Il “Generale iconoclasta” e l’”architetto del futuro esercito statunitense”. Herbert Raymond McMaster è la nuova scelta di Donald Trump per la poltrona di consulente alla sicurezza nazionale. E i suoi soprannomi ben identificano lo spirito con cui McMaster ha percorso tutto il cursus honorum dell’esercito Usa. Per la stampa americana il numero uno della sicurezza nazionale detiene un personale record: essere rimasto in sella nonostante abbia sfidato i vertici delle passate amministrazioni politico-militari, in particolare il suo predecessore John Mcnamara e il presidente democratico Lyndon Johnson.
Nato il 24 luglio del 1962 a Philadelphia, McMaster, che sostituirà il dimissionario Michael Flynn, allontanatosi da Washington perché accusato di aver rivelato ai russi segreti sulle prossime decisioni in merito alle sanzioni, viene dall’accademia di West Point, proprio come Dwight Eisenhower, dove si laureò nel 1984.
L’addestramento di McMaster vede il passaggio nelle unità d’elite dell’esercito Usa: l’aviotrasportata, divenuta celebre con la 101esima compagnia nella campagna di riconquista del fronte dell’Europa occidentale nei giorni del “D Day”, e i ranger, corpo che rappresenta l’eccellenza nel campo delle forze speciali.
Grazie alla sua abilità arriva in Iraq, dove conduce il Secondo Reggimento di Cavalleria Corazzata in una battaglia epica svoltasi nel febbraio 1991. In quel frangente McMaster, con i gradi di capitano agli ordini del generale Norman Schwarzkopf, guida le unità Usa. I nove carri armati americani riescono a sbaragliare 80 corazzati della Guardia Repubblicana, il corpo d’elite dell’esercito allora guidato da Saddam Hussein.
Un esempio che verrà ricordato nelle scuole militari e che ancora oggi è da manuale per i cadetti che si apprestano a conoscere le giuste manovre sul campo di battaglia. Numerose sono poi le onorificenze che vengono attribuite a McMaster nel corso della sua carriera: tra queste figura anche la stella d’argento.
Il generale è un pensatore critico. Lo si intuisce anche sentendo una delle frasi che McMaster amava ripetere ai suoi soldati di stanza in Iraq. “Ogni volta che disprezzate un iracheno state dando al nemico un vantaggio”.
Una concezione rivoluzionaria, quella dell’ex generale, che non è andata giù a tutti. Nel 1997 il suo libro “Dereliction of Duty, Lyndon Johnson, Robert McNamara, The Joint Chiefs of Staff, and the Lies that Led to Vietnam” mette a fuoco un tema caro all’opinione pubblica americana: la guerra del Vietnam e le decisioni che la caratterizzarono. McMaster punta il dito contro l’amministrazione Johnson e la confusa della grana Vietcong. Per il neo-nominato alla sicurezza nazionale la campagna condotta dall’amministrazione democratica non fu in grado di gestire il problema.
Le idee di McMaster sono molto chiare in merito di investimento e riqualificazione dell’esercito Usa. “Il nostro esercito – ha detto il generale – potrebbe essere poco armato e in inferiorità numerica nella prossima guerra”. E se sugli uomini non c’è d essere ottimisti, neanche i mezzi sarebbero ottimali: “il mezzo da combattimento Bradley e i tank Abrahams sono ormai desueti, anche se – ha sottolineato McMaster in una intervista – resteranno nell’esercito per i prossimi 50-70 anni”.
McMaster si presenta come un battitore libero nella squadra di Trump e sembra allinearsi sulla politica di grandeur tanto annunciata dal miliardario newyorchese. D’altra parte tuttavia il generale non ha mai lesinato critiche ai danni dell’amministrazione. The Donald è avvertito.