In Italia dopo le emergenze il nulla. Prima il Covid, che ha fatto scattare l’allarme rosso sulle carenze sanitarie nazionali. Ora l’alluvione in Emilia Romagna, dove pare ci si accorga dei fiumi solo quando esondano e portano distruzione e morte. E non solo in questa regione ovviamente. Siamo un Paese che apre gli occhi sulla realtà solo di fronte alle tragedie. Anzi li strabuzza mentre gronda spesso di una solidarietà ipocrita. Ma li richiude diligentemente subito dopo. Ricordate il refrain che recitava che la pandemia doveva renderci migliori? No, neanche la pandemia ci ha insegnato niente. Come dimenticare il ministro Speranza affermare con enfasi: “Siamo il miglior servizio sanitario del mondo”, salvo poi riscontrare che siamo stati il Paese con il maggior numero di morti in rapporto alla popolazione. La pandemia non ci ha insegnato niente perché non è servita per correggere le carenze che sono state evidenziate. La sanità italiana è disastrata come prima, anzi, più di prima.
Uno dei settori di cui si è parlato moltissimo è quello della formazione universitaria dei medici e degli infermieri. Si discute ancora se il numero chiuso sia giusto o no. Sono state fatte mille proposte per incentivare i giovani a scegliere le professioni sanitarie. C’è chi ha proposto di aumentare gli stipendi, chi ha chiesto di far lavorare i medici prima della specializzazione e chi ha preferito far venire professionisti dall’estero. La situazione reale però è sempre la stessa. Per formare un medico ci vogliono undici anni, mentre per gli infermieri le domande non raggiungono nemmeno il numero dei posti messi a bando. In più, come se non bastasse, abbiamo le tende negli atenei per protestare contro il caro affitti. Proteste spontanee o manovrate politicamente? Chissà. Ma tant’è.
Questa situazione dovrebbe far riflettere. Di certo sarebbe necessario almeno mantenere e incentivare le realtà formative che funzionano visto che, a detta di tutti, la qualità del servizio sanitario inizia dalla formazione degli studenti che saranno i futuri professionisti. Ma pare che non la pensi in questo modo la Direzione Aziendale dell’ospedale San Giovanni di Roma che avrebbe deciso, invece, di smantellare i corsi di laurea della Sapienza presenti nel nosocomio, secondo quanto riferiscono ad Ofcs Report fonti interne al nosocomio.
I corsi di laurea del San Giovanni, infermieristica e fisioterapia, sono, anzi a quanto sembrerebbe erano, il fiore all’occhiello dell’Azienda. Corsi che con oltre 40 anni di storia hanno formato professionisti apprezzati e richiesti da ogni parte sia in Italia che all’estero. E cosa avrebbe fatto la Direzione? Avrebbe chiuso l’area degli uffici con la scusa che servivano i locali per la biblioteca multimediale (inutilizzata). Poi avrebbe eliminato i pagamenti ai docenti e anche la possibilità di fare docenza in orario di servizio (come prevede il contratto), e molti insegnanti sono stati così costretti a rinunciare.
La Direzione avrebbe poi deciso di ridurre il numero dei tutor che seguono gli studenti. Motivo? Recuperare infermieri. Per metterli dove? All’Ufficio Informazioni! Un tutor esperto e super titolato all’ufficio informazioni? Tutto questo provocando l’impossibilità di avere tirocinanti nelle unità operative la mattina e il pomeriggio, danneggiando la formazione e privando i reparti del loro prezioso apporto.
E non basta. Per risparmiare anche sulla mensa, la direzione avrebbe tolto agli studenti la possibilità di usufruirne pagando la tariffa agevolata. Questo con la scusa, sempre secondo quanto riferiscono le fonti interne, che l’università non partecipa alle spese.
Ma il fondo sarebbe stato toccato con la storia delle divise. Un piccolo “capolavoro” con buona pace delle tanto invocate misure igieniche. Prima gli studenti usufruivano del servizio divise come i dipendenti. Una decisione presa a livello di gara regionale del “lavanolo” per assicurare il cambio e il lavaggio delle divise, requisito di igiene indispensabile. Il costo era irrisorio, meno di un euro al giorno. E che avrebbe fatto la Direzione? Avrebbe interrotto il servizio, con gli studenti costretti a comprare le divise e portarle a casa per poterle lavare. Ma come? Dove sono andate a finire le attenzioni all’igiene esaltate dalla pandemia? Ma è normale che uno studente porti a casa la divisa sporca usata in reparto? E che garanzia c’è che il lavaggio sia effettuato bene visto che poi con la stessa divisa gli studenti tornano in corsia?
E infine ci sarebbe il colpo di grazia. Girerebbe infatti voce che ai “piani alti” abbiano messo gli occhi sull’area delle aule dove si svolgono le lezioni teoriche. Obiettivo? Recuperare questi locali prestigiosi, creati nel 2012 con grande soddisfazione di tutti, per destinarli ad altro uso.
Chissà che la nuova Giunta Regionale, guidata da Francesco Rocca, e l’Università non riescano ad intervenire perché la direzione dell’ospedale San Giovanni ci ripensi. E il nosocomio non venga declassato da Azienda Ospedaliera di livello nazionale a ospedaletto di zona.
O chissà se per accorgersi del danno che in termini qualitativi potrebbe subire questa struttura ospedaliera, non dovremo aspettare una nuova emergenza.
Vogliamo sperare di no. Attendiamo fiduciosi. O forse sarebbe meglio dire, visto l’andazzo nazionale, attendiamo e basta.
***Foto in evidenza credits Ospedale San Giovanni Roma www.hsangiovanni.roma.it