Le bombe di Hamas fanno esplodere il Pd. In un momento davvero complicato per il Partito Democratico, costretto a stare in una maggioranza di governo con la Lega, le vicende dell’ultima settimana in Medio Oriente ne stanno mettendo a dura prova la compattezza. Così come hanno “stressato” i rapporti e le alleanze con realtà satellite come Leu e Articolo Uno, dove militano politici che del filo-arabismo hanno fatto una bandiera.
Il giorno della presenza al Ghetto del segretario Pd, Enrico Letta, salito sul palco pro Israele per offrire la sua solidarietà durante la veglia organizzata dalla comunità ebraica di Roma, si sarebbe consumato l’ennesimo dramma all’interno del partito.
Qualcuno, nelle segrete stanze, avrebbe poi ricordato a Letta che alcuni esponenti della sinistra, in passato e prima di diventare Onorevoli, erano assidui frequentatori di locali arabi a Roma, ad esempio, dove la promiscuità con palestinesi legati ad Hamas risultava piuttosto usuale.
Nulla di illegale, ovvio, ma sicuramente la rappresentazione di una linea politica che la sinistra italiana, e non solo, ha portato avanti per decenni e grazie proprio a quelli che in seguito sono diventati parlamentari, è stata “istituzionalizzata”. Oggi, però, quella stessa linea viene ripetuta a “pappagallo”, suggeriscono ex appartenenti al Pd, senza capire che i tempi sono cambiati, che Hamas nel frattempo è stata “classificata”organizzazione terroristica e che il popolo arabo-palestinese è la prima vittima di Hamas.
Per la sinistra italiana, dunque, proprio non ci voleva il lancio di razzi e missili da Gaza verso la capitale Gerusalemme, Tel Aviv e altri centri urbani dello Stato ebraico. Trovare un punto di equilibrio quando si è troppo sbilanciati diventa difficile. E allora Enrico Letta, spinto da forze interne filo-palestinesi, venerdì ha deciso di correggere il tiro dopo essersi esposto “convintamente” al Ghetto:“Chiediamo a Israele di fermarsi alla legittima difesa e di non andare oltre, l’escalation sarebbe buttare benzina sul fuoco e chiediamo all’Italia di farsi interprete affinché l’Ue sia protagonista e gli Usa facciano la loro parte portando una voce di pace. Noi continuiamo a ritenere la soluzione di due popoli e due Stati e una pace legittima per i due Stati sia l’unica soluzione”.
A testimonianza del malcontento interno è arrivata la dichiarazione di Massimo D’Alema che non si è lasciato sfuggire l’occasione per impallinare Letta: “In questi giorni – ha detto l’ex Premier – ho avuto nostalgia di una forza politica significativa di sinistra: di fronte alla tragedia palestinese h sentito dire parole di circostanza in molte sedi importanti. Anzi ho visto sul palco della solidarietà a Israele dal nostro amico Letta accanto a Salvini. C’è qualcosa che non funziona”.
La nostalgia di D’Alema dal suo punto di vista è comprensibile, così come quella di altri appartenenti alla sinistra che hanno espresso un velato (ma neanche troppo) disappunto per le parole del segretario Pd al Ghetto. Ma le relazioni con Israele sono strategiche in quell’area. E la linea del governo guidato da Mario Draghi, anche qui vorrebbe una inversione di tendenza rispetto al passato. Il Premier, secondo fonti di Palazzo Chigi, avrebbe riprogrammato la politica estera del ministro Luigi Di Maio anche su questo aspetto. E infatti, sull’argomento il titolare della Farnesina è andato cauto, attirandosi le critiche dell’ex compagno di Movimento Alessandro Di Battista.
E dunque, mentre a Tel Aviv continuano a esplodere le bombe di Hamas, da noi a rischiare l’esplosione è la compagine giallorossa di governo, con Letta “convintamente” pro Israele, anzi forse no, perché poi i suoi non capiscono. E Di Maio cauto, che se non parla è meglio.