Cosa hanno in comune Kissinger, la Rivoluzione francese e la guerra in Ucraina?
In questo momento storico caratterizzato, com’è, da tutta una serie di eventi che sta evidenziando le grandi criticità tanto dell’Ordine Mondiale di tipo bipolare (quello in auge fino al crollo del muro di Berlino), quanto di quello unipolare, che gli ha fatto seguito fino allo scoppio del conflitto russo-ucraino (in realtà russo-statunitense) ed ora caratterizzato da un multipolarismo dai contorni difficili da definire merita prendere in considerazione quanto ha caratterizzato gli eventi che hanno fatto da sfondo a tutto quanto storicamente avvenuto ai tempi della Rivoluzione Francese: strano, ma –come vedremo– vero.
La storia, purtroppo malamente studiata, peggio letta ed ancor meno capita, ci riserva il triste privilegio di dover rivivere ciclicamente le medesime situazioni comportanti i medesimi interrogativi e problemi del passato, tutti indistintamente affrontati compiendo ogni volta i medesimi errori per la mancata comprensione di quanto avvenuto in precedenza. Ora che cosa abbia a che fare tutto questo con la Rivoluzione Francese e, soprattutto, in che modo da questo si possa giungere ad una chiave di lettura dei fatti correnti idonea a farci prevedere il futuro che ci attende è, come drammaticamente vedremo, presto detto! La Rivoluzione Francese non fu una rivoluzione popolare (nessuna rivoluzione lo è mai stata ancorché tutte siano da sempre spacciate per tali) bensì borghese e come tale vide il coinvolgimento del popolo solo come massa di manovra utile per scardinare e rifondare il nuovo Stato sulle medesime basi dell’Ancien Regime, con l’unica differenza di veder entrare nelle stanze del potere, accanto alla nobiltà ed al clero, la grossa borghesia imprenditoriale e mercantile che fino a quel momento era sì cresciuta come forza economica, ma restando confinata nel limbo di una realtà politica che la vedeva accomunata al popolo minuto, alle masse incolte deprivate di ogni valore giuridico, dignità personale e potere decisionale.
La grossa borghesia si configurava semplicemente come un Nano Politico pur essendo un Gigante Economico. Il diritto al governo era all’epoca qualcosa che veniva inteso come derivante dalla volontà di Dio e, come tale, certificato dal clero. Eravamo in presenza di un duopolio autoreferenziale perfetto in cui il
potere religioso legittimava quello della nobiltà ed il potere nobiliare proteggeva e tutelava quello clericale di modo che chiunque avesse cercato di opporsi all’uno o all’altro sarebbe stato delegittimato dalla scomunica e dalla somministrazione di pene civili che potevano giungere fino alla incarcerazione a vita ed alla morte. La borghesia in un tale contesto nulla poteva fare per mutare lo stato di cose se non elaborare teorie miranti a dare una diversa lettura della società che privilegiasse l’uso della ragione come fonte primaria del diritto al governo. Il momento opportuno per passare all’azione giunse con la grande
crisi economica che afflisse la Francia della fine del XVIII secolo in quanto quello fu il momento in cui la miseria materiale, la vera e propria fame di pane e giustizia che affliggeva l’intero Paese rese il popolo disponibile all’azione..
Come sempre tutto parte da, come diremmo oggi, un disagio sociale vero e proprio, ampio e diffuso che attende solo di essere adeguatamente gestito per muovere le piazze all’azione: esempi recenti di tal genere li troviamo nalla cosiddetta Primavera Araba, ma pure nelle rivolte dei Gilet Gialli ed in quella più recente che ha infiammato le piazze di moltissime città francesi. Il modus operandi che porta a muovere le masse inconsapevoli lo troviamo di fatto codificato –e reso fruibile a chiunque voglia capire di cosa io stia parlando– nel testo dell’Elogio funebre di Giulio Cesare pronunciato da Marco Antonio così come ci è stato mirabilmente proposto da William Shakespeare nel suo straordinario ed immortale “Giulio Cesare”: mirabile esempio di connubio tra retorica, ambizione e sete di potere.
Nella prima fase della Rivoluzione Francese la borghesia provò a ottenere quanto desiderato senza azioni violente, ma purtroppo clero e nobiltà non furono pronti a capire la realtà delle cose: il Re cercò di
fuggire per cercare aiuto dai sovrani stranieri ed in tale modo mise la borghesia con le spalle al muro.
Da questo prese le mosse quella reazione che grazie ad abili, quanto illusi, propagandisti sfociò nella violenta rivolta popolare passata alla storia con il nome di Regime del Terrore: espressione con la quale,
come noto, ci si riferisce a quel periodo della Rivoluzione Francese in cui prevalsero le forze più radicali che per eliminare i propri nemici, ricorsero alla violenza sistematica. Fatto il lavoro sporco, i leaders di questa fase –i ben noti Robespierre, Marat, Danton ed altri– vennero messi da parte quando non addirittura eliminati fisicamente divenendo vittime di quella stessa macchina della violenza che avevano creato ed usato senza rendersi conto di essere i burattini in un gioco più grande di loro, un ‘gioco’ il cui fine
era il raggiungimento del potere e non l’emancipazione popolare.
Da questo momento in poi iniziò una lunga fase di restaurazione che alla fine condusse ad un nuovo ordine, questa volta tripartito, in cui il potere politico passò nuovamente saldamente nelle mani del solito
clero, della residuale nobiltà e, soprattutto della grossa borghesia. Ed il popolo? Quale fu il ruolo del popolo in questo nuovo assetto sociale? È presto detto: cantò la Marsigliese e venne gravato dell’obbligo della
militanza nell’esercito in quanto promosso al rango di ‘cittadino’ e, per tale via, investito del nuovo ruolo di difensore di uno Stato e dei suoi sacri confini in cui continuava a non contare nulla. La storia delle rivoluzioni è stata più o meno questa ovunque ed in ogni epoca, ma di questo nei testi di storia in uso nelle scuole di tutto il mondo non si parla affatto. Difficilmente, in caso contrario, sarebbe possibile a qualsivoglia Governo, da qualsivoglia ideologia generato ed ispirato, motivare intere popolazioni a combattere in guerre che sono state, sono e, a quanto pare, sempre saranno il frutto della mancata risoluzione delle controversie geostrategiche dei potentati economici dominanti.
In questo senso l’epoca in cui stiamo vivendo rappresenta una fase storica in cui Paesi come la Cina e l’India si sono venuti a trovare nella medesima posizione della grossa borghesia francese alla fine del
‘700, ossia nella posizione –particolarmente evidente nel caso di una Cina che assurta nel frattempo al rango di “fabbrica del mondo” da anni legittimamente aspira a far parte della casta dominante planetaria– di chi, pur detenendo un vero potenziale economico, continua a non contare nulla sul piano politico globale. Per questa via, a maggior ragione, anche il contenzioso statunitense con la Russia post sovietica dell’era putiniana, caratterizzato dall’aspirazione di Mosca ad un rapporto paritetico con gli Stati Uniti
in ambito NATO, richiama non poco alla mente il desiderio della grossa borghesia francese allorché questa bussò con poco successo alle porte delle stanze del potere saldamente controllate, almeno in
apparenza, dal clero e dalla nobiltà.
Per quanto la pretesa del Cremlino, a ben guardare, possa essere meglio apparentata ad una visione alla Talleyrand, ossia di colui che alla fine delle guerre napoleoniche, restaurata che fu in Francia la monarchia, ebbe buon gioco nel vedere accolta dalle Potenze vincitrici di Napoleone la richiesta di accreditamento tra queste ultime della stessa Francia: un accoglimento quanto mai opportuno in quanto legittimante lo status quo ante di stampo assolutistico, allo stesso modo in cui l’accettazione della Federazione Russa nella NATO
avrebbe non solo rafforzato il ruolo del Patto Atlantico, ma pure riconfermata l’assoluta legittimità del duopolio geopolitico come modello insostituibile della governance globale.
Purtroppo a digiuno di storia non sono solo le persone comuni, ma pure le leadership politiche. Alla crisi attuale siamo così giunti per quella conclamata miopia di Washington che un attento osservatore come Henry Kissinger ha più volte stigmatizzato allorché è apparso sempre più evidente che le pregiudiziali ideologiche statunitensi –e certi deliri di onnipotenza di taluni inquilini della Casa Bianca– hanno impedito in primo luogo proprio che, con l’accoglienza delle aspirazioni moscovite, si ricompattasse il duopolio egemonico planetario di Russia e Stati Uniti: un duopolio che avrebbe consentito di tenere fuori dalle stanze del potere globale la Cina, l’India e quanti a vario titolo hanno via via espresso a gran voce il desiderio di vedersi riconosciuto un ruolo nel Nuovo Ordine Mondiale grazie al peso economico raggiunto in quel contesto globalizzato paradossalmente fortemente voluto, in primo luogo, proprio dagli Stati Uniti
La guerra in Ucraina, in un tale contesto, rappresenta il frutto di un altro clamoroso errore degli Stati Uniti in quanto proprio questo conflitto ha deprivato in primo luogo proprio Washington della possibilità concreta di perpetuare il proprio ruolo geopolitico pregresso avendo sospinto Mosca nelle braccia di Pechino, dato a Pechino spazio e visibilità diplomatica inimmaginabili al di fuori di un tale contesto, lasciato intravedere a Paesi come l’India la possibilità di entrare in campo rivendicando un proprio ruolo non più solo regionalistico, nonché spinto altri Paesi (Arabia Saudita, Turchia, AEU…) a pensare anche loro di poter contare qualcosa per il ruolo loro ascritto ora dalla Cina, ora dalla Russia e perfino dall’India, in quel quadro di alleanze utili a Mosca, Washington e Pechino per giocare, o almeno provare a giocare la loro partita per il potere.
Non c’è che dire: un fallimento diplomatico e strategico del genere non si vedeva da molto tempo e la cosa non lascia ben sperare sul futuro dell’intero Occidente se alla guida del Paese leader continueremo ad avere i soliti Bush , Obama, Trump ed ora Biden. Allo stato attuale, azzerata l’Unione Europea, messa fuori campo la Russia ed in qualche modo congelata (per quanto tempo non è dato sapere) la posizione indiana nel ruolo (condiviso con il Pakistan) del cuscinetto geopolitico tra la Cina e gli USA, ecco che compare
all’orizzonte la nuova azione diplomatica di Henry Kissinger che a mio avviso punta a far comprendere a Pechino e Washington che il loro contenzioso mina alla base per entrambi la possibilità di attuare il
proprio progetto geopolitico, la cui realizzazione necessità di una cooperazione stretta e duratura.
Come andrà a finire non lo può dire nessuno.
La partita è appena iniziata, ma qualora andasse in porto il piano collaborativo sicuramente caldeggiato da H. Kissinger, a breve potremmo assistere alla riedificazione di un Nuovo Ordine Mondiale improntato al vecchio bipolarismo anche se, questa volta, centrato su un duopolio Cino-Statunitense, congelate che siano, come di fatto sono, le aspirazioni europee, russe ed in parte indiane. Di queste cose ho scritto molto tempo fa, correva l’anno 2021. A quel tempo parlai della possibilità della nascita di un potenziale Asse Washington-Pechino, una sorta di novello Patto Molotov-Ribbentrop che, qualora fosse andato a buon fine, avrebbe concesso tempi ristrettì di risposta a Mosca ed alla UE che per certi versi, soprattutto la UE,
continuarono come se nulla fosse per la propria strada: diverso il discorso per Mosca che già all’epoca era intenta a preparare la propria mossa strategica.
All’epoca Biden, neoeletto presidente USA, aveva prontamente iniziato a formare la propria squadra di Governo che vedeva da subito ben piazzato il colosso finanziario Blackrock con ben tre suoi ex dirigenti nei ruoli chiave di capo economista, direttore dei consiglieri economici e vice segretario al Tesoro.
Il nuovo segretario di Stato, Blinken, era persona già all’epoca nota per essersi arricchito grazie a consulenze per Facebook, per il fondo statunitense Blackstone e per la banca d’affari francese Lazard e non
sarebbe stato difficile capire fin da subito quale fosse il progetto politico e geopolitico di Biden se solo qualcuno si fosse preso la briga di considerare di cosa si occupano Blackrock, Blackstone, Lazard
trattandosi di strutture che a vario titolo già all’epoca prestavano soldi al mondo, vendevano vaccini e controllavano l’informazione.
Di fatto la globalizzazione con Biden non correva rischi per evidenti ragioni lobbistiche di fronte alle quali credo sia inutile scandalizzarsi. Negli Stati Uniti, infatti, il lobbismo non è un mistero ma la prassi: una prassi nota ed ampiamente documentata. Anche lo scontro Biden- Trump è stato ed ancora è lo scontro fra due visioni lobbistiche del ruolo degli States nel mondo: quella tradizionalmente imperialista interventista (Biden) e quella imperiale (Trump), che per noi europei non cambiano di una virgola il rapporto di sudditanza se non su di un aspetto : se la visione imperiale presuppone che i feudi (noi) paghino profumatamente per essere …. “difesi”, quella imperialista attuale non muta di una virgola lo stato delle cose per tutta una serie di ragioni evidenti di per sé a partire dalle problematiche correlate al debito
americano.
Una forma di sudditanza attiva che Donald Trump, l’amato Trump dei populisti nostrani che si sono miopemente illusi per anni fosse una sorta di liberatore, ha perseguito –giustamente pensando agli interessi del proprio Paese a differenza di quanto fatto dalla Commissione Europea e da diverse Cancellerie nostrane con in testa quella italiana– in ogni modo, stimolando le destre populiste nazionaliste del Vecchio
Continente a premere sui governi locali per contrastare qualsiasi integrazione non bancaria all’interno della UE che potesse rendere la UE stessa una potenza geopoliticamente forte ed autonoma tanto sul
piano politico ed economico, quanto su quello militare e diplomatico in quanto accreditabile da subito tra le Grandi Potenze grazie all’arsenale nucleare francese ed al seggio permanente di Parigi , con diritto di veto, nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Detto per inciso, ma questa è un’altra storia, è dal desiderio di evitare
qualcosa del genere che è scaturito il sostegno a tutto campo di Trump
alla Brexit, visto che questa, oltre a creare problemi di stabilità alla
UE rallentandone qualsiasi possibile evoluzione in senso federale, ha
reso da subito indisponibile a dei potenziali Stati Uniti d’Europa il
proprio arsenale nucleare e, ciò che più conta, le proprie basi di
appoggio nel Commonwealth: quelle stesse basi cui ora sembra
puntare discretamente Washington approfittando della scarsa
attenzione britannica e non solo (ma questa è un’altra storia che merita
un ampio approfondimento).
Comunque sia merita in questa sede, per meglio inquadrare il clima
che a Washington ha fatto da corollario al recente viaggio di H.
Kissinger, la reazione cinese all’assalto di Capitol Hill, il suo
sottolineare come una azione di “contenimento” decisa e meno
liberale sia talvolta essenziale per salvaguardare la “democrazia”:
dichiarazioni che la dicevano lunga sull’appoggio, ovviamente
interessato, alla filosofia di Biden.
Un appoggio che non poteva in alcun modo prescindere dal fatto che
Trump non aveva fatto mistero di puntare ad una nuova Guerra
Fredda, questa volta con Pechino e non con Mosca, una Guerra Fredda
il cui paventamento, nei suoi disattesi auspici, avrebbe dovuto indurre
le aziende statunitensi basate in Cina, ma non solo quelle, a rientrare a
casa, cioè a dare vita ad un generalizzato processo di rientro
significativo da una globalizzazione che di fatto ha penalizzato tutto
l’Occidente ed avvantaggiato, a conti fatti, solo l’India e la Repubblica
Popolare Cinese.
Lo scenario che si profilava all’orizzonte in quel lontano 2021 era
quello di un duopolio globalista USA-Cina , un asse non dichiarato
Washington-Pechino, cui l’Europa avrebbe potuto e dovuto rispondere
in tempi brevi creandone uno con Mosca, se non altro per equilibrare i
rapporti di forza: peccato che per realizzare questo sarebbe stato
necessario passare in tempi brevi ad una struttura fortemente integrata
della UE quantunque supportata dal fattivo impegno franco-tedesco:
un impegno il cui disinnesco, per ovvie ragioni, ha determinato
l’inaspettato, di lì a poco, cambio di rotta di Washington in attesa di
tempi migliori che, a quanto pare sembrerebbero essere giunti.