Il processo a Salvini…che ancora non c’è. Ho già scritto dell’intervista rilasciata dal Giudice dell’Udienza Preliminare, per brevità G.U.P., che dovrà decidere la sorte di Salvini, definendola inopportuna, e per non appesantire il discorso, ho limitato il discorso solo a quell’aspetto. Ora, per fare un po’ di chiarezza, viste le fanfaluche che ho letto su quelli che taluno definisce i più autorevoli quotidiani (e lascio perdere la rete, nella quale si trova di tutto e di più) penso sia il caso di vedere un altro aspetto, che mi sembra sia stato del tutto ignorato.
Quando si è accusati di qualsiasi reato, si assume la qualità, a volerla così chiamare, di “indagato”, e cioè quella di chi l’accusa ipotizza esser responsabile di un reato. L’indagato diventa ”imputato” quando il P.M., concluse le indagini, ritenendo di aver raccolto prove che dimostrano la colpevolezza, chiede al giudice (G.I.P. che a quel punto diventa G.U.P. … non fatevi venire il mal di testa … è sempre la stessa persona, è solo il ruolo che è diverso; nel primo caso è quello di giudice che sovrintende alla fase delle indagini, nel secondo, quello che deve assumere una decisione sulla richiesta del P.M.), di rinviarlo al giudizio … ovviamente di un altro giudice. Questo, nelle intenzioni dei padri della riforma (e mi scuso del minuscolo, ma sinceramente la maiuscola, visti gli effetti prodotti dalla riforma del 1989, proprio non me la sento di metterla), per scongiurare il rischio che il giudice che ha avuto conoscenza del processo per valutare se farlo o meno, possa esser influenzato da quanto ha appreso.
E così la decisione se disporre il giudizio, viene rimessa a un altro giudice. Solo nel caso in cui questi non ritenga sussistenti elementi di riscontro all’ipotesi accusatoria di chi ha chiesto il rinvio a giudizio, pronuncerà sentenza di assoluzione. Diversamente, rinvierà l’indagato, che diviene imputato, al giudizio di un altro giudice, e si instaurerà quindi il vero e proprio processo.
Se però, come nel caso di Salvini, il P.M. non ritiene di avere elementi sufficienti per sostenere l’accusa in giudizio, ha chiesto al GIP l’archiviazione, il G.U.P. ha dinanzi a sé solo due strade, o per la precisione, almeno in teoria, tre.
La prima: accogliere la richiesta del P.M., e quindi archiviare il procedimento.
La seconda: non concorda, e quindi restituisce gli atti al P.M. e gli ordina di elevare l’imputazione .
La terza: se ritiene insufficienti le indagini, e che vi siano altri aspetti da verificare, rimette gli atti al P.M., indicandogli gli accertamenti da eseguire.
Nel caso di Salvini, essendo all’epoca dei fatti un Ministro, nonché parlamentare, questa che è la normale ordinaria procedura, ha subito una modifica, incidentale, per cui la questione è stata valutata da un altro organo, il Tribunale dei Ministri, che non ha però il potere di disporre il rinvio a giudizio, ma solo di accogliere o respingere la richiesta del P.M.. Per cui, avendola quel Tribunale respinta, ed essendo stata concessa l’autorizzazione a procedere da parte del ramo del Parlamento di appartenenza dell’indagato, il procedimento (che non è ancora un processo), è stato rimesso al G.I.P., che è l’unico competente a decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione.
Contrariamente a quel che può essersi compreso, per lo meno dalla vulgata mediatica, la valutazione del Tribunale dei Ministri, non ha affatto affermato una penale responsabilità di Salvini, nè ha prodotto il suo rinvio a giudizio dell’organo giudicante, ma è stata semplicemente parte del complesso procedurale previsto per il caso in cui la persona indagata sia un parlamentare e/o un Ministro.
E correttamente sotto il profilo tecnico il percorso ha ripreso quindi il suo normale corso dinanzi al GUP, e cioè dell’unico titolato a decidere se mandare a giudizio l’accusato, o accogliere la richiesta del P.M. … e quindi archiviare.
Questa procedura, creata da un Legislatore assai più accorto, saggio, e soprattutto previdente, dell’attuale, al di là delle fantasiosi rappresentazioni di certi cronisti, che fingendosi esperti, costantemente dimostrano invece la loro ignoranza della materia, costituisce il contrappeso, indefettibile in una vera democrazia, posto a salvaguardia di possibili persecuzioni giudiziarie che, ad onta di quel che blaterano sempre quelli lì, e che meglio farebbero a studiare un pochino prima di aprir bocca, o magari chieder consiglio a qualcuno che davvero ne sappia, impedisca un uso politico, e quindi strumentale della Giustizia.
Tralasciamo però l’aspetto politico, su cui pure molto ci sarebbe da dire, e concentriamo l’attenzione sui dati di fatto.
La situazione, contrariamente a quel che la confusione generata da chi ben poco tempo ha dedicato allo studio (o che forse porta acque, neppure troppo limpide, verso altri lidi), è in realtà molto più semplice di quanto possa pensarsi.
Il procedimento, superata la fase incidentale prevista per i casi in cui accusato sia un parlamentare, tornato alle normali regole del processo, passa nelle mani del Giudice, che dovrà decidere se accogliere o meno la richiesta di archiviazione.
E nel caso di Salvini, il P.M. ha chiesto l’archiviazione espressamente dicendo che il suo comportamento, era «giustificato dalla scelta politica, non sindacabile dal giudice penale per il principio della separazione dei poteri, di chiedere in sede europea la distribuzione dei migranti».
Questo, e non quel che fanno credere quasi tutti i suoi non estimatori, è quello a cui dovrà dar risposta il giudice.
Certo però che … se quel giudice, che per definizione è, e deve essere, terzo, come sicuramente sarà, fosse stato un pochino più riservato (un tempo si diceva che i Giudici parlano per mezzo dei provvedimenti … e non delle interviste), certo non avrebbe fatto male a nessuno …O no?