È diventato virale sui vari social il video di un carabiniere che schiaffeggia un ragazzo, con commenti e riflessioni di ogni genere, una vera e propria gogna mediatica che il diretto interessato non merita. La vicenda, già nota nel nostro ambito associativo, ha assunto dimensioni tali da rendere doveroso evidenziare alcune contraddizioni, apparentemente sottaciute, a cui sarebbe poi necessario aggiungere delle domande da rivolgere a chi, del “diritto di cronaca”, ne interpreta la professione.
Oggi, si sa, chiunque può pubblicare qualcosa, in un modo divenuto negli anni semplice e veloce; le nostre opinioni, che prima venivano scambiate semplicemente tra amici, parenti e conoscenti, oggi possono fare il giro del mondo in pochissimo tempo e, qualora i loro contenuti, come nel caso in esame, non rispecchino l’intera verità narrativa, rischiano di incidere fortemente sulla serenità familiare e personale dei soggetti coinvolti. Senza che questi ultimi possano avere diritto di replica.
Conosciamo bene il collega, a cui ci legano anni di amicizia e vicinanza professionale, e non possiamo esimerci dall’esprimere quantomeno la nostra vicinanza.
Esaminando la vicenda ed il contesto in cui avviene, il querelante si racconta che abbia vissuto in uno stato di disagio familiare, eludendo ogni tipo di trattamento medico-sanitario correlato con il suo attuale stato di salute. Tale situazione si sarebbe prolungata nel tempo, probabilmente trascurata dalle istituzioni competenti in materia, nonostante le reiterate segnalazioni da parte dei cittadini e dei Carabinieri del luogo.
Negli anni, la particolare situazione creatasi ha fatto sì che proprio il querelante trovasse vicinanza nel Comandante della locale Stazione Carabinieri, diventato così suo vero ed unico punto di riferimento. Certo è che il collega, nella circostanza immortalata dalla telecamera, è inciampato in un gesto da biasimare.
Non escludiamo che la telecamera possa essere stata installata, originariamente dall’interessato, per motivi di sicurezza ma, successivamente, sfruttata (da lui o da terzi interessati) per altri scopi.
Il video potrebbe, al contrario, ritenersi “non casuale”. La situazione sembrerebbe, dunque, tecnicamente preparata in ogni sua fase, probabilmente da chi si era già preordinato il successivo impiego.
Il nostro racconto vuole essere una richiesta di approfondimento della verità
Quella verità che gli organi di stampa, sempre così attenti alla privacy delle “persone comuni” coinvolte in fatti di cronaca, utilizzando le sole iniziali dei nomi, oscurando i volti e anche le targhe dei mezzi, ancora prima di pubblicare notizie riferite al “fatto”, questa volta non hanno cercato. Esponendo così tutti gli attori di questa triste vicenda, al giudizio ed al disprezzo, creando due fazioni opposte sullo stile di Guelfi e Ghibellini. Innescando paure e timori, incomprensioni ed emozioni non sempre positive a carico dei diretti interessati, dei familiari e di amici e conoscenti. Con pesanti ripercussioni di carattere psicologico.
È normale chiedersi: come mai molte testate giornalistiche, che all’inizio si sono limitate a dare la “notizia bomba”, si siano poi fermate senza utilizzare “il fatto” come ariete mediatico contro un uomo delle istituzioni?
Altrettanto spontaneamente sorge un’ulteriore domanda: se il contenuto del video sia completo o se riporta solamente una frazione di secondi. Inoltre, ci chiediamo se sia giusto il modo in cui è stato rappresentato il collega: più una gogna mediatica che a un diritto di cronaca. Sicuramente, meritava più rispetto per quello che ha dato nel corso di una carriera di pregio ultratrentennale.
Soprattutto, e qui ci rivolgiamo ai professionisti della stampa, siamo sicuri che il “gesto”, benché censurabile, sia riconducibile ad un singolo intervento “occasionale” per disturbo alla quiete pubblica? Convinti che, se la notizia sia stata volutamente resa nota alla stampa solo dopo alcune settimane dall’accadimento, ci sia una strategia. Ancora, se la notizia avesse ricevuto una più attenta analisi del problema, come ad esempio la ricerca di riscontri oggettivi per risalire alla genesi del “fatto” stesso, magari procedendo con una eventuale intervista dei cittadini coinvolti, e non solo dei frammenti di video dei fatti accaduti nel paese di Castiglione in Teverina, non è escluso che ciò avrebbe portato alla luce una triste, notoria ed annosa vicenda nella quale hanno giocato un ruolo importante da una parte la fragilità umana, dall’altra l’inerzia di alcuni “addetti ai lavori”. Inerzia che, spesso, rende vano anche l’agire istituzionale.
In questa vicenda, tardivamente portata alla luce, al momento non ci sono né vincitori né vinti. Solo l’apparente e subdolo agire di chi forse ha tentato, dapprima in sedi “private”, e poi approfittando dello strumento mediatico, di trarre vantaggio dalla vicenda stessa. Il tutto senza porsi alcuno scrupolo sulle reali conseguenze che ne sarebbero scaturite per le persone, e le relative famiglie coinvolte, in termini di stabilità emotiva e di serenità.
Se questo è il diritto di cronaca, noi ci avvaliamo del diritto di critica.
Il resto, e le reali circostanze, con annesse responsabilità, ci auspichiamo emergeranno nel corso delle indagini giurisdizionali ed amministrative interne.
Noi, come Associazione Sindacale Militare, pur biasimando il gesto, consideriamo gli eventi ed esprimiamo la nostra solidarietà al collega e alla sua famiglia.
Tanto abbiamo voluto scrivere per notizia, senza scopo di polemica, soltanto alla ricerca della Verità.
Il Segretario Generale USIC Antonio Tarallo
Il Segretario Generale USIC Viterbo Angelo Jesus Ciardiello
Il Segretario Generale USIC Lazio Gianlorenzo Giagoni