I democratici americani, in linea con quelli europei, svelano il loro vero volto. Il neo eletto Joe Biden ha infatti deciso di rimuovere i ribelli sciiti Houthi dalla lista Usa dei gruppi terroristi, fornendo un formidabile assist alle aspirazioni espansionistiche iraniane.
L’iniziativa, a parere dell’amministrazione americana, è protesa alla necessità di mitigare uno dei peggiori disastri umanitari del mondo, dimenticando che se lo Yemen è in una situazione disastrosa da ogni punto di vista, lo si deve proprio ai ribelli sciiti foraggiati dall’Iran in funzione anti-saudita, che dal 2015 furoreggiano nel paese.
L’amministrazione Trump aveva inserito gli Houth nella lista delle organizzazioni terroristiche, dopo gli attacchi dei ribelli sciiti condotti contro infrastrutture saudite e contro obiettivi civili e il rapimento di cittadini americani.
La mossa di Biden, secondo funzionari del dipartimento Usa, non segna un cambio di opinione nei confronti degli Houthi, riconosciuti come responsabili di efferati crimini, piuttosto guarda “alle conseguenze umanitarie di questa definizione, che secondo le Nazioni Unite e le organizzazioni umanitarie avrebbe accelerato la peggiore crisi umanitaria del mondo”.
Le agenzie umanitarie, Unicef compresa, che lavorano nello Yemen hanno ovviamente accolto con favore i piani dell’amministrazione Usa, dimenticando che proprio un rapporto dell’Onu presentato alla Presidenza del Consiglio di Sicurezza il 21 gennaio 2021 fornisce ampio spazio alla notizia dell’arresto del capo di Al Qaeda nella penisola arabica, Khalid Batarfi alias Abu Miqdad al-Kindi, avvenuto nella città di Ghayda, nello Yemen, durante un’operazione in cui è stato eliminato anche il secondo in comando, Saad Atef al-Awlaqi.
Il capo dell’International rescue Committee, David Miliband, ha dichiarato che quella definizione di terroristi riferita agli Houthi non avrebbe contribuito ad affrontare il problema nel paese più povero del mondo arabo e, di fatto, avrebbe solo ostacolato la consegna degli aiuti tanto necessari agli yemeniti che vivono nelle zone controllate dagli Houthi. Milliband, atteggiandosi a “segretario dell’Onu”, ha proseguito suggerendo che per lo Yemen “i prossimi passi sono: aumentare il flusso di aiuti, negoziare un cessate il fuoco permanente e mettere in moto il processo diplomatico per arrivare a una soluzione politica sostenibile”. Cioè, sarebbe come aver fornito aiuti umanitari alla popolazione soggiogata dallo Stato Islamico in Iraq e Siria, rinforzandolo e ponendo le basi per un progetto di pace (con il Daesh…) e risolvere politicamente la questione con il Califfato, magari facendolo aderire all’Onu.
La scoperta dell’acqua calda, se non fosse che la fazione sciita ribelle in questione è ampiamente foraggiata da Teheran e che qualsiasi mossa a sostegno del governo “abusivo” di Sana’a sarebbe intesa come un segnale di debolezza in un momento storico dove l’Iran ambisce a nuovi ruoli sul palcoscenico internazionale.
A questa iniziativa già di per sé irresponsabile dei “democratici”, si aggiunge quella dello stop Usa alla vendita di armi all’Arabia Saudita che, a parere di Biden, metterebbe fine al supporto americano alle operazioni offensive di Riad.
E a Teheran si festeggia
La verve ironica si è subito fatta largo a Teheran che, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri, Saeed Khatibzadeh, ha dichiarato che “la decisione degli Stati Uniti di interrompere la vendita di armi alla coalizione a guida saudita coinvolta nel conflitto in Yemen potrebbe costituire un passo avanti per correggere gli errori del passato”.
Sulla scia del successo ottenuto in favore degli alleati Houthi, Javad Zarif, titolare del dicastero degli Esteri di Teheran, ha esortato gli Usa ad agire in fretta per rientrare nell’accordo sul nucleare iraniano. Una nuova iniziativa di legge perorata dagli oltranzisti e già approvata dal parlamento iraniano, infatti, impone al Governo di Teheran di aumentare il processo di arricchimento dell’uranio, se le sanzioni di Washington non saranno attenuate entro il 21 febbraio, come ricordato da Zarif nel corso di un’intervista al quotidiano iraniano Hamshahri.
Continuando nella sua retorica “ricattatoria”, Zarif ha espresso il timore che l’assenza di concessioni all’Iran da parte degli Usa possa far prevalere, alle elezioni presidenziali del prossimo giugno, un candidato oltranzista c�EFEFe metterebbe a repentaglio la prospettiva di un dialogo con la Casa Bianca. Il minnstro iraniano ha concluso sottolineando che “non abbiamo bisogno di tornare al tavolo negoziale, è l’America che deve trovare il biglietto per ritornarvi”.
In sintesi, l’ennesimo segnale di debolezza degli Usa e dell’Occidente in generale, che pone le condizioni di un aumento dell’atteggiamento arrogante da parte di Teheran nel campo delle trattative per un ritorno al tavolo del nucleare che, come pare, non riguarda nessuno, tranne Israele.