Una vita da cacciatore di criminali perché le nostre vite potessero scorrere più tranquille. Perché nessuno pensa mai che questi servitori dello Stato sono, appunto, al servizio dello Stato. E che lo Stato siamo noi. Cittadini troppo spesso distratti, talvolta critici, se non addirittura astiosi, nei confronti delle divise. Una vita da cacciatore di criminali a costo di giocarsi la famiglia e ogni giorno anche la vita stessa. Ma per Attilio Alessandri, l’agente Cobra, uno dei poliziotti più decorati e temuti della Squadra mobile romana, “non c’era niente di meglio al mondo che volessi fare”. Così si arruola in polizia al termine del liceo, per poi passare al reparto celere alla Squadra volanti e infine, nel 1982, appena ventenne, alla Squadra mobile di Roma, la sua città natale.
Ed è proprio nella Capitale, anche se ha operato pure all’estero, come quando andò in Brasile per seguire un giro di pedofilia internazionale, che ha percorso tutte le tappe della sua carriera fino al grado di Sostituto commissario coordinatore, il grado più alto accessibile ad un poliziotto non laureato. E ce lo racconta nel suo primo libro, “Agente Cobra, la mia vita da cacciatore di criminali”, pubblicato dalla casa editrice Chiarelettere. E un altro testo sarebbe già in cantiere.
Un desiderio di giustizia che per Alessandri nasce quando le Brigate Rosse, almeno quattordici persone, in via Fani a Roma trucidarono a colpi di mitra e pistole i cinque uomini, due carabinieri e tre poliziotti, della scorta di Aldo Moro, per poi rapire e uccidere l’onorevole. Era il 16 marzo 1978 e Attilio aveva 16 anni e fu in quel momento che decise che sarebbe diventato un poliziotto.
Una scelta di campo, con ben chiaro un concetto: “La polizia serve lo Stato, ma non è un qualsiasi ufficio postale”. Ci vuole passione e sacrificio, quella passione che Attilio Alessandri ha cercato, durante la sua lunga carriera, di comunicare ad altri. La “squadra Cobra”, la sua squadra, che ha fondato e guidato e che si è sciolta quando Alessandri è andato in pensione a maggio dello scorso anno dopo 42 anni di servizio, di cui 40 alla Mobile, ne è la testimonianza.
Uno “sbirro” a riposo, anche se continua a collaborare con le forze dell’ordine. Per l’agente Cobra le pantofole possono attendere.
Tanti gli arresti eccellenti nella sua carriera. Dal cassiere della mafia Pippo Calò a Massimo Carminati, “er cecato”, nel 1999 dopo il furto al caveau della Banca di Roma all’interno del Palazzo di Giustizia. Fino a quelli più recenti con l’arresto di uno dei due killer di Luca Sacchi. Tanti arresti e tanti nemici tanto che ancora oggi, nelle sue interviste in televisione o durante le presentazioni del libro, è costretto a celare il suo volto. Dal clan dei Marsigliesi, alla banda della Magliana. E pure a fronteggiare gli attacchi della cosiddetta “banda dei burini”, un’ organizzazione addestrata a livello paramilitare. Ma anche nei sequestri di persona, nelle rapine, durante gli assalti ai furgoni portavalori, alle banche e agli uffici postali, Attilio Alessandri c’era. E c’erano i suoi uomini, la squadra Cobra, appunto, operativa nella V sezione antirapina della Squadra mobile di Roma.
Alessandri che ricorda ancora quando ai tempi bui del terrorismo nel nostro Paese, negli anni di piombo, indossare una divisa significava essere un bersaglio. I due poliziotti crivellati di colpi che trovò riversi a terra, il giorno di San Valentino del 1987, in via Prati dei Papa colpiti dagli uomini del Partito comunista combattente, che faceva capo alle Brigate Rosse, dopo l’assalto ad un ufficio postale nella zona Marconi a Roma, li ricorda ancora con commozione.
E c’è questo e molto altro in questa sua prima opera letteraria che non vuole essere, come ha detto lo stesso Alessandri, “un’autocelebrazione”. Ma un racconto corale, di lui e dei suoi uomini. Della sua e della loro storia, che è poi molta della storia della criminalità nella Capitale, e non solo, degli ultimi 40 anni.
Ultimi quarant’anni nei quali il numero delle rapine è drasticamente crollato.
Merito anche dell’agente Cobra e della sua squadra? Durante la presentazione del libro in Campidoglio, la scorsa settimana, voluta fortemente da Fabrizio Santori, consigliere e capogruppo della Lega, per sottolineare il “profilo di legalità che deve emergere dalle Istituzioni”, l’ex capo della Mobile, Alberto Intini, sorride annuendo. E senza timore di smentita credo si possa affermare che i riconoscimenti, gli encomi, le parole di lode, svariate decine, e anche la medaglia d’oro al valore civile, che verrà consegnata a breve ad Attilio Alessandri sono meritati sul campo. Un campo di battaglie vinte, sulla strada, sempre dalla parte giusta. Come meritano di essere ricordati tutti gli uomini e le donne delle forze dell’ordine che hanno speso, e talvolta anche perso, la loro vita al servizio del nostro Paese. Donne e uomini a cui l’agente Cobra dedica la sua prima fatica letteraria. “Dedico questo libro agli appartenenti alla polizia di Stato e a tutti gli altri servitori delle istituzioni che hanno sacrificato la loro vita nell’adempimento dei propri doveri. A loro e ai loro famigliari il mio più profondo e intimo senso di commozione e ringraziamento”.