Il Qatar Gate ha scoperchiato l’ennesimo vaso di Pandora, per così dire. Ma le infiltrazioni di Doha in Europa e in Italia vanno avanti da anni, troppi per non accorgersene prima. Ma tant’è. E adesso che la bolla è (in parte) scoppiata, i soliti pensatori e commentatori si mostrano prostrati e preoccupati e fanno “Oh!” come i bambini di Povia. Ipocriti sepolcri imbiancati che frugano come gli sciacalli nelle carte dell‘inchiesta di Bruxelles cercando di scovare dettagli su cifre, conti e persone implicate nel presunto malaffare che sta coinvolgendo le istituzioni europee. Si dirà: è una notizia di interesse pubblico è normale l’accanimento dei media. Certo, ma la notizia sugli affari discutibili del Qatar in Europa era di interesse pubblico anche in passato, quando qualche giornalista ne ha scritto ed è stato quasi (se non del tutto) ignorato.
Adesso media, politica e istituzioni Ue devono fare i conti con uno scandalo enorme, se fosse confermata la tesi accusatoria della magistratura belga, e che rischia di coinvolgere molti più ambienti di quelli che si immagina.
Del resto, lo stupore davanti all’evidenza di un fatto noto è tipica di questi tempi. È successo a febbraio di quest’anno con la guerra in Ucraina quando mainstream e politica, spesso impegnati a ciarlare di aria fritta, hanno scoperto il Donbass e il conflitto che vi covava da anni. Poche righe pubblicate sporadicamente qua e là negli anni, senza mai provare a tenere alta l’attenzione su un caso che poi si è rivelato un enorme problema. E anche stavolta, con il Qatar e la grave corruzione che avrebbe coinvolto europarlamentari e il mondo di mezzo che affollano Bruxelles, media e politica cadono (o fanno finta) dal pero. Quando negli anni testate più o meno importanti hanno affrontato il tema Qatar, nella migliore delle ipotesi sono state ignorate.
Riportiamo qui, per dovere di cronaca, solo alcuni articoli pubblicati già nel lontano 2014.
Il ruolo delle fondazioni legate al Qatar, dunque, era già nota. Non siamo stati gli unici a denunciare anche su Ofcs.report (alcuni link sono presenti in questo articolo, per il resto invitiamo i lettori a visitare il sito) e soprattutto non ci consideriamo i più importanti, anzi: qualcuno prima e dopo di noi ha trattato approfonditamente la questione. Solo chi non ha voluto vedere non ha visto il sistema di infiltrazione che il Qatar ha messo in piedi in questi anni, in Italia e non solo. Nel 2019, quindi appena tre anni fa, Christian Chesnot e Georges Malbrunot pubblicano ‘Qatar Papers’, il libro che denuncia come, attraverso un fiume di soldi veicolati dalla Qatar Charity Foundation, Doha espandeva i suoi tentacoli in Europa e anche in Italia. Una denuncia pesante che contempla anche un certo silenzio della politica che, davanti all’evidenza, non ha mai veramente agito per fermare l’obiettivo di islamizzazione dell’Europa e dell’Italia attraverso investimenti milionari in vari comparti. Milioni di euro per costituire moschee, in edifici già esistenti oppure per la costruzione ex novo di luoghi di culto. Partecipazioni finanziarie in società importanti, dal calcio alla moda e fino alla sanità.
Per non parlare degli allarmi sul finanziamento al terrorismo da parte di Doha, allarmi sempre ampiamente ignorati da parte delle istituzioni Ue. Come è stata ignorata la polemica scoppiata nel 2018, in occasione del viaggio in Italia e gli incontri con le nostre Istituzioni più alte da parte dell’Emiro del Qatar.
La stampa europea riportò, senza grande trasporto, le vicende narrate nel libro Qatar Papers. Ma finita l’onda emotiva della pubblicazione, sul Qatar è tornato il silenzio. Prima ancora di ‘Qatar Papers’, nel 2016 Chesnot e Malbrunot scrissero ‘Nos très chers émirs’, un libro incentrato sui finanziamenti che Doha ha elargito per decenni alla politica francese. E nel 2013 pubblicarono Qatar – Les secrets du coffre-fort.
Pubblicazioni e denunce cadute nel vuoto. In Europa i legami con il Qatar sono andati avanti. Alla corte Ue i faccendieri dell’Emiro erano di casa e tentavano di avvicinare politici e istituzioni per orientare favorevolmente l’opinione pubblica e politica. E su come hanno orientato la politica forse lo abbiamo capito. Ma attendiamo fiduciosi il lavoro della magistratura belga per capire se le accuse mosse alle persone finite nell’inchiesta saranno confermate. Nel frattempo, da Bruxelles politici non coinvolti nell’inchiesta si affannano a ricordare la personale posizione contraria a questa o a quella mozione pro Qatar, sottolinenando la presa di distanza da quel mondo. Altri, invece, denunciano quando gli emissari di Doha tentarono di avvicinarli e però loro, insospettiti e diffidenti, non caddero nella trappola. Ottimo. Ci chiediamo perché non sottoposero i dubbi e le perplessità maturate su tali emissari nelle sedi e alle autorità competenti. Perché oggi è normale prendere le distanze.
Nel frattempo, però, resta il problema dei diritti umani che non hanno fermato neanche l’assegnazione dei Mondiali di calcio. Un fatto curioso, se si va a vedere, e che anche qui oggi molti dicono di aver denunciato. Ma i Mondiali sono finiti e lo scandalo della presunta corruzione non ne ha intaccato lo svolgimento, è arrivato troppo tardi. Ma la questione dei diritti umani in Qatar era già nota. Era risaputo come Doha sfrutti i lavoratori migranti fino alla morte, rinchiuda gli omosessuali in carcere, limiti fortemente la libertà di stampa, discrimini le donne e conduca processi sommari, non si scopre adesso. E nemmeno quando hanno deciso la sede per i Mondiali 2022 o quando l’Ue ha avviato le trattative per il piano di liberalizzazione dei voli dal Qatar con l’assegnazione di slot alla compagnia ermiratina, oppure gli accordi sul rilascio dei permessi di viaggio. Adesso tutto questo finisce sotto la lente d’ingrandimento di politica, magistratura e stampa. Il Parlamento europeo ha sospeso tutte le discussioni sulle norme che riguardano il Qatar e Bruxelles tenta di correre ai ripari.
Ma prima che scoppiasse lo scandalo, l’Europa dei paladini dei diritti umani sacri e inviolabili si è organizzata per guardare i Mondiali, magari anche recandosi sul posto. Solo in Italia abbiamo rosicato un po’ per la mancata qualificazione degli Azzurri, ma il traino mediatico per l’evento non è mancato.