Lo scandalo USAID e l’operazione segreta di Internews Network impazza sui media, fondi pubblici e manipolazione mediatica globale. Nel 2023 è emerso uno dei più gravi scandali legati alla manipolazione dell’informazione e all’influenza delle potenze straniere sui media globali. L’USAID (United States Agency for International Development), agenzia governativa statunitense, ha finanziato una ONG segreta, l’Internews Network (IN), con un importo che sfiora i 473 milioni di dollari. Internews ha operato su scala mondiale, influenzando la produzione e la diffusione di contenuti mediatici, ma anche intervenendo in modo diretto sulle piattaforme di social media, sollevando interrogativi sul confine tra promozione della libertà di stampa e controllo dell’informazione.
Il finanziamento di Internews Network: milioni di dollari pubblici
Nel cuore dello scandalo c’è l’uso di una somma ingente di denaro pubblico, destinata alla promozione di contenuti mediatici e alla formazione di giornalisti. Secondo i dati forniti dall’USAID e da Internews Network, l’organizzazione ha ricevuto una cifra pari a 472,6 milioni di dollari, destinati a finanziare attività che hanno raggiunto oltre 778 milioni di persone in tutto il mondo. A ciò si aggiungono le 4.799 ore di trasmissioni prodotte in un anno e la formazione di oltre 9.000 giornalisti. La rete di Internews ha operato in ben 4.291 organi di informazione, consolidando la propria influenza su una vasta gamma di canali e piattaforme media.
Questi numeri sono significativi, in quanto mostrano la portata globale delle operazioni dell’IN e la sua capacità di influenzare le agende politiche e sociali attraverso i media. Nonostante l’obiettivo dichiarato di promuovere la libertà di stampa, l’operazione ha sollevato preoccupazioni in merito alla trasparenza dei processi e alla natura delle iniziative finanziate.
L’influenza sui media e la formazione dei giornalisti: uno strumento di soft power?
Uno degli obiettivi principali del finanziamento era dunque la formazione di giornalisti, una missione che, a prima vista, potrebbe sembrare legittima e utile per il rafforzamento della democrazia e della libertà di stampa. Tuttavia, è proprio su questo aspetto che le critiche si sono concentrate. Formare oltre 9.000 giornalisti in un solo anno attraverso una ONG finanziata dal governo statunitense solleva interrogativi sulla parzialità dei contenuti formativi e sul potenziale impatto sulle narrazioni mediatiche.
Nel contesto di regimi autoritari o in paesi con sistemi mediatici fragili, l’influenza dell’IN può facilmente tradursi in un cambiamento dei messaggi veicolati dai giornalisti, portando a una prevalenza di temi favorevoli agli interessi geopolitici statunitensi. La formazione, dunque, potrebbe non solo riguardare la tecnica giornalistica, ma anche l’orientamento editoriale, spingendo in una direzione politicamente orientata.
A tal proposito, alcuni osservatori sostengono che l’IN abbia svolto una funzione di “soft power”, un concetto geopolitico usato per indicare l’utilizzo della cultura, dei media e dell’informazione per esercitare una forma di influenza meno esplicita ma altrettanto potente rispetto alla diplomazia tradizionale o all’uso della forza. Il finanziamento e la formazione giornalistica, quindi, potrebbero diventare strumenti indiretti per veicolare e consolidare gli interessi degli Stati Uniti a livello internazionale.
Interventi sulle piattaforme digitali: censura e moderazione dei contenuti
Oltre alla formazione dei giornalisti e alla produzione di contenuti televisivi e radiofonici, Internews Network ha avuto un ruolo decisivo nell’influenzare le stesse piattaforme digitali, compiendo interventi su social media e altre forme di comunicazione online. La censura o la moderazione dei contenuti sui social network è una delle questioni più controverse sollevate dalle indagini.
Secondo quanto riportato da fonti internazionali come The Guardian e Reuters, Internews Network ha sostenuto iniziative di censura per limitare la diffusione di informazioni ritenute dannose per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti. Le azioni di moderazione includono l’eliminazione di contenuti online considerati disinformazione o incitamento alla violenza, ma anche il blocco di profili e post che potrebbero contraddire l’agenda politica statunitense.
L’influenza di Internews su queste pratiche di censura solleva gravi preoccupazioni sul futuro della libertà di espressione sui social media. Non solo si teme che queste operazioni possano essere utilizzate per limitare la diversità delle opinioni, ma c’è anche il rischio che vengano applicate in modo arbitrario, limitando il dibattito pubblico e manipolando il flusso di informazioni online. La connessione tra un’agenzia governativa come l’USAID e attività di moderazione sui social porta con sé rischi di politicizzazione delle piattaforme, che potrebbero diventare strumenti per sostenere politiche di governo piuttosto che rispettare i principi di neutralità e pluralismo.
Le reazioni internazionali e le critiche
Lo scandalo ha suscitato ovviamente reazioni in tutto il mondo, con critiche da parte di esperti di libertà di stampa e difensori dei diritti umani. Diverse organizzazioni internazionali, come Reporters Without Borders (RSF), hanno espresso preoccupazioni circa il potenziale impatto di queste operazioni sull’indipendenza dei media. Secondo RSF, l’uso di fondi pubblici per sostenere iniziative che vanno a manipolare l’informazione in altri paesi può avere un effetto devastante sull’autonomia dei giornalisti locali e sulla credibilità delle notizie.
Inoltre, gli attivisti per i diritti civili hanno denunciato il pericolo che l’operazione di censura e moderazione dei contenuti possa sfociare in un controllo autoritario delle opinioni online, limitando la possibilità di espressione per milioni di persone. Il rischio è che l’influenza statunitense sui media diventi sempre più simile a un’operazione di propaganda, con una forma di controllo capillare delle informazioni distribuite a livello globale.
Urge maggiore trasparenza?
Il caso USAID-Internews Network rappresenta infine un campanello d’allarme per le democrazie moderne, che devono trovare un equilibrio tra la promozione della libertà di stampa e la difesa della pluralità dei media. Se da un lato l’intervento nelle aree vulnerabili a regimi autoritari potrebbe sembrare positivo per il rafforzamento delle libertà fondamentali, dall’altro il rischio di strumentalizzare l’informazione per obiettivi geopolitici diventa concreto. In questo contesto, la trasparenza nell’uso dei fondi pubblici e la salvaguardia dell’indipendenza dei media sono essenziali per evitare che operazioni di “soft power” si trasformino in forme sottili di controllo.
Le implicazioni di questo scandalo sono enormi, e il futuro delle politiche di supporto ai media da parte dei governi occidentali dovrà essere rivalutato, per garantire che il diritto alla libera informazione non venga compromesso in nome di obiettivi strategici. La comunità internazionale ha il dovere di vigilare su questi processi, assicurando che il diritto all’informazione rimanga al di fuori delle mani dei potenti di turno.