Vladimir’s War, dalla crisi Ucraina al Venezuela. “Mentre Vladimir Putin distrugge il popolo ucraino, minacciando l’Europa ed il resto del mondo, contemporaneamente la Russia detiene armi e tecnologie militari anche in America Latina, in particolare in Venezuela. Gli obiettivi di Mosca sono facilmente evidenti. Nel frattempo accade anche che, mentre il popolo del Venezuela continua ad annegare nella sua disperazione, data la privazione della sua libertà, tra un regime che li uccide ed un governo provvisorio corrotto e mediocre, e sempre confidando nel paese (gli Usa) dove l’ideale di libertà ne è la sua massima espressione, quegli Stati Uniti d’America oggi siedano al tavolo negoziale con il tiranno che li sta uccidendo”. Si presenta così, Johan Obdola, venezuelano di nascita e di fede patriottica indiscussa. Obdola, fondatore e presidente del gruppo IOSI.Global (International Organisation for Security and Intelligence) e Board Member del Global Diplomatic Forum, ci offre la sua riflessione critica e complessiva degli ultimi accadimenti.
Molti concordano nel ritenere che l’aggressione della Russia di Vladimir Putin all’Ucraina, stia diventando una minaccia non solo per l’Europa, ma per il mondo intero. Lei crede che la degenerazione della situazione europea possa estendersi oltre i confini dell’Oceano Atlantico e contaminare anche i paesi dell’America Latina?
“Ne ho un triste presagio. Io credo che Vladimir Putin abbia lanciato un tetro e quasi subliminale avvertimento: ‘Porterò questo conflitto in Venezuela e a Cuba, e genererò una crisi peggiore della crisi dei missili (Cuba, ottobre 1962)’. Il presidente russo non credo menta, né esageri. Almeno nel caso del Venezuela, dove la Russia ha dislocato armi e altre tecnologie militari ormai da diversi anni. Inoltre, ci sono gli iraniani che vanno a braccetto con i militari russi. L’Iran non solo ha stabilito piattaforme di lancio di missili a medio raggio in Venezuela, insieme alla Russia, ma, come indicano molti rapporti di intelligence di diversi paesi, sta anche mettendo a punto ordigni proibiti e radioattivi. Il Venezuela ha infatti importanti depositi di uranio nel suo territorio. In pratica Russia e Iran insieme hanno man mano preso il controllo del territorio venezuelano, gentilmente ceduto da un genocida e narco-terrorista – il presidente chavista Nicolás Maduro – per essere eventualmente utilizzato come centro logistico e di attacco contro gli Stati Uniti d’America”.
Pare che questa situazione sia diventata fonte di preoccupazione anche per i paesi limitrofi al Venezuela. Cosa ci può dire al riguardo?
“Sì, è così. Ad esempio la Colombia ne è una testimonianza. Infatti, pochi giorni dopo la minaccia di Vladimir Putin, all’ambasciatore russo in Colombia gli è stato richiesto di riferire alle autorità di Bogotà sulle eventuali intenzioni di Mosca. Il presidente colombiano, Iván Duque, ha ricevuto dal diplomatico di Mosca ampie rassicurazioni che le armi russe in Venezuela non sarebbero state usate per attaccare la Colombia. I dubbi comunque permangono visto che negli ultimi due anni, voli di aerei militari russi sono stati registrati in territorio colombiano, generando inevitabilmente una forte tensione internazionale. Dal Venezuela, poi, gli aerei russi volano in Nicaragua, dove la Russia ha una sofisticata struttura di intelligence per la guerra elettronica”.
Dopo 10 giorni dall’inizio della guerra in Ucraina, c’è stato un forte impatto diretto sui prezzi del carburante in tutto il mondo, con un effetto sull’economia ancora da sentire. È questa una ragione sufficiente che porterebbe gli Stati Uniti a calmierare i vecchi rancori con il regime chavista venezuelano?
“Ciò che mi preoccupa di più in questo particolare frangente è il fatto che l’amministrazione del presidente Biden abbia inviato una delegazione di funzionari in Venezuela per cercare un’alternativa sicura alla fornitura di carburante agli Stati Uniti. Secondo i primi rapporti della Casa Bianca, si sta discutendo di questa fornitura e anche del rilascio di alcuni cittadini americani. Gustavo Cardenas e altri cinque dirigenti della Citgo con sede a Houston, una sussidiaria del colosso petrolifero statale venezuelano (PDVSA), sono infatti detenuti in Venezuela dal 2017. Come contropartita Maduro avrebbe chiesto agli Stati Uniti d’America di cancellare le sanzioni contro il regime di Caracas, più altri benefici. Queste concessioni non faranno altro che rafforzare il regime di Maduro, diventando così una grave minaccia, non solo per la sicurezza di Washington, ma per tutto l’emisfero latino americano. Nicolás Maduro non è un uomo intelligente, è un burattino nelle mani di Russia, Iran, Cuba e Cina. Questi paesi sono quelli che decidono ciò che Maduro farà o deciderà. È in questi paesi, inoltre, che sono custoditi l’oro e centinaia di miliardi di dollari delle casse dello stato, tutti introiti provenienti dallo sfruttamento incontrollato dei minerali e risorse energetiche strategiche rubate alla nazione. È “la leggenda di El Dorado” che si avvera per questi “rapaci” senza scrupoli. Essi sono protetti dalla nube di corruzione che offusca il Venezuela, e che la rivoluzione chavista-madurista alimenta”.
… quindi il fatto di sedersi al tavolo negoziale con Maduro …
“È una grande assurdità, non c’è da fidarsi di Nicolás Maduro! Al tavolo negoziale con gli Usa, il chavista avrebbe detto ai funzionari di Washington che promuoverà, come segno di distensione, il dialogo tra l’Ucraina e la Russia del suo amico Putin. Ma gli americani non sanno che prima del loro arrivo in Venezuela il tiranno chavista minacciava l’invio di truppe di Caracas per sostenere Putin nella sua guerra contro l’Ucraina. Quasi ci dimentichiamo che mentre Nicolás Maduro viene perseguito dalla giustizia americana, con l’accusa di traffico di droga, riciclaggio di denaro, insieme a molti altri suoi funzionari e capi di governo, un numero considerevole di militari e disertori dell’intelligence venezuelana si trova ora negli Stati Uniti, collaborando e fornendo preziose informazioni sulle attività narco-terroristiche e corrotte del regime chavista, in cambio di protezione. I venezuelani hanno perso ogni speranza di giustizia e libertà, e gli Usa una grossa opportunità di imprigionare un tiranno”.
In Venezuela il regime sarebbe fortemente colluso con le organizzazioni terroristiche più note al mondo. Quali le implicazioni?
“Il Venezuela è un paese che apparentemente la comunità internazionale non conosce in profondità. È un riflesso del peggio che si possa pensare di un paese corrotto. Maduro non solo è incoraggiato, ma è un partner strategico di gruppi terroristici, trafficanti di droga e criminali transnazionali. Hezbollah, FARC, ELN, Quds, gruppi di estrema sinistra, e in breve, quanta più “spazzatura terrorista e corrotta” esista sul pianeta, ha un posto in Venezuela”.
Per tornare all’Ucraina, secondo lei, data la crisi in Europa, cosa ha convinto Vladimir Putin a presumere che fosse giunto il momento di una manovra militare sul campo?
“Ritengo che il presidente russo abbia trovato nella pandemia un momento di fragilità e divisioni nel mondo. Inoltre ha intuito, secondo il mio punto di vista, le debolezze dell’Occidente in un momento in cui la democrazia è in crisi, e sotto attacco da elementi illiberali e antidemocratici, sia a sinistra che a destra. Date queste premesse, Vladimir Putin ha creduto che proiettando un’azione militare rapida e forte, forse questo gli avrebbe permesso di controllare non solo la Crimea, ma tutta l’Ucraina, mostrando i denti anche agli altri paesi di confine che non fanno ancora parte dell’Unione Europea. Però, a quanto pare, non ha fatto i conti con la generosa resistenza delle forze dell’Ucraina e il forte sentimento di patria del suo popolo”.
Ragionando sul piano militare e strategico, Lei pensa che le mosse di Putin fossero ampiamente prevedibili?
“Le azioni di Mosca sembrerebbero non aver presentato un elemento di novità rispetto alla strategia militare classica. Mi spiego: l’avanzare verso il centro del paese, arrivare vicino alla capitale Kiev, mantenere costanti attacchi alle principali città ucraine, generare un numero indeterminato di morti tra la popolazione civile, catturare le sue principali fonti energetiche – in questo caso gli impianti nucleari – e le sue infrastrutture critiche, oltre ad attuare un piano generale di distruzione assoluta, generando al contempo uno stato di panico diffuso (così anche in Europa), sono elementi tipici ben noti agli strateghi con le stellette. Certamente Putin non si aspettava una reazione così decisa del presidente ucraino, Volodymyr Zelenskyy, che lentamente si sta affermando nell’Olimpo dei nuovi eroi delle nazioni libere del mondo, secondo il pensiero comune”.
Quali scenari è lecito pensare che si aprano a questo punto?
“La ribattezzata “guerra di Vladimir” ha, e potrebbe avere, molte interpretazioni e si potrebbero delineare diversi scenari di come finirà. Primo tra tutti quello di una guerra breve (ormai si è già dilungata abbastanza), dove Putin otterrebbe metà dell’Ucraina e la Crimea. Come secondo scenario potrebbe affermarsi un’escalation di azioni militari da parte dell’esercito russo contro altri territori dell’Europa e dell’Alleanza Atlantica. Il che comporterebbe una risposta frontale da parte della Nato e di altri paesi, con una guerra a lungo termine e innumerevoli perdite di vite umane. Nel peggiore dei casi, si presentererbbe minacciosa l’ombra di una deflagrazione nucleare, con risultati inimmaginabili per tutti”.
I paesi occidentali hanno risposto in modo apparentemente compatto, con l’emissione di pesanti sanzioni, forse micidiali per qualunque stato belligerante. Inoltre, le conseguenze di una guerra fratricida, e per il fatto di avere quasi tutto il mondo contro, tutto ciò sta avendo un considerevole effetto di risonanza nella società russa. Cosa ne pensa?
“Vladimir Putin sa perfettamente che i suoi nemici sono anche a Mosca. Ci sono molte persone, nervose e arrabbiate all’interno delle elite militari, dell’intelligence e dell’economia, a causa della “guerra di Vladimir”. Questa guerra è andata fin troppo avanti. E Putin non solo sta mandando in bancarotta il suo paese economicamente, ma le implicazioni nella società russa devono ancora manifestarsi pienamente. Il popolo russo nelle strade sta perdendo la fiducia nel loro presidente e gridano che questa non è una guerra della Russia, ma un suo capriccio che risale ai tempi di Berlino, quando Vladimir Putin era ancora un giovane ed “effervescente” funzionario dell’intelligence. Putin deve porre attenzione anche al suo popolo. In ogni caso, i russi sanno che questa è ‘la guerra di Vladimir’”.
Si va dunque verso un nuovo ordine mondiale, dove l’economia vale più della sicurezza globale?
“Questo dipenderà da come Vladimir Putin muoverà le sue pedine, e di come risponderanno la NATO e i suoi alleati (Stati Uniti, Canada e Giappone). In ogni caso, e dati i due scenari descritti in precedenza, la “guerra di Vladimir” ha comunque generato delle adesioni da parte di alcuni paesi, oltre naturalmente il pieno sostegno della Cina. Si tratta peraltro di adesioni di basso profilo, date le generali insicurezze geopolitiche e diplomatiche di alcuni di questi stati. India, Brasile e Argentina, ad esempio, sono solo alcuni dei paesi che si sono astenuti o hanno votato contro qualsiasi sanzione nei confronti della Russia – motivandone la decisione a causa di precedenti impegni economici. Questi paesi “pro-Putin”, ritengono che la pandemia da Covid-19 e le manifestazioni di protesta nel mondo – che chiedono un’evoluzione dei sistemi di governo e di leadership politica – abbiano indebolito le istituzioni e i governi nazionali, così come le discussioni multilaterali hanno indebolito l’Unione Europea. Gli Stati Uniti, di contro, hanno le loro problematiche interne, generate sia dall’assenza di un percorso deciso verso il rafforzamento di quel potere mondiale quasi smarrito, sia dal tentativo di impedire che il populismo e la sinistra continuino a silurare il governo e la nazione. Quindi è prevedibile un possibile riallineamento di alcune di queste nazioni “morbide” verso il blocco che otterrà la vittoria militare o diplomatica. Ci attendono, credo, tempi di incertezza e confusione”.