Dopo 32 giorni di conflitto il presidente ucraino Zelensky comincia a comprendere la natura dell’Occidente. Come l’Europa del 1939 non voleva morire per Danzica, così UE ed USA nel 2022 sono convinte non valga la pena morire per la Crimea e per il Donbass. O, almeno, fossero state davvero contrarie all’annessione della penisola, sarebbero andati oltre le sanzioni sin dal 2014, con un’opera di pressione diplomatica che, oggi, avrebbe forse scongiurato la guerra.
Ma gli interessi in ballo sono tanti, a partire dal rifornimento energetico. La Green economy è una fesseria, ce ne siamo resi conto dai primi giorni dell’invasione quando si parlò di riattivare le centrali a carbone da affiancare a quelle a petrolio e a gas. No, il rinnovabile non basta soprattutto in un Paese come il nostro dove i combustibili fossili sono il motore dell’economia, della mobilità, della produzione di luce. Niente nucleare come in Francia, siamo contrari anche se ogni tanto non disdegnano di acquistare l’energia prodotta con l’atomo…
Dunque, finire a gambe all’aria per l’Ucraina è impensabile. Turchi ed ungheresi lo hanno detto da subito:“La posizione dell’Ungheria è che non possiamo permettere che il prezzo della guerra sia pagato dalle famiglie ungheresi. Questo è il motivo per cui continueremo a opporci all’estensione delle sanzioni ai vettori energetici russi in tutti i forum europei, come abbiamo fatto in passato” affermava, lo scorso 25 marzo, il portavoce dell’esecutivo di Budapest, Zoltan Kovacs.
Quanto ad Ankara, la penetrazione energetica (e politica) in Libia garantisce già buone fonti di approvvigionamento energetico, mentre rinunciare alle sanzioni e porsi come mediatore aiuta sia nei rapporti con il potente vicino russo sia da un punto di vista prettamente economico.
L’Europa occidentale, invece, vive in bilico fra l’acceso sentimento anti-russo e i cosiddetti “conti della serva”, cioè i conti spicci delle rispettive economie nazionali già provate da due anni di Covid-19. Lo dimostra il fatto che Gazprom, gigante del gas russo, sin dal 27 febbraio abbia garantito una continuità nei rifornimenti al Vecchio Continente giunti, stando ai dati ANSA, a 110 miliardi di metri cubi il 10 marzo. Non è un mistero che i paesi europei ne siano i principali consumatori, così come non è un mistero che essi tremino all’avvicinarsi della data del 1° aprile. Allora, infatti, dovremmo saldare i nostri conti in rubli o Putin chiuderà i rubinetti.
Sottolineamo ancora: 110 miliardi di metri cubi, più del doppio di quanto promesso da Biden entro il 2030.
L’entusiasmo iniziale, quello che ci ha spinti a condannare duramente la guerra, si è velocemente trasformato in un pantano politico, dal quale difficilmente usciremo. E le sanzioni finanziare, che avrebbero dovuto portare la Russia sull’orlo del default, si stanno mostrando un boomerang: annunciandole, infatti, Bruxelles aveva forse pensato di affrontare il problema della dipendenza energetica come con il vaccino Sputnik, ovvero con la strana convinzione che gli europei ce l’avrebbero fatta da soli. Ma se nel campo vaccinale ci è andata bene, in quello economico ed energetico siamo davvero in ginocchio.
Zelensky se ne sta rapidamente accorgendo: compare ormai ovunque, dai parlamenti alle cerimonie del jet set, ma al di là di strette di mano virtuali e di solidarietà a parole riceve ben poco altro. Gli aiuti militari, inoltre, non hanno sortito grossi effetti: Kiev accenna alla neutralità ma ne chiede di più, Mosca ne è stata indispettita seppure, nel frattempo, sia riuscita ad ottenere il mancato ingresso dell’Ucraina nell’UE e nella NATO, palesando così le fragilità di Stati Uniti ed Europa, tanto anti-russi quanto determinati a non affrontare un conflitto su larga scala.
Non deve essere facile per il presidente ucraino svegliarsi e capire con chi ha a che fare, cioè con un “mondo libero” confuso, diviso ed impaurito da una guerra che non accenna a fermarsi. L’idea di una coalizione difensiva che comprenda anche l’Italia, poi, è assurda quanto irrealizzabile. Una sorta di “Alleanza Atlantica alternativa” così da non destare sospetti al Cremlino. Già, come se Putin fosse nato su Marte…
È probabile che Zelensky sia stato profondamente colpito dall’interventismo del Governo italiano, dall’ “animale” di Di Maio al presidente russo, al rifiuto del premier Draghi ad essere intermediario fra i contendenti. Senza contare l’aumento delle spese militari, misura già proposta da Trump nel 2017 che aveva suscitato le ire delle forze progressiste di mezzo mondo. Italia compresa.
Parliamoci chiaro: se l’Italia gode ancora di un certo prestigio internazionale lo si deve, in larga parte, all’impegno passato e presente nella NATO. Un aumento delle spese militari sarebbe dunque auspicabile, ma non certo il 2%, insufficiente considerato quanto il Bel Paese sia impegnato (ed esposto). Almeno il 4, insieme ad una revisione dei precedenti piani di riconfigurazione dell’organico delle Forze Armate.
Investimenti e capitali difficili da stanziare se, colta da acceso di interventismo, la classe politica nazionale non impara a valutare meglio le conseguenze delle sue decisioni.
Per aiutare Zelensky abbiamo già perso miliardi e non solo in campo energetico. Evitiamo ora di aderire a strani progetti che potrebbero farci finire nel baratro…
***Foto in evidenza profilo Twitter Zelensky