lerner, pur sicuramente animato dalle migliori intenzioni morali e amicali nei confronti di Liliana Segre e della sua opposizione all’accusa di genocidio nei confronti di Israele, probabilmente dovrebbe, invece, porre l’accento non tanto sulla fomentazione dell’antisemitismo latente da parte di risposte ebraiche, a suo parere, scomposte a quelli che si potrebbero realmente inquadrare come veri e propri processi di demonizzazione delegittimativa dello Stato ebraico, e non certo come forme di semplice, neutra e non-ideologica critica nei suoi rispetti, quanto principalmente sull’assist che in definitiva la sua come altre posizioni ‘ammonitrici’ ed ‘eticamente superiori’, soprattutto se intra-ebraiche, offrono al mondo antisemitico islamo-islamistico e a quello occidentale, intellettualmente auto-critico, in pratica drammaticamente auto-lesionistico, che Pierre-André Taguieff definisce ‘islamo-goscistico’. I quali mondi hanno il potere, nella loro azione separata quanto congiunta, non solo di risignificare e rigiustificare – in forme oggi largamente condivisibili per diffusa ignoranza storica e incapacità di previsione/prospettazione di scenari futuribili – l’odio verso gli ebrei disseminati sul globo terrestre per il tramite di quello, spacciato per eticamente valido, nei confronti degli israeliani anti-palestinesi, ma anche e soprattutto di alimentare un sentimento, per quanto auto-contraddittorio, di insofferenza occidentale nei confronti della sua propria ‘occidentalità’, della sua identità. Insofferenza che sempre più transita per la via ‘islamica’, ‘interna’ alla dimensione occidentale, ovvero per quella sfera che, storicamente oppositiva e/o ostile nei confronti dell’Occidente e costituente in sé l’alterità totale rispetto a questo in termini culturali e valoriali, viene percepita come la strada più consona e idonea per comporre e organizzare una critica ‘radicale’ – in tutti i significati e sfumature di senso possibili che questo aggettivo conserva! – a esso medesimo. Quasi una ‘necessità’, se si vuole ‘cambiare’, ‘trans-formare’ e ‘ri-formare’ quel vecchio gigante che è l’Occidente, troppo ricurvo e riverso su se stesso e incapace di guardare verso nuovi orizzonti. Il problema sta nel fatto che, proprio grazie alle lezioni come quelle di Lerner e di tanti altri intellettuali progressisti, ‘di parte’ ma che amano mostrare, se non proprio ostentare, la propria attitudine a essere super partes grazie a una presunzione di superiorità culturale e osservativo-analizzativa – che si volge, troppo spesso, anche in convinzione di preminenza morale –, le nostre università, (ormai ampiamente) secolari(zzate), probabilmente non avranno più il piacere e l’onore di ospitare le lezioni, altrettanto laiche, di persone come Liliana Segre – le quali, ricordando le violenze e i soprusi contro la particolare dignità/libertà degli ebrei, in pratica esaltano e sublimano quella generale e universale umana, assiologicamente a fondamento della cultura del diritto e dei diritti di stampo eminentemente occidentale –, ma sempre più di frequente accoglieranno, come già avvenuto in queste ore a Palazzo Nuovo, sede principale dell’‘occupata pro-Pal’ Università di Torino, quindi non altrove, ma proprio qui, in Italia, oltre che lunghe preghiere islamiche, sermoni ‘religiosi’ confezionati ad arte da imam musulmani, i quali, attraverso la critica di Israele, punto di congiunzione e sutura con la linea politico-ideologica anti-sionistica progressistica e/o anarco-oltransistica, stanno veicolando nella medesima cultura occidentale i semi, pronti a germogliare sul terreno fertile in cui si è lasciato indiscriminatamente che fossero gettati dagli stessi ‘pluralisti’/‘modernisti’ europei e anglosassoni, di una civiltà teocratico-centrica dell’imposizione, della subalternazione e dell’obbedienza cieca.
Altro che pensiero critico nei templi della conoscenza a-religiosa illuministica! Seguendo questa strada, che da apparentemente politico-ideologica, pacifista, pro-vittimale e, per questo, anti-israleliana, si sta mutando effettivamente in propagandistica e mono-religiosa, confortata da una compiacenza generale e da un sonno indisturbato, quanto sconcertante e preoccupante, della ragione, l’Occidente, credendo di fare cosa buona e giusta aprendo totalmente, senza filtri e senza precauzioni, la sua intima spazialità culturale-valoriale e architettonico-materiale scientifica, rappresentativa, in modo altamente simbolico e sostanziale, della propria identità, al totalmente-altro-da-sé islamo-islamistico per il tramite dell’appoggio alla causa palestinese, sta in pratica consegnandosi, mani e piedi, a coloro che hanno solo intenzione di eroderlo progressivamente e ineluttabilmente, fino alla sua completa decadenza ed estinzione, sotto il dominio ferreo di una religione monoteistica dalla caratura bellico militare, che, però, almeno questa, non sembra preoccupare nessun benpensante nostrano. E a quel punto Lerner dovrà sapere che non solo non vi sarà più nessuna cattedra su cui salire per fare lezioni di aggiornamento sulle dinamiche odierne dell’antisemitismo a Liliana Segre e che a quest’ultima, come ad altri testimoni della Shoah, non sarà più permesso di tenere conferenze sulla necessità della difesa e della conservazione dei diritti fondamentali della persona umana attraverso il racconto, drammatico quanto paradigmatico, della violenza immensa e ‘inenarrabile’ sofferta dagli ebrei durante l’Olocausto – nei confronti di cui sono in molti, oggi, a nutrire ormai insofferenza e pregiudizio –, ma addirittura ci si dovrà rassegnare ad ascoltare le violente omelie religioso-politiche, cariche d’odio nei confronti dell’ebraismo e di Israele, oltre che dei princìpi che animano la cultura occidentale in generale, ed europea in particolare, da parte di capi della Umma, la comunità islamica. Dai quali si potrà e dovrà, ovvero non rimarrà che imparare la necessità e l’obbligo della sottomissione (a Dio e ai ‘maschi’!) e non certo più apprendere la bellezza e la freschezza della libertà e della dignità umane. Cuore e spessore ineliminabili e imprescindibili della civiltà occidentale. In tal modo, quei docenti, che nel gennaio 2024 si interrogavano se fosse giusto tenere ancora in piedi la struttura portante e la giustificabilità delle Giornate della Memoria, visto il sangue palestinese del quale Israele si stava macchiando nella sua controffensiva militare contro Hamas, e che sostenevano che fosse arrivato il momento di parlare, al posto di quello ebraico per mano nazista, dell’Olocausto palestinese proprio per mano ebraico-israeliana, sarebbe opportuno rispondere che quelle occasioni di approfondimento storico e morale sul genocidio degli ebrei costituiscono ancora il segno della ‘resistenza’ dei princìpi di una cultura libertaria della nobiltà ontologica umana, che, venendo a mancare laddove si affermasse una linea di pensiero e di prassi religio-centrica islamico-islamistica, lascerebbe il posto a una terrificante circolazione di una vera e propria scienza e pratica dell’odio e della sopraffazione, entro la quale nessuna domanda, nessuna critica e nessuna obiezione sarebbe neanche permesso si generassero. Tanto di più da parte delle donne. Ma questo, forse, scuote e preoccupa molto meno che riportare Liliana Segre sulla retta via, conformistico-progressistica, dell’astensione dalla critica nei confronti dei detrattori d’Israele, per Lerner passaggio fondamentale e inevitabile per assicurare una riduzione della crescita dell’antisemitismo. Come se le violenze del 7 ottobre da parte di Hamas su ebrei inermi e la giustificazione, implicita ed esplicita, di queste attraverso pratiche narrativologiche che ne oscurano il contenuto e le conseguenze e tendono a esaltarne il significato di piena e legittima ‘resistenzialità’ politico-territoriale ed etnico-nazionale, non avessero proprio esse contribuito a rigenerarlo e ad alimentarlo.