“Ci siamo schierati contro il bullismo. Noi americani siamo così”, annuncia il 46° Presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, in occasione della visita del collega ucraino Volodimir Zelensky alla Casa Bianca. “5000 carri armati, 800 pezzi d’artiglieria, 2 milioni di munizioni d’artiglieria, 50 sistemi contraerei”: lunga ed impressionante la lista di armi e sistemi d’arma di Biden snocciolata ai microfoni della White House.
“Abbiamo iniziato a sostenere Kiev prima ancora che i carri russi varcassero il confine” ammettendo, di fatto, che sin dal 2014 gli Stati Uniti forniscono supporto militare ed economico nell’ambito dell’ ormai infinita guerra del Donbass. Sostegno che è già costato circa 20 miliardi di dollari, cui se ne aggiungeranno presto altri 1,8.
Nessun riferimento agli accordi di Minsk. Biden tira dritto, ricordando il coraggio degli ucraini e la solidarietà di Europa ed Usa nell’accoglierne i profughi. E rammentando, a chi ne fosse dimentico, che sono cinquanta gli Stati del mondo oggi dalla parte di Zelensky contro l’Orso russo.
Se quel “ci siamo schierati contro il bullismo” fa quasi sorridere (come definire bullismo una guerra costata, dal 2014, 70 mila morti russi e quasi 30 ucraini, civili compresi?), più mesta la notizia che gli aiuti statunitensi copriranno l’intero 2023. Infatti, quella Federazione Russa che avrebbe risentito delle sanzioni e dell’isolamento internazionale, sembra rappresentare una minaccia più concreta di quanto non si creda. Tale, che il nuovo pacchetto preparato da Washington prevede 1 miliardo per la sicurezza e 800 milioni per i sistemi di difesa aerea.
Zelensky annuncia, con soddisfazione, che i missili MIM 104 Patriot destinati al suo paese saranno fondamentali per difendersi dagli attacchi russi.
Il programma made in Usa pare dunque piacere al leader giallo blu che, neanche due mesi fa, annunciava che il costo della vittoria contro Mosca sfiorava i 60 miliardi di dollari.
Non è chiaro, naturalmente, se gli 1,8 miliardi promessi riguardino solo gli Usa o gli Usa e la Nato. Certo è che, a distanza di quasi nove anni dall’inizio della crisi del Donbass, l’Ucraina ha già ricevuto una enorme quantità di armi senza tuttavia riuscire nell’intento di riconquistare i territori sotto controllo avversario.
Nel corso dell’incontro, il primo di Zelensky outdoor dal 24 febbraio 2022, non vi è stata menzione degli accordi di Minsk e delle eventuali responsabilità ucraine circa il mancato rispetto degli stessi. I due presidenti continuano a parlare dell’invasione di Mosca, senza tuttavia affrontare il tema ad oggi più caro a Mosca, Kiev e al resto del mondo che paga le conseguenze della guerra: ci sono soluzioni? Se sì, quali?
Perché le sanzioni da sole, lo abbiamo visto, sono ben poca cosa. Il regime degli Ayatollah è sanzionato dal 1979 ed è ancora lì; l’Afghanistan è isolato, preda della fame e della misera, eppure da un anno e mezzo i talebani rafforzano potere e radicamento nella società: di poche ora fa la notizia del divieto dell’istruzione primaria alle donne. Ultimo atto di una reiterata serie di violazioni degli accordi di Doha. E, incuranti dello sprezzo del mondo e della sofferenza del loro popolo, sono ancora là.
Anche Putin e Lukashenko sono ancora al loro posto anzi, Putin è ancora in Donbass e nessuno sa se e quando gli ucraini effettivamente riusciranno a riconquistare l’area nord-orientale del paese.
Nel frattempo il conflitto si fa sempre più sporco. Internet è diventato il pozzo nero di video, immagini, tweet carichi di odio e di orrore che trasformano la guerra in una una sorta di visione stile “dark web” alla portata però di qualunque utente. La Legione Georgiana, di cui vi abbiamo già parlato, lancia raccolte fondi dal profilo, promette di mostrare video di morti in cambio di like e si fa pagare dagli utenti per scegliere il nome dei nuovi blindati.
Un marketing della morte a vantaggio di realtà combattenti che riportano indietro la società di cinque secoli, all’epoca di quelle compagnie di ventura che insanguinavano l’Europa. Sì, oltre al Gruppo Wagner russo sulla linea del fronte si muovono reparti che con l’esercito ucraino ha ben poco a che spartire. E che, si spera, non siano destinatari (neanche indiretti) degli aiuti occidentali. Un errore che d’altronde abbiamo già pagato in Afghanistan, 30 anni fa, con i Mujaheddin parte dei quali finirà per rafforzare i ranghi dei signori della guerra, dei talebani e di al-Qaeda, sfruttando le stesse risorse messe a loro disposizione per sconfiggere i sovietici.
Il bullismo, quello vero, lo vedremo dopo l’eventuale sconfitta di Mosca, quando bisognerà fare i conti con un tessuto sociale lacerato, con la fame, con la mancanza di opportunità e con centinaia di mercenari smobilitati ed in cerca di nuove occupazioni.
Chissà se gli aiuti per ricostruire il paese basteranno. Trent’anni fa, sconfitti i sovietici, l’Afghanistan fu abbandonato a se stesso. Speriamo che la più vicina Ucraina sia seguita e sostenuta, più che con le armi, con quel senso di responsabilità che noi occidentali, fra le nostre mille contraddizioni, riusciamo ancora a tenere vivo.
***Foto in evidenza credits canale Telegram Zelensky