Con l’elezione di Casellati e Fico si è aperta una fase politica totalmente nuova, per quanto incerta. Basti il fatto che si sia virato su una figura, quella della Casellati, indubbiamente rappresentativa della seconda repubblica e dei governi che hanno contraddistinto quella fase storica e politica mentre, alla Camera, la scelta sia caduta su un profilo da “homo novus“, giovane e movimentista, due caratteristiche, queste, che riassumono un po’ il passato, un po’ il presente e un po’ il futuro di questa terza repubblica nascente. Figure diversissime ma elette con la stessa identica maggioranza.
Un dato che non si può trascurare. Spiace che, sia per Casellati quanto per Fico, alcuni giornali, invece di rimarcare le profonde novità come la prima volta di una donna alla presidenza del Senato o come la prima volta – piaccia o no – di un Cinquestelle nelle prime cinque alte cariche dello Stato, si concentrino a ricordare vecchie dichiarazioni di entrambi, rese in un’epoca politicamente ormai morta e sepolta e che nulla aggiungono e nulla tolgono alla novità in atto nei palazzi della Repubblica. E dire che questo sarebbe, e dico sarebbe, il loro mestiere.
Ancora una volta i nostri media, come fu nel ’94 e come accaduto solo un giorno prima del 4 marzo, non riescono a cogliere, a rappresentare e a descrivere l’Italia che cambia, salvo poi svegliarsi -tardi – e cercare frettolosi, deboli e improbabili ricollocamenti politici. Il quadro che è emerso da queste elezioni ci descrive un Paese frammentato e non più polarizzato come accadeva solo qualche anno fa. Ma i mezzi di informazione sembrano non accorgersene. E gli spazi dedicati a ciò che “è stato” continuano ad essere sempre prevalenti rispetto a ciò che “sarà”.
Non vediamo altra motivazione se non una certa inadeguatezza culturale (e in alcuni casi, dispiace dirlo, professionale) nel saper carpire, fiutare e commentare un tessuto sociale che è molto più avanti rispetto a chi governa, da decenni e decenni, l’informazione italiana. E per una volta – va detto a voce alta e senza paura di essere smentiti – come la politica del Palazzo questo segnale lo abbia colto eccome mentre i media, che vivono ancora nella loro prima repubblica, siano invece sordi alla profonda mutazione in corso. Non si può vivere di retroscena, non si può morire con le stesse identiche analisi (firmate dalle medesime persone) di venti e trenta anni fa e, soprattutto, non si può campare continuando a dire “eh ma tu dieci anni fa hai detto questo”. Questa non è informazione, è gossip e civetteria di bassa lega. Sarebbe bene che qualcuno si svegliasse invece di lamentarsi della grave situazione in cui versano molti quotidiani, soprattutto cartacei, da anni in calo di lettori: viste le premesse non possiamo dar certo torto a chi ha scelto (e ripeto, come dargli torto) di non informarsi più su questo o quel giornale. Se comprassimo una copia di un qualsiasi quotidiano del 1994, 1998, 2005 o 2013 non ci accorgeremmo nemmeno di essere nel 2018, salvo il full color e qualche firma passata da una testata all’altra. Insomma, c’è qualcuno che ancora se la canta e se la suona. Davvero, tanti ma tanti auguri.