A parlare di fascismo sono rimasti solo loro. Letta e i “compagni”. O quel che ne resta, dopo litigi, accoppiamenti, abbandoni, strappi e capriole. Dopo una campagna elettorale disastrosa per la sinistra tutta. E i risultati si sono visti nelle urne. Ma no. Loro insistono, caparbi a parlare di fascismo agli italiani. Quegli italiani reduci da due anni di Covid, con una guerra alle porte e con le bollette di gas e luce che lievitano indisturbate e che fanno “ciao” dalla buca delle lettere, ma non con la stessa simpatia delle caprette di Heidi.
Quegli italiani che, secondo Enrico Letta e soci, dovrebbero essere interessati ad un passato, seppure per alcuni versi ampiamente discutibile, quando non riescono a vivere serenamente il presente, per non parlare dell’azzardo di voler progettare un futuro. Quegli italiani a cui Letta aveva detto “scegli”. E loro hanno scelto male. E ora dà di matto. Insieme al resto della comitiva piddina. Boldrini e Serracchiani in testa.
Ormai la sinistra è in preda ad un’ossessione. E sono partiti gli attacchi al neo presidente del Senato, Ignazio La Russa, che avrebbe in casa i busti del Duce. E si indigna il dem Alessandro Zan, firmatario dell’omonima legge: “Non ci può essere spazio ai vertici delle Istituzioni democratiche per chi dorme con i busti di Mussolini”, cinguetta su Twitter. E detto proprio da lui che predica la libertà di “dormire” con chi si vuole la cosa fa un po’ sorridere. Ma tant’è. E il segretario Pd, Letta, che ha giudicato immediatamente l’elezione di La Russa alla seconda carica dello Stato come uno “sfregio all’Italia”. Per poi solidarizzare, un po’ ipocritamente, con il neo presidente e definire “inaccettabili” le scritte apparse alla Garbatella dopo pochi giorni che inveivano contro di lui.
E nel mirino anche il neo eletto presidente alla Camera, Lorenzo Fontana. “Omofobo e pure putiniano”, hanno tuonato da più parti a sinistra. Dimenticando forse che il Partito Comunista, di cui sono gli eredi, è cresciuto a pane e rubli sovietici. Quando nell’allora Urss esistevano i Gulag, che non erano esattamente dei resort a cinque stelle. E la prepotenza dell’Armata Rossa non aveva nulla da invidiare alle truppe inviate da Putin in Ucraina. Ma allora gli applausi, anche del poi capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che in seguito ritrattò, ai carri armati che invadevano l’Ungheria andavano bene. Ma questo non lo ricorda la sinistra.
Sinistra che dopo aver furbescamente “allisciato” Giorgia Meloni in campagna elettorale, forse anche con l’intento di indebolire Matteo Salvini e sbarrare al segretario leghista l’accesso al Viminale, ne ha dette di ogni sulla leader di FdI dopo la vittoria nelle urne. Affermazioni al limite della denuncia penale.
E poi la Fiamma. Quella Fiamma che è nel simbolo di Fratelli d’Italia ereditata dal Movimento Sociale e che secondo i compagni, non paghi di aver fatto scomparire già quella dalle nostre caldaie per il caro bollette, che nessuno si è finora seriamente preoccupato di arginare, dovrebbe sparire. Perché testimone di un passato minaccioso che incomberebbe nuovamente sul nostro Paese dopo l’esito delle elezioni politiche del 25 settembre. Il pericolo fascista. Ormai un mantra a sinistra. Che vedono orde di camicie nere ovunque. E manganelli. E saluti romani che agitano i loro sonni e dovrebbero, secondo loro, agitare anche quelli degli italiani, che invece sono insonni perché è sempre più complicato mettere insieme il pranzo con la cena. Sussurri carbonari tra i compagni paventano anche l’avvento dei kapo nei caseggiati al posto dei portinai. E da un momento all’altro temono che la Meloni si affacci da palazzo Venezia. E non si danno pace. Ma il guaio vero è che non ce la danno neanche a noi italiani. Continuando a nascondere la loro pochezza politica sotto l’ala nera fascista che starebbe per abbattersi sull’Italia con la partenza del governo Meloni.
Avvio un po’ burrascoso a dire il vero a causa di un Berlusconi un po’ stizzito per non essere riuscito a piazzare la fedele, a lui s’intende, Licia Ronzulli. E per non aver portato a casa neanche una presidenza in Parlamento. E dietro l’angolo potrebbe esser pronto quel birichino di Renzi, che spergiura di non aver votato La Russa al Senato. Pronto forse anche a piantare in asso il povero Calenda, anche se nega anche questo il toscano, già mollato in campagna elettorale da Letta che gli preferì il compagno Fratoianni. Odore di inciucio sull’esecutivo che proprio in queste ore sta per emettere i primi vagiti ? Niente affatto. Non ha dubbi Francesco Lollobrigida, capogruppo uscente di FdI alla Camera: “No a governi anomali, o c’è unità o si torna al voto”, ha dichiarato a poche ore dall’incontro tra Giorgia Meloni e Silvio Berlusconi in via della Scrofa. Elezioni anticipate dopo le elezioni anticipate. Ancora. Ma come? Non erano “Pronti”, come recitava lo slogan di FdI in campagna elettorale? Ma questa è un’altra storia. E magari, tra una fregola e l’altra della sinistra sul fascismo, la risolviamo. Silvio non vorrà mica consegnare il Paese ai comunisti?
**Foto in evidenza profilo Facebook Enrico Letta