Dallas è ancora una volta per gli Stati Uniti crocevia della storia e insieme catalizzatore di conflitti. Con la presidenza di Barack Obama, il primo presidente nero, si riteneva chiusa per sempre la questione razziale e suggellata la riconciliazione tra bianchi e neri. D’altronde, cosa più dell’elezione di un presidente nero può rappresentare l’effettiva parità di condizioni e opportunità? Eppure, gli episodi di violenza di questi ultimi anni e di questi giorni, sembrano riaprire ferite mai davvero rimarginate. Il presidente che più di ogni altro avrebbe dovuto unire l’America, rischia di lasciarla più divisa e rancorosa che mai. Molti neri rimproverano a Obama di non difendere la “sua gente”. Molti bianchi lo accusano di alimentare il risentimento dei neri e persino di legittimarne la violenza.
Il fenomeno che emerge invece inequivocabilmente dai numeri e che riguarda tutti i cittadini americani senza distinzioni di pelle, è proprio quello degli abusi e delle uccisioni ingiustificate da parte della polizia, che secondo le statistiche potrebbero essere una su quattro.
Ma l’America non è più quella degli anni ’60: le leggi segregazioniste sono un lontano ricordo. L’uguaglianza davanti alla legge è piena e anzi è stata introdotta in molti ambiti una “discriminazione positiva“: quote, sussidi e programmi pubblici volti a favorire l’integrazione e una uguaglianza anche sostanziale. La questione razziale però sembra aver cambiato pelle. Oggi ha a che fare più con l’ideologia, i risentimenti reciproci, i fantasmi del passato.
Osservando freddamente le statistiche, balza agli occhi un grave problema di violenza della polizia, ma non un problema di razzismo. Secondo dati del 2015 riportati dal Washington Post, il 26% delle vittime della polizia è di colore.
Essendo le persone di colore il 13% della popolazione americana, in proporzione si può dire che muoiono più neri per mano dei poliziotti, che non persone di altre etnie. Tuttavia, è anche vero che pur essendo il 13% della popolazione, i neri commettono il 24% di tutti i crimini violenti e quasi la stessa quantità di omicidi commessi dai bianchi. La presenza di agenti di colore nella polizia è del 12%, quindi perfettamente proporzionata alla popolazione afro-americana. Non si possono certo escludere uccisioni per motivi razziali da parte di qualche agente, ma vanno dimostrate singolarmente, caso per caso. Non si possono desumere dalle statistiche, né dalla compresenza di una vittima di colore e di un’uccisione ingiustificata.
Anziché “Black Lives Matter“, sembrerebbe più appropriato un movimento “All Lives Matter“. Le vite dei neri sembrano importare solo quando vengono tolte dai poliziotti, ha osservato l’ex sindaco di New York Rudy Giuliani, ricordando che accade 50 volte di più che una giovane vita di colore, venga spezzata da un giovane anch’esso di colore. “Quando dici le vite dei neri importano, questo è intrinsecamente razzista e anti-americano. Le vite dei neri importano. Le vite dei bianchi importano. Le vite degli asiatici importano. Le vite degli ispanici importano”.
Per otto anni Obama ha focalizzato la sua attenzione sul controllo delle armi e sulla questione razziale, sottovalutando invece il problema dell’eccessiva violenza della polizia in molti Stati. Commentando le violenze di Ferguson nel 2015, ha sposato le tesi di Blm, riconoscendo “un problema specifico che riguarda la comunità afroamericana e non le altre”, un “problema specifico” di violenza delle autorità contro i neri. Anche nel commentare gli ultimi episodi, da Varsavia, in Polonia, Obama ha, senza esitazioni, attribuito ad attitudini razziste le uccisioni in Louisiana e Minnesota (“symptomatic of a broader set of racial disparities that exist in our criminal-justice system”) senza preoccuparsi che tali fossero realmente le attitudini degli agenti coinvolti, mentre ha omesso qualsiasi riferimento al movente razzista nel caso degli agenti uccisi a Dallas, nonostante fosse dichiarato esplicitamente dall’omicida (voleva “uccidere bianchi, specialmente poliziotti bianchi”).
Un doppio standard che solleva dubbi sulla capacità di giudizio del presidente, rischia di alimentare le divisioni e allontana l’analisi dal vero problema: le uccisioni ingiustificate della polizia. Ogni volta che un afroamericano viene ucciso da un poliziotto si tratta di un caso di razzismo, mentre il tema vero di una violenza generalizzata e sempre più fuori controllo della polizia passa in secondo piano.
Difficile dire come la questione razziale impatterà sulla corsa alla Casa Bianca. Di sicuro un impatto lo avrà. Da una parte, proprio in questi giorni, il presidente Obama ha iniziato a partecipare agli eventi elettorali di Hillary Clinton, la quale ha quindi deciso di puntare forte sulla continuità. E il suo messaggio dopo i fatti di questi giorni è all’America bianca: “I bianchi devono sforzarsi di più di ascoltare quando gli afroamericani parlano delle barriere che incontrano”. Da subito Donald Trump si è presentato come il paladino dell’America bianca, interpretando la voglia di riscatto dei bianchi impoveriti che non ne possono più del “politicamente corretto”. Da decenni non si affrontavano due candidati alla Casa Bianca così agli antipodi su un tema incendiario come le divisioni razziali: una miscela esplosiva.