L’attentato contro il candidato alla Casa Bianca, Donald Trump, altro non hanno fatto che ribadire il concetto di una polarizzazione tra i due pensieri politici attualmente dominanti a livello globale, quello di destra e sinistra. Nonostante si sprechino le teorie complottiste, peraltro casualmente sostenute dai soliti sinistrati, nessuna di loro potrebbe adattarsi al meglio a quanto accaduto, anche tenendo in debito conto che i sedicenti portatori di giustizia, libertà ed eguaglianza, non hanno la minima preparazione in materie specifiche, nel contesto, quella della sicurezza.
La dinamica del fallito attentato alla vita del Tycoon è stata già più volte raccontata dai mass media mondiali e, anche tenendo conto che i fatti narrati sono avvenuti di fronte ad una folla di 20.000 persone, non vi è dettaglio che possa essere sfuggito alle riprese di canali televisivi o a semplici telecamere dei cellulari di proprietà dei presenti.
Quindi, in breve sintesi, nel pomeriggio di ieri, sabato 13 luglio, il candidato alla presidenza Trump si è presentato, come da copione ad un raduno di sostenitori a Butler, in Pennsylvania e, salito sul palco, ha iniziato il suo discorso. Dopo pochi secondi si sono uditi distintamente almeno 8 colpi d’arma da fuoco e Trump si è protetto chinandosi e venendo quasi subito coperto dagli agenti dei Servizi segreti addetti alla sua tutela. Due colpi hanno attinto il Candidato, uno all’orecchio destro, colpito di striscio, ed il secondo alla parte destra del costato, protetto da giubbetto antiproiettile. Seppur sanguinante per la ferita riportata, Trump ha voluto salutare la folla mantenendosi ritto, con l’aiuto della scorta che, subito dopo, come da protocollo, lo ha trascinato verso il veicolo blindato che a breve sarebbe partito a folle velocità verso il vicino ospedale. Nel mentre, il bilancio delle vittime, oltre al Tycoon, saliva ad altri 2 morti, uno tra il pubblico e l’attentatore, ed un ferito grave.
Chi ha attentato alla vita di Trump
Ad attentare alla vita di Trump è stato un franco tiratore posizionato sul tetto di un edificio distante circa 120 metri dal palco “presidenziale” ed il cecchino, vestito con una tuta “da deserto”, in tutto e per tutto somigliante a quelle in dotazione all’esercito americano ed armato di fucile Ar-15 di fabbricazione statunitense, semiautomatico, ma con caratteristiche tali da poter essere modificato appunto in “automatico”. Un’arma non certo gradita ad un vero “sniper” poiché non possiede le caratteristiche funzionali di un’arma di precisione, ma letale considerando l’ampia capacità del serbatoio (fino a cento proiettili) ed alla maneggevolezza tipica delle armi d’assalto.
L’attentatore, pur essendo passate ore dai tragici eventi “dovrebbe” essere stato identificato per il 20enne Thomas Matthew Crooks, un giovane noto per le sue posizioni intransigenti verso i Repubblicani, ma di per sé incensurato, diplomato ed insospettabile. Lo stesso è stato neutralizzato dai tiratori scelti della polizia locale dopo pochi secondi, attinto alla testa da un singolo ma letale colpo. Crooks non era certo un cecchino provetto e, nel mettere in atto i suoi propositi non aveva tenuto conto di alcuni fattori essenziali, quali l’intensità del vento, la presenza di ostacoli, la certezza dell’immobilità dell’obiettivo (ricordiamo che il colpo era diretto alla nuca e solo un improvviso movimento di Trump lo ha salvato da morte certa), ma anche la sicurezza di poter reiterare il colpo con altri due, come prescritto dalla manualistica, e di assicurarsi una via di fuga. Insomma, un attentatore fai da te che, nella sua mente malata, avrebbe indossato i panni di “giustiziere”.
Ciò che, invece, ha alimentato i timori che l’autore dell’attentato non avesse agito in solitudine, un fatto tutt’ora da accertare, è il rinvenimento nella sua auto di materiale esplosivo, un particolare che farebbe pensare ad un piano ben architettato ma mal riuscito, di colpire Trump, ma anche di provocare esplosioni tra gli astanti e i soccorritori subito dopo avere adempiuto al proprio folle gesto. In relazione alla “messe” di testimonianze che hanno subito fatto il giro del mondo, quelle più rilevanti e convergenti, narrano di avere visto “una persona salire sul tetto di uno degli edifici vicini alla Convention pochi attimi prima della sparatoria, informando la polizia locale, ma rimanendo inascoltati”.
Un fatto che, se confermato, la direbbe lunga sull’impreparazione del servizio di sicurezza approntato per la giornata, un segnale inascoltato da parte degli agenti equivale a sottolinearne la superficialità nello svolgere il delicato compito di sorvegliare sull’incolumità non solo di Trump, ma anche quella degli spettatori.
La sicurezza non ha bloccato l’attentato a Trump?
Un altro punto in discussione è relativo, anche questo, all’inadeguatezza e all’impreparazione dei Servizi Segreti, che, seppur colti alla sprovvista, e ciò di per se non dovrebbe capitare, non hanno saputo coprire adeguatamente il candidato alla presidenza anche dopo il suo ferimento, lasciandolo scoperto in parti vitali e libero di salutare la folla, seppur con il rischio della presenza di altri attentatori che avrebbero potuto condurre a termine l’intento fallito da Crooks.
Inoltre, neutralizzare un tiratore che ha già esploso ben 8 colpi, ferendo il protagonista della Convention, uccidendo due astanti e ferendone un terzo, non pare certo un esempio di preparazione, ma una cocente sconfitta del protocollo di sicurezza e delle coperture fornite.