Yemen: Houthi lanciano l’operazione “Deterrent Balance 6”
Gli Houthi sferrano un’offensiva di ampia portata contro rilevanti obiettivi nella parte orientale e meridionale dell’Arabia Saudita. Proseguono, dunque, gli attacchi da parte della compagine ribelle sciita di Ansar Allah, giornalisticamente conosciuta come Houthi, con l’ennesimo attacco a un obiettivo non certo nuovo, l’aeroporto internazionale di Abha, ad opera di un missile tecnologicamente avanzato apparentemente di fattura non identificata. Contestualmente sono stati attaccati anche altri bersagli nei pressi della città di Khamis Mushait.
Secondo il Colonnello, Turki Bin Saleh Al-Maliki, portavoce delle Forze della coalizione a guida saudita, gli Houthi starebbero utilizzando armamenti provenienti da Teheran, dettaglio tra l’altro già ampiamente noto, in quanto la gran parte del “parco dei dispositivi bellici” dei ribelli yemeniti sono di produzione iraniana.
Nella giornata precedente, invece, droni killer accompagnati da missili balistici, hanno colpito la località portuale di Ras Tanura, dove ha sede il gigante del petrolio saudita Aramco, oltre la vicina località di Dammam, una tra le cittadine più popolate dell’Arabia Saudita. Sono state condotte anche azioni mirate con droni e razzi nelle province meridionali di ‘Asir e Jizan ed ancora ad est, nei pressi di Khobar City.
Il generale Yahya Sari, portavoce del gruppo armato Houthi, ha tuonato: “Infliggeremo al Regno Saudita azioni dolorosissime e nefaste finquando non cesserà la loro aggressione al nostro paese”.
La coalizione saudita ha reagito con veemenza sferrando diversi attacchi aerei contro obiettivi Houthi nella capitale Sanaa, nei quartieri di Al-Nahdah e Atan ed in altre zone dello Yemen controllate dai ribelli. A rivelarlo sono i media yemeniti, in particolare la TV Al-Masirah, che ha riportato di una serie di incursioni aeree dove sono rimasti feriti almeno quattro civili, tra cui due bambini.
La controffensiva saudita è stata portata in risposta agli attacchi Houthi che hanno lanciato nell’ultima settimana decine e decine di droni cosiddetti “rogue”, oltre che diversi missili balistici e da crociera verso bersagli nelle regioni a sud e ad est dell’Arabia Saudita, ma anche nella stessa capitale Riyadh. Secondo le indiscrezioni, ad essere bombardati sono stati proprio i laboratori di assemblaggio e di stoccaggio dei missili balistici e dei droni forniti agli Houthi dall’Iran.
Nei giorni scorsi, a partire dal 4 marzo, l’offensiva Houthi si è proiettata, avanzando sul fronte di Kassara, verso la città di Marib, l’ultima roccaforte controllata dalle forze lealiste, che riveste una grande importanza strategica perché sede di una delle maggiori infrastrutture petrolifere dello Yemen, e la sua conquista sarebbe un avamposto ideale per Ansar Allah, idoneo a condurre attacchi mirati verso obiettivi maggiormente rilevanti nell’entroterra saudita. In questa battaglia sono morte almeno 90 persone su entrambi i fronti.
Di contro, la caduta nelle mani dei ribelli yemeniti di un obiettivo chiave come Marib City – oltre ad altre località dell’area – avvierebbe, secondo l’ONU e la Comunità Internazionale, un esodo umanitario di massa da parte di una popolazione già ampiamente martoriata dal conflitto e letteralmente alla fame, e che, tra l’altro, già ospita nel suo territorio centinaia di migliaia di sfollati in condizioni di precarietà negli accampamenti intorno alla città.
Parallelamente all’offensiva su Marib, i ribelli hanno preso di mira con droni killer la base aerea di King Khalid, mentre un missile transfrontaliero aveva già colpito le installazioni dell’Aramco a Jedda, sul Mar Rosso.
Voci insistenti, tra l’altro non smentite, e provenienti dall’intelligence di Ansar Allah, affermano che la provincia di Marib potrebbe essere uno degli avamposti di Al-Qaeda ed un rapporto Houthi elencherebbe tutta una serie di rifugi, campi di predicazione e addestramento, riservette di armi e munizioni, strutture mediche, di questo gruppo estremista, oltre che i nominativi degli adepti di Wilayah Ma’rib, che ricoprono posizioni di rilievo nell’organigramma terrorista. Dal report dell’intelligence si evincerebbe che le operazioni militari del gruppo estremista yemenita degli Houthi ad Al-Bayda e Al-Jawf, avrebbero spinto le cellule di Al-Qaeda verso il territorio di Marib.
A distanza di cinque anni dall’inizio dell’offensiva di Ansar Allah, i ribelli yemeniti si rivelano dunque più audaci e pericolosi che mai, mettendo in seria difficoltà il governo di Riyadh.
Dal 2019 le operazioni militari definite “Deterrent Balance” e condotte fino ad oggi dagli Houthi, con l’utilizzo contemporaneo di droni killer e missili balistici di varia produzione, in cronologia possono essere riepilogate in questo modo:
– n.1, il 17/08/2019, attacco all’importante installazione petrolifera di Shaybah nella regione sud orientale dell’Arabia Saudita;
– n.2, il 14/09/2019, altri due impianti petroliferi di rilievo sono stati attaccati nella regione orientale saudita di Buqayq e Khurais;
– n.3, il 21/02/2020, ad essere attaccato è il gigante petrolifero Aramco nella regione occidentale di Yanbu;
– n.4, il 23/06/2020, un’offensiva congiunta nella capitale Riyadh ha colpito le strutture del ministero della Difesa saudita, la sua intelligence, la base aerea di King Salman ed altri obiettivi collocati nella regione meridionale, in particolare a Jizan e Najran;
– n.5, il 28/02/2021, è la volta delle città nel sud del paese saudita di Abha e Khamis Mushait , oltre ad installazioni militari nella città di Riyadh.
Come detto in precedenza, l’Arabia Saudita denuncia che negli scontri verrebbero utilizzate, da parte dello schieramento Houthi, armi tecnologicamente avanzate contrabbandate da Teheran che continuamente alimenta il conflitto fornendone anche supporto logistico. Secondo le informazioni della coalizione saudita, le armi utilizzate di recente non farebbero parte della dotazione conosciuta in possesso della compagine di Ansar Allah, e che l’Iran avrebbe per questo violato più volte l’embargo delle armi, contribuendo attivamente all’escalation militare e attentando di fatto all’equilibrio dell’area mediorientale, in particolare nei confronti del governo dello Yemen fedele al presidente Abd Rabbu Mansour Hadi, riconosciuto a livello internazionale.
Si pensi, ad esempio, che nell’attacco Houthi dello scorso 6 marzo lanciati contro la base aerea di King Khalid, nella zona meridionale saudita di ‘Asir, sono stati utilizzati droni del tipo Qasef-1 e Qasef-2K che sono riproduzioni fedeli del sistema d’arma iraniano Ababil-2. Entrambe queste varianti hanno un’autonomia di 150 Km ed il modello 2K è anche corredato della testata esplosiva He-Frag che si attiva a 20 metri sopra il bersaglio.
A confermare questa ipotesi è una seria analisi del Conflict Armament Research (Car).
Già nel 2019, durante una esibizione dei suoi armamenti inaugurata dall’ex-Presidente del Consiglio supremo Houthi, Mahdi al-Mashat, ucciso l’anno prima dalla coalizione saudita, venne rivelato il potenziale offensivo del gruppo ribelle yemenita. La disponibilità offensiva poteva contare ora sul novello missile da crociera Quds-1, sul missile balistico tattico di precisione Badir-F e sui sistemi UAV senza pilota Samad-1, Samad-3 e Qaser-2K.
Inoltre, gli Houthi possono contare sui “vecchi sistemi d’arma” come i missili balistici tattici Burkan-1 e Burkan-2H, basati sulla tecnologia Scud insieme ai razzi Badir-1 e Badir-1P. È stato presentato anche il missile Qahir-2M, evoluzione del missile di difesa aerea S-75.
L’escalation militare di questi mesi interviene, stranamente, dopo che gli Usa dell’amministrazione Biden hanno annunciato l’intenzione di riprendere gli sforzi diplomatici per il cessate il fuoco, revocando lo status di terrorista alla compagine guidata dagli Houthi e interrompendo il sostegno alle operazioni offensive lealiste saudite, proposito fortemente criticato sia da Riyadh che da Tel Aviv, secondo cui proprio le aperture all’Iran da parte del neo presidente Usa avrebbero incoraggiato Teheran e i suoi alleati ad aumentare gli attacchi contro l’Arabia Saudita.
Yemen, Houthi e l’amministrazione Biden
La decisione di Biden arriva dopo che le organizzazioni umanitarie avevano profondamente criticato le sanzioni di Donald Trump ad Ansar Allah, contestualmente all’offensiva verso le città saudite e alla loro avanzata verso la provincia di Marib che ha lasciato sul campo centinaia di vittime.
La proposta americana annunciata dal segretario di stato, Antony Blinken, si fa forte di un aiuto economico pari a 191 milioni di dollari, una somma molto inferiore agli 1,7 miliardi di dollari promessi in precedenza.
Nessuna delle due parti in contrapposizione è intenzionata a retrocedere finora, e la situazione è rimasta a lungo in una situazione di stallo, dopo che decine di migliaia di persone hanno perso la vita e portando lo Yemen sull’orlo della carestia.
Contestualmente si stanno intensificando i rapporti diplomatici tra Riyadh e Doha in seguito ai continui attacchi degli Houthi alle installazioni petrolifere nel quadrante medio orientale, soprattutto di Aramco. Il Qatar si è appena riconciliato con l’Arabia Saudita (5 gennaio scorso), dopo anni di embargo economico sostenute anche dai paesi vicini come Bahrein, Emirati ed Egitto.
Queste azioni hanno portato il prezzo del greggio oltre i 70 dollari al barile, la quotazione più alta dal 2018, ed è previsto in forte rialzo. Naturalmente le iniziative militari metterebbero in forte stress il commercio del petrolio, fatto che non riguarderebbe solo l’Arabia Saudita ed i paesi produttori della zona, ma metterebbero in serio pericolo la politica energetica mondiale.
La politica estera di Joe Biden si sta rivelando dunque in seria difficoltà anche su questo fronte e non sarà facile uscire dall’empasse che si è andato a costituire e che sta generando, oltretutto, forti tensioni anche tra gli alleati storici degli Usa.