Rivolte ed esecuzioni: in Iran la situazione è esplosiva. Il governo degli ayatollah tenta di sedare le rivolte con la repressione, ma questo non ferma le manifestazioni e aumenta il malcontento della popolazione. Stefania Craxi, presidente della Commissione Esteri del Senato, siamo alla viglia della caduta del regime?
«Le esecuzioni capitali segnano certamente un punto di non ritorno, invece di aprirsi al futuro il regime degli ayatollah ha scelto di sparare ai suoi giovani, di reprimere nel sangue la pacifica protesta di milioni di persone, di impiccare i manifestanti, di dare corso ad una rappresaglia che non scoraggerà nessuno. La comunità internazionale sta facendo sentire la propria voce, deve continuare ad essere forte e unanime il coro di condanna e indignazione, occorre intensificare la pressione politico-diplomatica per fermare la spirale della violenza, le repressioni brutali e arbitrarie operate dal regime. Io sono convinta che la barbarie non fermerà l’anelito di libertà che muove il popolo iraniano. Dopo avere già espresso al presidente della Commissione per la sicurezza e la politica estera dell’Assemblea Consultiva di Teheran la preoccupazione per il mancato rispetto dei diritti umani, alcuni giorni fa ho ricevuto un gruppo di studenti iraniani che vivono in Italia. Negli occhi di quelle ragazze e di quei ragazzi ho visto sentimenti di paura mista a orgoglio, dai loro discorsi, dalle loro testimonianze ho tratto conferma che il vento della Storia sta soffiando forte nel Paese ed è destinato a spazzare via le illusioni che tutto potrà continuare come se niente fosse accaduto. Le loro speranze non devono essere deluse, non possiamo abbandonarli, non possiamo tradirli. Anche per questo, l’Ufficio di presidenza della Commissione Affari esteri e difesa del Senato ha approvato una risoluzione che sarà presto discussa, un testo che impegna il governo italiano a porre in tutte le sedi la questione del rispetto dei diritti umani da parte di Teheran. È solo un primo passo possibile, un tassello di un mosaico più ampio che deve essere composto, un mosaico di solidarietà, vicinanza e sostegno concreto a chi, per manifestare liberamente, rischia la propria vita in nome dei valori di libertà».
Il Golfo Persico è un’area strategica anche per l’Italia. Cosa pensa della possibile carica di inviato Ue nel Golfo Persico per l’ex ministro degli Esteri Luigi Di Maio?
«La proposta nasce su input del governo precedente, non è stata formulata da questo esecutivo che ritiene quella di Luigi Di Maio una candidatura individuale. La scelta sulla nomina, comunque, spetta all’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea, Josep Borrell, che certo avrà a disposizione tutti gli elementi per selezionare il profilo del candidato migliore».
Sempre nel Golfo Persico, e precisamente negli Emirati Arabi, da 22 mesi è trattenuto un nostro concittadino, Andrea Costantino. L’imprenditore chiede l’impegno del governo affinché possa rientrare in Italia. Ritiene ci siano margini perché ciò accada a breve?
«Il governo e il ministro degli Esteri Antonio Tajani stanno lavorando alla risoluzione del caso che vede coinvolto il nostro connazionale, l’obiettivo di tutti è quello di riportare Andrea finalmente a casa. Ma bisogna evitare ogni passo falso, gli sforzi della diplomazia necessitano sempre di un surplus di prudenza e responsabilità. Ecco perché preferisco mantenere la riservatezza sulla vicenda, ribadendo però la ferma determinazione a risolvere il caso nel più breve tempo possibile».
Da febbraio l’Europa e il mondo assistono alla guerra russa in Ucraina. Un dialogo tra le parti per il cessate il fuoco è possibile oppure questa guerra continuerà ancora per molto tempo?
«Fin dall’inizio della vicenda, ho espresso in maniera chiara e convinta il mio pensiero: c’è un aggressore e un aggredito. Putin ha inferto un colpo durissimo al mosaico delle relazioni internazionali, letteralmente scompaginato, ha la grande responsabilità di avere scatenato un conflitto che risponde a inammissibili “logiche” di dominio e sopraffazione, ha riportato la guerra nel cuore dell’Europa, ha fatto correre all’indietro le lancette della Storia, materializzando una stagione degli orrori che speravamo fosse consegnata per sempre all’album dei brutti ricordi. Nel corso degli anni, ci eravamo illusi di poter integrare la Russia in un sistema di cooperazione con l’Occidente, ora è chiaro a tutti che questo proposito non è più realizzabile. E dunque siamo senza tentennamenti al fianco del popolo ucraino, ne sosteniamo convintamente la battaglia di libertà, ma spiace assistere allo spettacolo messo in scena da quanti alimentano le loro polemiche in maniera del tutto pretestuosa, tacciando le scelte del governo italiano come rispondenti ad un proposito guerrafondaio. Così, io ritengo, si fa solo demagogia e si gioca con i drammi di milioni di persone. Il diritto internazionale e il rispetto dei diritti dei popoli, violati da Mosca, impongono doveri morali prima ancora che politici. Certo, l’obiettivo di tutti è raggiungere il prima possibile un cessate il fuoco che sia propedeutico alla definizione di passi ulteriori lungo il percorso della pace, ma occorre che a quel tavolo le parti possano sedersi in condizioni di uguale forza e dignità. Si deve giungere alla pace, una pace “giusta” che solo il popolo ucraino, sulle cui spalle ricadono il peso e la sofferenza di un’invasione scellerata, potrà scegliere e determinare».
Tra le aree in crisi, la Libia rappresenta uno dei problemi più scottanti per l’Italia a causa del flusso di immigrati che arriva sulle nostre coste. La stabilizzazione del Paese è un obiettivo che al momento pare irraggiungibile. Le elezioni previste a dicembre dell’anno scorso sono state annullate e attualmente abbiamo due governi che non si riconoscono reciprocamente. Cosa ne pensa?
«Il Presidente Meloni ha definito anche di recente la stabilizzazione della Libia come una fra le più urgenti priorità di politica estera e di sicurezza nazionale, rilevando in tal senso piena consapevolezza del fatto che senza un Mediterraneo stabile, pacifico, orientato verso lo sviluppo e il progresso, la costruzione di un nuovo Ordine mondiale diventa una chimera. Non possiamo fare finta di niente: la vicenda libica è l’esempio emblematico di una competizione, o per meglio dire di una conflittualità intraeuropea che ha generato disastri, schiudendo le porte del Paese nordafricano ad altri players internazionali che hanno soppiantato con il loro protagonismo assertivo la presenza europea e occidentale. Ora bisogna intensificare gli sforzi per definire una strategia che faccia tesoro degli errori commessi e che sia funzionale ad un rilancio concreto dell’iniziativa comunitaria e italiana in Libia, un passaggio obbligato alla luce delle sfide che si profilano all’orizzonte: penso al fenomeno migratorio, che non è certo passeggero ma strutturale, e a tutta una serie di questioni, comprese quelle attengono al dossier energetico, reso impellente dall’aggressione sovietica al territorio ucraino. Bisogna impedire che si consolidi definitivamente lo scenario peggiore, ovvero che la Libia resti divisa in tre parti instabili e conflittuali tra loro, con tutti i rischi che ne potrebbero derivare anche per noi. L’Italia può svolgere un ruolo positivo nel dialogo intra-libico per favorire la stabilizzazione del Paese».