Tre ospedali, tre, a Roma, capitale d’Italia in “zona retrocessione”. “Livello di performance basso”, questa la ‘sentenza’ dell’Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali), che fa capo al ministero della Salute e che ha stilato la classifica periodica dei migliori e dei peggiori ospedali italiani sulla base di precisi indicatori di prestazioni. E a condividere la “maglia nera” con i tre ospedali romani, anche quattro strutture nella Campania dell’inossidabile governatore Pd, Vincenzo De Luca, sempre pronto a vedere la pagliuzza negli occhi altrui ma altrettanto solerte a soprassedere sulla trave nei propri. E poi due ospedali calabresi e tre siciliani.
Tra gli indicatori che hanno permesso di stilare la classifica ci sono i tempi di attesa per le prestazioni, il tempo di permanenza in Pronto Soccorso, l’appropriatezza dei ricoveri, l’efficienza dell’attività operatoria, i costi operativi, la gestione dei rischi, la dotazione di medici e infermieri in rapporto ai posti letto, la gestione del personale, l’obsolescenza dei macchinari e le capacità di investimento.
Mica robetta. In “zona champions”, neanche a dirlo, sono presenti tutti ospedali del nord Italia; a metà classifica ci sono ospedali un po’ di tutte le aree geografiche, mentre nella suddetta “zona retrocessione” tutti gli ospedali sono del Sud con l’eccezione appunto di tre importanti ospedali di Roma: San Giovanni- Addolorata, Policlinico Umberto I e San Camillo- Forlanini.
Un posizionamento che dimostra in tutto il suo grigiore il risultato della politica sanitaria della giunta Zingaretti nel Lazio. Anni di tagli, chiusure, riduzioni, hanno ridotto al collasso le tre aziende ospedaliere che un tempo erano autentiche eccellenze. Basti pensare allo sfacelo del Forlanini, al degrado del Policlinico, che venne persino posto sotto sequestro, e allo smantellamento del San Giovanni ormai ridotto al livello di un ospedaletto di zona. L’ultimo presidente della Regione Lazio che ha investito nella Sanità, a detta di molti e non solo della sua parte politica, è stato Francesco Storace. Dopo, il nulla. O a voler essere magnanimi poco, poco assai. Come non ricordare l’apertura dell’ospedale Sant’Andrea. Struttura inaugurata e voluta fortemente proprio dall’allora governatore Storace. Un enorme immobile a Roma Nord che è stato per decenni una delle più importanti ‘incompiute’ della Capitale, che è diventato così un punto di riferimento nella sanità del Lazio e non solo.
Ma tra i tre ospedali romani bocciati dall’Agenas c’è il San Giovanni, del quale avevamo scritto proprio pochi giorni fa qui su Ofcs report. E dove il Direttore Generale avrebbe attuato una politica “lacrime e sangue’, secondo quanto ci è stato riferito da fonti interne al nosocomio. Il suo ‘mantra’ sarebbe questo: “Un’azienda sana non può avere costi del personale superiori al 50% del bilancio. Qui siamo al 75%”. E sarebbe così partita la crociata per la riduzione del personale sostenendo che i medici e gli infermieri sarebbero troppi. E si sarebbe creato un clima insostenibile. Malcontento a mille, sempre secondo quanto lamentanto le nostre fonti. L’età media dei professionisti sanitari sarebbe altissima. E questa sorta di ‘caccia alle streghe’ avrebbe generato riflessi negativi su tutto il ciclo delle prestazioni.
Ci sarebbero infermieri utilizzati come operai della ditta antincendio per risparmiare sull’appalto. Operatori con turni di guardia e reperibilità oltre il limite. Reparti con un rapporto infermieri- medici- pazienti nettamente al di sotto della norma. E ci sarebbero addirittura reparti che dovranno chiudere per carenza di personale. Infermieri del Pronto Soccorso e non solo, che ogni giorno non sanno se possono smontare per andare a casa. E l’elenco delle situazioni aberranti sarebbe lunghissimo. Un caos e niente affatto calmo. In molti tra gli operatori sanitari sarebbero addirittura pronti alla fuga verso altre strutture. Ma la direzione aziendale, come l’orchestrina sul Titanic, continuerebbe a propagandare improbabili iniziative per un non meglio identificato ‘benessere lavorativo’.
Mentre a pochi giorni dalle ferie estive il piano che dovrebbe garantire il riposo agli operatori e le relative sostituzioni sarebbe ancora in alto mare. E come ciliegina sulla torta la direzione aziendale cosa fa? Avrebbe deciso di modificare l’orario di lavoro dei turnisti. Motivo? O meglio, pretesto? Applicare la normativa europea (la legge è del 2014, ma se ne sarebbero accorti dopo nove anni). Chiaramente senza neanche prendere in considerazione l’assunzione di nuovo personale.
Per non parlare del decoro ormai indecoroso, perdonateci il gioco di parole, della struttura sanitaria. Piccioni che stazionano nei bar, corsie che sarebbero invase da blatte e, dulcis in fundo, clochard che dormono in farmacia. Tutto sommato la “zona retrocessione” decretata dall’Agenas è quasi una ‘carezza’ per il San Giovanni.
Ma noi, come abbiamo già scritto nel precedente articolo, attendiamo. Sempre un po’ meno fiduciosi, ma attendiamo. Nel frattempo, almeno i piccioni al bar si possono evitare? O dobbiamo attendere che anche i pennuti facciano oh?