Voglio dirlo subito, a scanso di equivoci: chi scrive non è un filo-russo, semmai una persona col pessimo difetto di porsi domande… e di buttare sempre un occhio al passato. E mica per nostalgia! Soltanto perché le risposte agli interrogativi del presente, 9 volte su 10, si trovano nel passato.
È per questo che è importante studiare. Studiare ed andare sul campo, come ricorda il “collega” professor Indiana Jones. Ma studiare prima di tutto onde evitare castronerie, abbagli e figuracce.
Le tante prese di posizione, i diversi commenti di politici, opinionisti e giocatori di risiko televisivi cui abbiamo assistito dal 24 febbraio ad oggi, raramente hanno offerto spaccati obiettivi della realtà. E dichiararsi pubblicamente contro la guerra, per la pace e per l’amore universali non è certo da analisti… Alcuni politici e commentatori dovrebbero forse passare meno tempo nei talk show e più sui volumi di storia dell’Europa orientale, se davvero vogliono contribuire correttamente all’informazione sulla crisi ucraina.
Guardare all’est dal punto di vista occidentale è un errore già fatto e che non ha mai portato grandi risultati.
Nell’Europa orientale, per secoli sottoposta a dominazione asburgica, turca e russa, il nazionalismo è una componente essenziale dell’identità di quei popoli. Un’identità più forte di qualunque occupazione e di qualsiasi processo, anche democratico, di amalgama in organizzazioni e strutture sovranazionali. In altre parole, se avete pensato che l’adesione all’UE ed alla NATO avrebbero stemperato il carattere di polacchi, ungheresi, rumeni e, domani, chissà degli ucraini, vi siete sbagliati di grosso.
L’atteggiamento palesato già prima del 24 febbraio su temi d’attualità cari a Bruxelles (immigrazione, parità di genere, diritti) è sintomatico della volontà di proseguire sulla propria strada pur sotto l’ala protettrice dell’Unione. Il “Gruppo Visegrad”, ad esempio, riunisce dal 1991 le quattro nazioni centro-orientali che, ora, si mostrano meno inclini a seguire tutti i dettami dell’UE.
E mentre in Italia ci “vergognavamo” per l’affossamento del DDL Zan, auto-considerandoci una nazione fanalino d’Europa in tema di diritti, in Polonia c’era chi cercava di mettere al bando l’aborto. E se, sempre in Italia, ci si stracciava le vesti sull’accoglienza, Varsavia bloccava l’accesso ai flussi della Balkan route… per poi, negli ultimi giorni, mostrarsi come accogliente ed amica degli ucraini in fuga.
Il comportamento altalenante è dovuto essenzialmente a due fattori: la convinzione di essere stati vittime della Storia (con oltre 40 anni di sottomissione all’Urss) e, dunque, di pretendere che l’Occidente industrializzato e ricco accetti adesso tutte le esigenze degli ex paesi socialisti. Dall’altro, una secolare avversione per Mosca, che spicca in particolare fra i baltici ed i polacchi. Non dimenticate, infatti, che I fratelli della Foresta, nati per combattere i nazisti sulle sponde del Baltico, continuarono a battersi dopo il ’45 contro i sovietici, mettendo a segno sabotaggi sino ai primi Anni ’80.
Alla Russia, invece, la Polonia non perdona la guerra di invasione del ’21, l’attacco congiunto russo-tedesco del ’39, il mancato appoggio all’insurrezione di Varsavia e quattro decenni di repressione della cultura e dell’identità polacche. Per carità, la Germania nazista non fu da meno quanto a morte, sottomissione e distruzione. Eppure il rapporto con Berlino non è mai stato teso quanto con quello con Mosca. Comprensibile, dunque, che la Polonia sia stata il primo membro est europeo della NATO…
Va da sé che dietro l’apertura delle frontiere agli ucraini vi sia, oltre al movente umanitario, quello ideologico, il già citato odio per i russi.
Ecco perché le parole di dileggio a Salvini spese dal sindaco di Przemysl, Wojciech Bakun, suonano come il bue che dà del “cornuto” all’asino. La lezione di democrazia dei polacchi rasenta infatti la comicità: dove erano loro quando Roma implorava il sostegno degli Stati membri per affrontare il dramma migranti? Relativamente a Salvini, invece, avrebbe potuto fare due cose: la prima, non andare. La seconda non rinnegare il passato: nessuno, neanche fra i detrattori più feroci di Putin, si sarebbe mai sognato di vedere la Russia in armi. I “rinnegati”, inoltre, perdono sempre di credibilità. In politica concentrarsi sul presente pare essere l’unico modo in cui si coniuga il consenso.
Provate a non trascurare il passato: sareste più obiettivi e fareste decisamente più colpo sugli elettori.