a cura di Marco Rocco
C’è stata una tripla mossa che ha lasciato di stucco il mondo diplomatico e dell’intelligence: Tillerson out, Pompeo dalla Cia al ministero degli Esteri Usa, Gina Haspel di fatto ex plenipotenziaria delle operazioni clandestine, a capo dell’Agenzia di spionaggio. Parallelamente lo spokeperson di Tillerson è stato licenziato, assieme ad un segretario personale di Trump alla Casa Bianca, sbattuto letteralmente fuori dall’edificio presidenziale.
Non c’è dubbio, se Trump voleva un suo cabinet all’inizio della Presidenza – e non fu possibile per via degli equilibri politici interni – oggi lo sta ottenendo. La mossa di oggi verrà ricordata negli annali della politica Usa.
Manca forse solo un nuovo ministro della Giustizia disposto a perseguire gli abusi emersi in questi mesi che, notate bene, non sono quelli del Russiagate per cui la Commissione Intel della Camera che ha concluso i lavori dopo oltre un anno confermando che non c’è stato alcun contatto improprio tra Russia e campagna presidenziale di Donald J. Trump. Parlo, invece, degli abusi clintoniani e di Obama, tra spionaggio abusivo sui dossier Fisa ed interessi personali a scapito dello Stato, con forse l’aggiunta di un dovuto approfondimento sugli scandali sessuali emersi negli scorsi mesi (secondo molti, la punta dell’iceberg).
Analizziamo più in dettaglio i cambiamenti avvenuti. Pompeo è un politico vicinissimo al Potus, ex militare, uomo marziale, ferreo. Aveva certamente il difetto di non intendersi di servizi segreti, infatti la nuova direttrice della Cia – definita una patriota, come tutti i membri dello staff trumpiano – sua vice fino a ieri, oltre ad essere esperta di operazioni clandestine (ossia i files più delicati in assoluto), ha decine d’anni di esperienza nell’Agenzia. Molti dubitano per altro che la stimata Mrs Haspel possa viaggiare in Europa visto che rischia una condanna per tortura da parte di organi giudiziari europei e tedeschi. Certamente Pompeo e Gina Haspel, la prima donna al comando dei servizi segreti più temuti del mondo, sono due facce della stessa medaglia. Va poi ricordato un dettaglio tutt’altro che insignificante: Pompeo ha nominato ad inizio 2017 come capocentro Cia in Iran – di stanza non si sa dove nel golfo persico – un suo uomo, Michael D’Andrea, un duro, ex direttore del contro terrorismo Cia, secondo molti il responsabile delle mezze rivoluzioni avvenute nella terra che fu dello Scià solo alcuni mesi or sono. Anche lui personaggio marziale, diretto, sanguigno, di cui non sono disponibili foto, forse anche il nome è di fantasia, ma certamente è oriundo come il suo ex capo.
Ora, va detto che Tillerson non era pro guerra in Iran, preferiva evitarla mantenendo alta la tensione in Siria contro la Russia, essendo troppo vicini i due teatri di guerra per tentare l’azzardo. Tale escamotage di fatto ha evitato fino ad oggi una deflagrazione del conflitto contro il regime degli ayatollah. Il motivo è presto detto: Tillerson, da bravo uomo Exxon, non voleva mettere a repentaglio uno degli assets più ricchi della sua ex compagnia, i giacimenti al largo di Doha oltre al gassificatore LNG nell‘Emirato del Qatar, il più grande del mondo. Comprensibile non volesse la guerra. Ma da oggi Tillerson non è più della partita.
Peccato che dopo il misfatto della nave di Saipem, costretta alla fuga da Cipro a forza di minacce turche, Exxon ha annunciato che entro qualche mese perforerà lei stessa gli spazi vicinali ai giacimenti di Eni, scortata dalla marina americana. Un cambio di registro.
L’altra cosa che non si dice pubblicamente è che Tillerson aveva un compito preciso al ministero degli Esteri: bonificarlo dai clintoniani, infatti ha licenziato circa il 60% dello staff. Ora lascia, ma il Ministero è abbastanza “pulito” (notasi che l’ambasciatore a Doha non è ancora stato nominato, e nemmeno a Ryad).
Doha sembra essere il cuore di tutto, l’anello debole della corona della fu Fondazione Clinton: nell’emirato gli Al Thani la fanno da padrone, fino a far dubitare che nei conti della banca centrale qatarina si celino i patrimoni di notabili europei, quasi certamente francesi e tedeschi, fin anche italiani, tutti legati alla scorsa presidenza Usa. Non è un caso che oggi esista di fatto un asse Parigi-Doha-Berlino per mantenere lo status quo senza guerra nè all’Iran nè a Doha, il luogo dove si suppone vengano anche riciclati i denari iraniani (i giacimenti quatarini e quelli iraniani sono precisamente gli stessi).
Or dunque, il grande cambiamento di oggi ci avvicina al redde rationem in Medio Oriente. Che non sarà, notate bene, finalizzato alla guerra tour court e nemmeno a far giustizia nell’affaire Iran, ma ad un conflitto mirato a difendere la posizione di preminenza economica di Washington sui mercati internazionali (…). Basti aggiungere che sembra pressochè certo il fatto che la Sirya in tale scenario diventerebbe oggetto secondario, ossia tale infausto epilogo iraniano corrisponderebbe con la pace con la Russia nella terra di Assad, in tale caso Mosca non interferirebbe nella guerra con gli ayatollah, se non vendendo loro un po’ di missili a prezzi da capogiro.
Il filo rosso che lega export tedesco, export cinese, sfida agli Usa da parte di Cina ed Europa franco-tedesca, assieme alla prossima crisi in Medio Oriente, inizia a far intravedere cosa dobbiamo attenderci. E non sarà bello, per nessuno. Esclusi gli Usa, che dalla loro hanno materie prime e abbondanti consumi locali e regionali, tutti gli altri difettano di uno degli addendi.
Va da se che Donald J. Trump oggi sta correndo il massimo rischio di attentato dall’inizio della sua presidenza. Dio non voglia che tale eventuale ed ipotetico attentato dovesse concretizzarsi (e magari fallire), in tale caso la situazione diverrebbe letteralmente esplosiva.