Mai come stavolta, e in modo davvero inaspettato, muta la storica geografia politica italiana. Il crollo verticale dei consensi del Pd, passato in poco meno di quattro anni dal clamoroso successo delle europee all’altrettanto clamoroso tonfo sotto la ormai famigerata “quota Bersani”, consegna il principale partito della sinistra italiana ai margini del panorama istituzionale.
Con il quarto gruppo parlamentare, il Pd, il cui ruolo nello scacchiere era dato per cruciale praticamente in ogni scenario ipotizzato, certifica l’allineamento dell’Italia all’andamento delle percentuali raccolte dalla sinistra europea. Proprio come in Francia, dove nel maggio scorso, in modo analogo, il Partito socialista passava dal governo del Paese all’estinzione politica e come in Germania, dove solo pochissimi giorni fa l’Spd si è visto costretto ad accettare controvoglia un accordo di coalizione per la formazione del quarto governo Merkel, il Partito democratico è ora costretto ad un ridimensionamento sostanziale che lascia pochi spazi di manovra ad ambizioni e progetti, anche di breve termine.
Specularmente, come previsto da alcuni, anche se pochi analisti, il Movimento Cinque Stelle sfonda abbondantemente la quota del 30% confermando la posizione di primo partito già conquistata, a sorpresa, nel 2013 e smentendo le previste difficoltà alla luce di quelle incontrate in questi due anni dalle amministrazioni comunali guidate da sindaci a Cinquestelle.
E ancora nessuna maggioranza omogenea appare possibile
A braccetto con il boom del M5S vi è ovviamente il record storico della Lega che, per la prima volta presentatosi alle elezioni come partito “nazionale” non solo supera Forza Italia, determinandone il primo forte arretramento, in 24 anni, della leadership berlusconiana ma, soprattutto, avvicininando il Partito democratico nel dato complessivo. Impensabile fino a qualche ora fa. E ciò non solo a livello percentuale nazionale ma, addirittura, nelle storiche roccaforti rosse le quali, una ad una, sono via via cadute durante questa lunghissima notte elettorale in favore del centrodestra il quale, inaspettatamente, trasloca dalle ore ventitré del 4 marzo, per la prima volta nella sua storia, la propria cabina di regia da Arcore a Via Bellerio.
Non sarà semplice, ora, per Sergio Mattarella, sbrigliare una matassa così complessa che non ha precedenti nella storia repubblicana e che non lascia spazio, neanche col passare delle ore, ad un quadro più chiaro. Di certo c’è che l’Italia, a dispetto dei pronostici, torna verso il bipolarismo, per quanto inedito, vista la sostanziale scomparsa della forza propulsiva della sinistra. Ma non solo. Sommando le percentuali dei principali partiti di destra e sinistra si arriva ad un dato che ha del clamoroso: se nel 2008, la somma di Pd e Pdl raggiungeva oltre il 70% dei consensi oggi a malapena tocca quota 47%, segno evidente che ci si sta avviando verso la progressiva scomparsa del bacino elettorale moderato di ambo gli schieramenti. Impossibile, ad oggi, prevedere la strategia che intenderà seguire il Presidente della Repubblica, nel buio dell’assenza di situazioni analoghe. E anche la prassi, spesso fonte preziosa in questi casi, non aiuta a trovare situazioni simili.
Ciò che, per ora, appare scontato è che non sarà possibile formare un governo senza l’assenso o di Salvini o Di Maio, l’uno leader della coalizione che ha ottenuto più seggi e l’altro del partito di gran lunga maggioritario nel Paese. Fondamentale, come ofcs.report aveva già scritto tempo fa, saranno le elezioni dei presidenti dei due rami del Parlamento, Camera dei deputati in primis, visto il particolare sistema che a differenza del Senato richiede una maggioranza in assenza della possibilità di ballottaggio, prevista invece per Palazzo Madama. In caso di stallo un eventuale pre-incarico potrebbe ricadere, tra i due litiganti, proprio su uno dei due futuri presidenti. Non rimane che aspettare il 23 marzo, giorno in cui è prevista la prima convocazione delle due Camere. E non mancheranno sorprese.