La guerra ci sta dando alla testa. L’Occidente si sveglia dopo due anni di pandemia nel bel mezzo di una crisi che sta affrontando nel mondo peggiore, forte di una propaganda degna della Pravda e di una politica ambigua che difficilmente porterà benefici.
La “legione ucraina”
Sin dai primi giorni dell’ “Operazione Speciale”, media ed opinione pubblica hanno associato la partenza dei volontari stranieri per l’Ucraina alla lotta delle Brigate internazionali in Spagna. Solo che stavolta, invece del franchismo e del fascismo, si combatte Putin…
La “Legione ucraina” ha chiamato a sé combattenti da tutto il mondo: difficile quantificarli, ma i network non mancano di proporre storie di persone che hanno lasciato tutto per andare al fronte. Storie romantiche ed eroiche, nel solco profondo della tradizione occidentale (e soprattutto italiana) di combattere le guerre altrui, condite sviolinate sul coraggio e sui valori di libertà. Se partire per l’Ucraina è stato forse relativamente facile, il vero problema potrebbe essere il rientro: in Italia, infatti, la legge proibisce l’arruolamento in milizie straniere (mercenarie o meno fa poca differenza), dunque quei ragazzi e quelle ragazze rischierebbero di pagare il prezzo della loro scelta. Perché se adesso la linea che deve passare è quella di un sostegno incondizionato a Kiev domani, a conflitto concluso, eventuali meriti ed ideali verrebbero presto dimenticati.
Zelensky la Star
Da circa un mese il presidente ucraino compare ormai ovunque: dirette dai parlamenti europei, dal Congresso USA, da spettacoli mondani per raccontare il suo paese in guerra. Ed anche per criticare un Occidente a suo avviso poco determinato a sconfiggere Putin. Da (ex) uomo di spettacolo Zelensky dovrebbe comprendere dove termina il reale interesse per una causa e dove inizia lo show vero e proprio. E invece no, continua ad apparire, chiuso nel suo softshell verde, di fronte a platee che lo ascoltano sì, ma per scaricarsi la coscienza.
Anche la decisione adottata da alcune emittenti europee di trasmettere “Servitore del Popolo”, la serie tv che lo ha reso popolare, è un’abile mossa di marketing politico: se in superficie appare quale modo per perorare la causa ucraina, sotto potrebbe semplicemente ridursi ad un far leva sull’emotività del pubblico per aumentare lo share.
Western Pravda
Negli anni della Guerra Fredda il nome del celebre quotidiano sovietico Pravda era usato come sinonimo di un apparato censorio nei confronto dei media e dell’editoria. In particolare, lo si usava per indicare quello zoccolo duro del mondo culturale di sinistra in prima linea per difendere e per tramandare i meriti del comunismo nella storia. Unione sovietica compresa.
Malgrado oggi i nostalgici dell’Urss si contino sulle dita di una mano, quell’apparato censorio è rimasto, evolvendosi in chiave europeista, atlantista ed anti-russa.
Ora essere sostenitori dell’UE e della NATO non vuol dire essere ciechi: nei talk show, nelle tribune politiche, sui giornali la posizione della stampa italiana è in forte percentuale dalla parte dell’Ucraina. E non solo per umanità. Invasione di paese sovrano, crimini di guerra, stupri e saccheggi sono ormai verità consolidate ed anche solo provare a verificarne l’attendibilità può portare all’isolamento ed alla perdita di credibilità. Dunque, se Putin chiude la bocca ai suoi giornalisti imponendo i bollettini ufficiali quali unica fonte, in Europa e negli Stati Uniti si viene screditati in diretta televisiva, attaccati dagli ospiti in studio e messi alla berlina dal conduttore.
Eppure, con tutto il doveroso rispetto per le vittime, la lezione di Racak avrebbe dovuto insegnarci qualcosa, cioè a controllare le emozioni e a cercare di appurare le responsabilità, vere e presunte.
Giornalismo di parte
In Italia ci siamo spesso stracciati le vesti contro gli “editti bulgari” in difesa della libertà di stampa. Peccato che nel nostro Paese la libertà di stampa (e la dignità del lavoro giornalistico) vengano sovente calpestati. Il pensiero unico, l’allineamento a posizioni condivise e largamente sostenute dall’opinione pubblica e dalla politica, nonché una diffusa, scarsa capacità di analisi obiettiva della realtà fanno dell’Italia l’ultima nazione ad avere il diritto di accusare gli altri di censura. D’altronde, stando ai dati raccolti da Reporter Senza Frontiere, il Paese è al 43° posto nel mondo per libertà di informazione. Prima di noi Taiwan e Corea del Sud, dopo di noi Botswana e Tonga.
La precarietà del lavoro giornalistico espone ulteriormente al pericolo di una informazione condizionata, ponendo il giornalista di fronte a due scelte: la verità o mantenere il posto.
Vi è poi il problema del diffuso pregiudizio nei confronti della categoria, cosa non da poco peraltro! Se ti allinei sei un pennivendolo, se non lo fai sei spacciato. Se sei freelance non hai speranze, se ricordi l’importanza di valutare la veridicità delle fonti… Presvyataya Bogoroditsa Kazanskaya! (Santa Madre di Kazan!) Sei un filo-russo.
Pace armata
Dopo che Joe Biden ha invocato pubblicamente un processo a Vladimir Putin per crimini di guerra, è notizia delle ultime ore che gli Stati Uniti siano arrivati a quota 1,3 miliardi di dollari di aiuti all’Ucraina, praticamente la stessa cifra stanziata per “Cyclone”, l’Operazione di cui fu artefice Charlie Wilson e volta a sostenere gli afghani contro l’Arma rossa. Vero che 100 dollari del 1987 equivalgono a 250 di oggi, dunque il cambio è un po’ diverso… vero anche che i mujhaeddeen non ricevettero il sostegno di tutta l’Europa, né mai i loro profughi riuscirono ad abbandonare gli affollatissimi campi del Pakistan alla volta delle sponde del Vecchio Continente.
Resta tuttavia il concetto del logoramento: se Washington finanzia Kiev contro Mosca è chiaro che non si aspetti (e forse non voglia) una rapida conclusione delle operazioni militari. Una guerra lunga, dunque, con la speranza che la macchina di Putin si ingolfi lungo la strada. Prospettiva che ha già tradito Obama convinto che il fronte siriano anti Assad avrebbe rovesciato in poco tempo il Presidente filo-russo. Il conflitto in Siria invece va avanti da oltre dieci anni ed Assad è sempre lì… E probabilmente la stessa cosa accadrà in Ucraina.
Il problema è che alle porte dell’Ucraina ci siamo noi. Ad ogni conflitto condotto (o sostenuto) dalla Casa Bianca, l’UE e soprattutto l’Italia hanno pagato il conto di milioni di profughi che premono alle porte dell’Unione, lasciati soli da Washington che pare non rendersi conto delle conseguenze dei suoi interventi sul lungo periodo.
Tutti vogliono la pace, parola che ad Hollywood va ormai di moda quasi quanto lo schiaffo a Chris Rock ma, nel contempo, si plaude alla resistenza ucraina, auspicando un aumento degli aiuti occidentali per respingere i russi. Respingere vuol dire combattere, non certo stringersi la mano e raggiungere una soluzione diplomatica.
Lo ribadiamo, l’Occidente ha perso la bussola e non è capace di prendere una iniziativa concreta per salvare l’Ucraina ed i propri interessi.
L’unico attore in grado – al momento – di perorare la causa diplomatica è quella fetta di membri NATO dell’Europa occidentale. I membri fondatori, insomma, già passati per la Guerra fredda e consapevoli che alla deterrenza militare va sempre affiancata un’abile azione diplomatica. Ma solo i membri fondatori europei: gli Stati Uniti, infatti, sono geograficamente troppo lontani nonché ancorati ad una visione della risoluzione dei conflitti rimasta ferma al ’45; i paesi dell’Est invece sono animati da un sentimento anti-russo tale da non poter comprendere il valore della diplomazia.
Che Dio ce la mandi buona!