Mentre si consumano i panettoni natalizi, il Premier “mette la faccia” a Taranto dove il dossier Ilva si preannunzia alquanto scottante.
La “passerella governativa dei babbi natale” si è rivelata più inquietante che rassicurante per i tanti dipendenti dell’ex Ilva.
Ed infatti, sebbene da un lato la multinazionale indiana Arcelor Mittal sembra attuare la strategia di riduzione del debito, attraverso il recente accordo sulla cessione della metà della filiale Global Chartering Limited (GCL) a DryLog, dall’altro permane lo stallo sulla questione Ilva. Sembra, invero, piuttosto chiaro l’obiettivo degli indiani di ristrutturarsi finanziariamente e riposizionarsi nel più florido settore dell’industria del trasporto marittimo internazionale. In tale scenario, non appare rassicurante l’ipotesi di accordo condiviso tra il Governo e l’amministrazione straordinaria che ha piuttosto il sapore di un “cessate il fuoco” con i sindacati.
Insomma, il memorandum di intesa sembra più un manifesto politico che una manifestazione concreta di intenti che, verosimilmente, vede all’orizzonte l’opportunità per quasi tutti gli attori della vicenda, di guadagnare tempo sul campo processuale, tenuto conto che il 7 febbraio ci sarà l’udienza dinanzi al Tribunale di Taranto, mentre è attesa per il 30 dicembre il provvedimento giudiziale sullo spegnimento dell’altoforno 2.
I tre focus prospettati nel memorandum sono piuttosto sfidanti per la multinazionale indiana, ove si consideri sia che Arcelor Mittal ha dato chiari segnali di voler “cambiare rotta” sul mercato sia che l’impegno sulla decarbonizzazione, unito a quello sugli esuberi e al dichiarato investimento del nostro Paese sul rilancio, appaiono insostenibili sul piano produttivo che economico-finanziario.
Frattanto Fim, Fiom e Uilm sono state particolarmente critiche verso il nuovo piano industriale presentato dall’Arcelor Mittal, che viene giudicato un ulteriore “ricatto” perpetrato dalla multinazionale a discapito dei lavoratori e del territorio, ormai stanchi di subire continui rinvii.
A pesare principalmente sul fronte dei lavoratori è il tentativo della dirigenza indiana di modificare gli accordi intercorsi meno di un anno fa in relazione alla clausola di salvaguardia occupazionale che prevede nell’arco di piano un ritorno al lavoro entro il 2023 di tutti i lavoratori considerati in esubero.
E poi, sul tema ambientale, i sindacati continuano ad opporre la necessità di superare la contrapposizione tra due diritti costituzionali, quali il lavoro e la salute, che sono ugualmente meritevoli di tutela, specie di fronte a quella che viene definita una “provocazione” dell’Arcelor Mittal circa il preannunciato graduale spegnimento degli impianti, che di per sé produrrebbe una inevitabile desertificazione industriale del Mezzogiorno, senza una concreta programmazione di interventi certi per il risanamento ambientale e le bonifiche della provincia ionica.
Dunque, oltre al disastro economico ed ambientale si profila anche quello sociale per via del ridimensionamento sia sull’area a caldo sia su buona parte di quella della laminazione e tubifici a cui evidentemente si aggiungono le ricadute sui lavoratori dell’appalto che vedrebbero perpetuare il loro clima di precarietà.
In tale contesto, malgrado le non troppo gradite passerelle natalizie, non è ancora chiaro se esista l’effettivo commitment dell’Arcelor Mittal circa la trasformazione dell’acciaieria in un complesso produttivo sostenibile, ovvero se l’intento non dichiarato sia piuttosto il graduale spegnimento dell’impianto siderurgico e l’eliminazione di un competitor europeo.
Se anche ci fosse il serio commitment e malgrado l’intervento del nostro “buon Samaritano” Premier, non è così scontata la continuità produttiva del sito di Taranto a fronte dei miliardi di euro di dichiarato intervento (politico) governativo.
E poi c’è il nodo degli esuberi, ovvero di quello che i sindacati hanno definito la “macelleria sociale” dell’Arcelor Mittal che si preannuncia un tema determinante quanto insidioso, ove si consideri che il piano presentato dalla multinazionale indiana proviene da una clamorosa “bocciatura” da parte del Governo e dei Sindacati. Infine, non è certamente un buon viatico la questione dell’abrogazione dello scudo penale adottata dalla multinazionale indiana come un chiaro pretesto strumentale al recesso dal contratto di affitto dell’ex Ilva e, soprattutto, per spostare il focus dell’opinione pubblica dalla forte volontà dell’Arcelor Mittal di disimpegnarsi.
Insomma, mentre il panettone è piuttosto amaro per questo 2019, l’anno che verrà può essere quello del rilancio o dell’ulteriore beffa di un Governo che ha assunto una responsabilità morale prima ancora che politica e istituzionale verso un intero Paese che vive con apprensione le evoluzioni della vicenda Ilva.
L’auspicio è che il dossier possa chiudersi per l’Italia con soddisfazione e concretezza molto prima di quella insopportabile, e per il Governo fastidiosa contesa giurisdizionale, che l’India continua a sostenere in ordine alla vicenda occorsa ai nostri due Marò nel 2012. Già, non ce ne siamo dimenticati.