Questa volta Papa Bergoglio non ha potuto fare a meno di ricevere in Vaticano i familiari degli ostaggi israeliani rapiti e portati a Gaza. Mentre per la delegazione venuta Roma alcuni giorni fa non vi era stata possibilità di incontrare il pontefice, il gruppo presente ieri a Roma é stato accolto. Come subito dopo questa visita è stato accolto un gruppo di palestinesi, parenti di detenuti nelle carceri israeliane per atti di terrorismo.
Lasciano perplessi le parole espresse durante l’incontro da Bergoglio e le successive spiegazioni date alle agenzie dal cardinale Parolin.I dubbi maggiori consistono nella definizione dell’azione di Hamas descritta dal Papa come “terroristica” e non “ di guerra”. La considerazione é che non sia così piena la consapevolezza, da parte delle sfere vaticane, che l’azione dei terroristi di Hamas è stata ed é un atto di guerra. È sottile il filo lessicale perché in questo modo, nelle suggestioni espresse da Bergoglio, si riduce la possibilità per Israele di mettere in atto azioni e regole di ingaggio “di guerra”, ben diverse e limitate rispetto a quelle di una operazione antiterrorismo.
Purtroppo Israele è in guerra
Le parole di Parolin, dove il portavoce del Vaticano ammette candidamente che “non si può far contenti tutti”, denotano la solita politica cerchiobottista che prevede una neutralità del Vaticano rispetto al conflitto arabo israeliano ed in particolare alla questione palestinese.
Ma è davvero così neutrale questa posizione?
La Santa sede ha riconosciuto Israele solamente nel 1993 e dal 1994 sono state istituite le relazioni diplomatiche tra i due StatiCi sono voluti 45 anni prima che il Vaticano elaborasse l’idea di una presenza ebraica statualizzata e definitiva in Terra Santa, quella Eretz Kodesh dalla quale gli ebrei non si sono mai allontanati del tutto, presenti da oltre 20 secoli ininterrottamente, nonostante deportazioni e persecuzioni. Anni in cui non c’è stata la volontà di riconoscere che proprio grazie ad Israele i luoghi santi sono tutelati dal 1967 e che probabilmente, qualora al potere in quell’area di mondo avesse prevalso una forza araba islamista, i luoghi sacri del cristianesimo non sarebbero stati né protetti e né garantiti. Per certi versi è comprensibile che si voglia difendere quella minoranza sparuta di palestinesi cristiani, schiacciata in maniera preponderante da una maggioranza musulmana che tende sempre di più all’integralismo, da parte del Vaticano. Questo però non giustifica una posizione che mette sullo stesso piano i terroristi stupratori e decapitatori di Hamas con Israele ed il suo esercito, costretto ad entrare in guerra per sconfiggere un nemico brutale e criminale.Ricevere le due delegazioni, famiglie degli ostaggi e famiglie palestinesi, rappresenta la volontà di portare in pareggio una partita che invece avrebbe bisogno di regole certe e dal risultato chiaro.
Che il Vaticano ed i papi abbiano una serie di “ problemi irrisolti” con lo stato di Israele è evidente e palese.
Basta ascoltare e leggere le dichiarazioni del custode della Terra Santa, cardinale Pizzaballa, continuamente sbilanciate e smaccatamente pro palestinesi per rendersene conto. Allo stesso tempo, come riportato in un editoriale del RABBINO CAPO di Roma, Riccardo Di Segni, apparso su SHALOM, organo di informazione della comunità ebraica della capitale, sullo stesso piano dottrinale permangono problemi irrisolti tra ebraismo e chiesa di Roma. La volontà dolosa, espressa più o meno chiaramente, di presentare la religione ebraica come “vendicativa” contrapposta a quella cristiana capace di “perdonare”, ha marcato per secoli le distanza tra Chiesa ed ebraismo ed ancora rimane un tarlo difficile da eliminare. Un antagonismo tra il Dio della giustizia e della vendetta dell’Antico Testamento contrapposto al Dio dell’amore dei Vangeli.
Una idea sbagliata teologicamente e per fortuna, come scrive Rav Di Segni, condannata dal pensiero recente della Chiesa. Quello che permane è un riflesso condizionato figlio di antichi retaggi duri a morire.
Rimane comunque un dato positivo nella visita di ieri. Le famiglie sono state ascoltate e se questo può essere stato per loro di conforto lo è per ogni persona abbia a cuore le sorti dei rapiti. Dall’altro lato nella visita dei palestinesi si svelano pressioni rese pubbliche sulla Santa Sede, costretta a smentire una eventuale visita del Papa nei territori.
È anche una guerra di parole e propaganda.