Più “condiviso” di lui non ce n’è. “Intra partes” più che “super partes”, come va predicando Enrico Letta, che mente, sapendo di mentire. È stato di qua e ora sta di là. Una sorta di vitel tonnè, un compromesso gradito a chi non ama troppo la carne, ma neanche molto il pesce. Perché Pier Ferdinando Casini è così. È stato un po’ carne, ora è un po’ pesce, un pesce “rosso” che alle elezioni politiche del 2018 ha portato alla vittoria la coalizione di centrosinistra nella sua Bologna. E sulla sua candidatura al Quirinale, ma ancor più sulla sua vittoria, potranno mettere tutti il cappello. Quelli di centrodestra e quelli di centrosinistra. Una candidatura “democristiana”. Una candidatura degna della Prima Repubblica, tanto vituperata, ma che all’occorrenza può tornare utile a sbrogliare la matassa. Con buona pace anche dei grillini, che pur di salvare la potrona voterebbero anche Pietro Pacciani, se fosse vivo, e se garantisse loro la durata della legislatura.
Ma Casini tace. Berlusconi si lecca le ferite. Draghi si troverebbe nel buen retiro sulle colline della Val di Chiana. E Mattarella è nella sua casa in Sicilia. Nella domenica che precede l’inizio delle votazioni per il Presidente della Repubblica, l’aria sembra sospesa, immobile. I Presidenti, e gli aspiranti tali, tacciono di silenzi eloquenti. Almeno quelli il cui nome è finito almeno una volta nel toto-Quirinale, hanno scelto il silenzio. Chi per paura, chi per convinzione e qualcuno per dimostrarsi già all’altezza del compito.
Dopo la rinuncia di Silvio Berlusconi, però, gli animi sono meno tesi, i volti si sono rasserenati. Tv, giornali e commentatori hanno deposto le armi contro il Cavaliere e nelle parole (scritte o pronunciate a favore di telecamera) si sono anche lasciati andare a sentimenti di pietas verso un politico che, nel bene e nel male, ha condizionato la storia dell’Italia per oltre vent’anni. Ma adesso che non aspira più al Quirinale, Silvio è diventato quasi inoffensivo e quindi, oltre all’onore delle armi, gli si può concedere anche qualche riconoscimento, ma con parsimonia. “Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!”
Nonostante in apparenza tutto appaia sospeso fino a domani, le trattative per il Colle sono nel pieno. Matteo Salvini ha fatto sapere che oggi pomeriggio a Roma incontrerà i capigruppo Riccardo Molinari e Massimiliano Romeo e successivamente i governatori e i delegati regionali della Lega. Il M5S, invece, sarebbe impegnato a tentare di risanare le fratture interne. E il Pd ha come unico obiettivo quello di occupare quante più caselle possibili tra governo e Quirinale. E poco importa se ha il sostegno del Paese reale. Ogni schieramento combatte la sua battaglia, che mai come in questo momento sembra non necessariamente coincidere con l’interesse del Paese.
E non aggiungiamo altro. Per ora. Per carità “democristiana”, più che cristiana. Verso gli uni e verso gli altri.