Struggente. A tratti addirittura eroico. Si potrebbe riassumere così l’ultimo discorso del segretario Enrico Letta all’assemblea Pd a Roma. Un Letta a metà tra ” ‘O surdato ‘nnamurato” di Massimo Ranieri e il “trottolino amoroso” di Mietta. Un Letta che ha giurato di “lasciare il partito più innamorato di quando è arrivato”.
Partito che prese in consegna da Zingaretti, che al contrario lasciò la segreteria vergognandosi del proprio partito, reo, come disse lui stesso, di pensare solo alle poltrone, ma che poi alla fine anche lui sempre là sta.
Ma anche un Letta rimasto sul ring politico “a prendere colpi per consentire alla segreteria Pd di risollevare il partito”, come ha tenuto a precisare. Ed a proposito di ring tornano alla mente quegli “occhi di tigre” che chiese ai suoi nella scorsa campagna elettorale nazionale. Ma le cose andarono come andarono. Inutile ricordarlo e rigirare il coltello nella piaga del povero Letta. Ma lui è comunque rimasto lì. Ad incassare colpi, ad ingoiare bocconi amari per il bene, per il futuro del partito, come ha tenuto a sottolineare all’assemblea dem.
Un Letta che in proposito ha detto di “voler portare con sé amarezze e ingenerosità”.
E che ai candidati in corsa per la leadership ha fatto appello all’unità. Parola che ormai, da quelle parti, si legge solo nelle feste di partito che somigliano sempre più, per il numero di partecipanti, alle feste di compleanno in famiglia dei figli unici.
E poi ha tenuto a rivendicare “che il Pd non è un cartello elettorale, né un comitato elettorale. E non è un partito personale”. Parole che rivelano quanto il leader democratico, ormai con la valigia in mano, abbia assai chiaro cosa non sia il Pd. Anche se sarebbe decisamente più interessante sapere se ha compreso cosa sia veramente. Una bocciofila forse? O un raduno di alcolisti anonimi? Ma questo per ora non ci è dato sapere, probabilmente perché non lo hanno ancora capito neanche gli esponenti dem.
Magari lo scopriremo quando i quattro candidati in corsa per scongiurare l’apocalisse piddina, Stefano Bonaccini, Elly Schlein, Gianni Cuperlo e Paola De Micheli si parleranno tra loro. Come li ha invitati a fare il buon Letta nel suo discorso finale, mentre assicurava ai presenti che non avrebbe alcuna intenzione di fondare un altro partito come hanno fatto altri. E qui la stoccata agli ex segretari Pd, Matteo Renzi e Pierluigi Bersani, non è stata neanche tanto velata.
Ma questo pizzico di veleno non toglie, all’ultimo discorso da segretario di Letta alla platea dell’Antonianum a Roma, quell’impronta “romantica” che lui stesso ha voluto imprimere. Un discorso quasi bohémien, frutto forse dei suoi trascorsi nella capitale francese, quella Parigi che ha assicurato “di non essersi pentito di aver lasciato”.
Un discorso che può comunque “essere piuma o può essere ferro”, come la mano dal mitico Mario Brega mentre faceva la puntura alla nonna di Carlo Verdone nel film “Bianco, rosso e Verdone”.
“Amarezza e amore”, ha ribadito il segretario uscente del Pd, mentre rivelava che “avrebbe voluto un congresso più rapido, ma alla fine meglio così. Perché c’è sempre un tempo faticoso dopo la sconfitta. Avessimo avuto un segretario a novembre avremmo avuto comunque il vento contro. Ora il colpo è assorbito”.
È innamorato Letta, lo ha detto lui e noi gli crediamo. E come tutti gli innamorati vede tutto rose e fiori. Perché che il colpo assestato dalle legnate delle ultime tornate elettorali al Pd sia effettivamente assorbito è ancora tutto da dimostrare. I sondaggi dicono altro, ma certamente sono sondaggi e vanno presi con le molle.
Ma le prossime elezioni, quelle regionali, eccole. Si torna alle urne, e le sfide decisive, il vero test di prova, saranno nel Lazio e in Lombardia.
E allora sì vedremo se il ficozzo in testa ai compagni si sarà effettivamente riassorbito, come dice il soldato innamorato Letta.