Sono in corso le operazioni militari in Ucraina da parte delle forze armate russe, un evento che ha scosso l’opinione pubblica soprattutto europea che vede impegnato il vasto schieramento di media pronti a dar voce, specie nel nostro Paese, ad un esercito di politici e di esperti di Donbass, molti dei quali solo poche ore prima erano esperti di Greenpass. È la nuova Guerra Fredda? È il proseguimento dell’emergenza Covid? Se ne leggono tante di interpretazioni in quella che ormai è l’infosfera all’interno della quale viviamo.
Quel che appare certo è che non rischiamo solamente di passare l’inverno al freddo col carburante razionato ed i distacchi dell’energia elettrica, ma anche un collasso economico e finanziario che potrebbe travolgere l’Euro a beneficio del dollaro. Una prospettiva che a molti negli Usa farebbe addirittura piacere, tanto che qualcuno osa riassumere in questo modo: Biden la guerra in Europa la vuole e Putin la fa.
Gli Stati Uniti hanno la necessità di capitali per finanziare gli squilibri della loro economia: una crisi europea e dell’Euro rafforzerebbe il dollaro. Questa una delle valutazioni possibili da parte del Presidente Biden, alla quale si affianca l’interpretazione di tipo storico di molti commentatori con l’immagine di Putin, novello Zar, che aspira alla ricostruzione dell’Impero o al limite dell’Unione Sovietica 2.0.
Abbiamo quindi una realtà oggettiva e una percepita attraverso i media e gli altri canali di informazione, ricostruita ed interpretata. Nei giorni precedenti l’inizio delle operazioni militari abbiamo assistito ad una sorta di balletto tra Biden e Putin, dove il primo annunciava l’inizio dell’operazione e il secondo che replicava chiedendo se per caso fosse nota anche l’ora d’inizio. Ovviamente, quella di Biden era una strategia concordata coi servizi di intelligence: diciamo subito tutto quel che sappiamo, anticipiamo gli eventi, coinvolgiamo l’opinione pubblica emotivamente e creiamo uno stato di attenzione ma anche di tensione nella popolazione.
Vedete forse qualche analogia con la narrazione Covid19? Se esaminiamo attentamente possiamo notare qualche analogia frutto probabilmente di una strategia di condizionamento psicologico della popolazione che trova il suo sbocco propagandistico in quella che si usa definire Infowar, che si affianca alla guerra combattuta sul campo. Durante i due anni della pandemia abbiamo assistito, soprattutto da parte dei media unidirezionali come giornali e Tv, ad un bombardamento mediatico incessante, teso a limitare il senso critico delle persone e sostanzialmente prepararle a stare peggio: quante volte ci hanno detto “siamo in guerra”?
Ecco, nel mondo occidentale si è in qualche modo preparata la popolazione alla “guerra con la Russia” che in realtà fortunatamente non ci coinvolge, ma che fa gioco per polarizzare il giudizio ed indurre le persone ad accettare le conseguenze, economiche e finanziarie delle sanzioni da imporre alla Russia ed i relativi contraccolpi economici sui Paesi più esposti come l’Italia.
Da segnalare dal punto di vista della comunicazione il comportamento del Governo ucraino e del residente Volodymyr Zelens’kyj che, mentre Usa e Nato annunciavano l’imminente invasione, smentivano affermando che nel Paese tutto era tranquillo salvo poi cambiare rapidamente versione.
Strategia o superficialità clamorosa? Di certo non lo sapremo facilmente, anche perché le notizie che arrivano dal campo di battaglia sono contraddittorie, cosi che si passa dal descrivere sanguinosi combattimenti a raccontare di una sorta di scampagnata dei militari russi, mentre gli ucraini si arrendono senza combattere.
E’ la comunicazione al tempo dei social, dove non c’è più l’intermediazione dei mezzi di informazione ma tutti possono produrre notizie e diffonderle a ritmi così veloci che i media tradizionali a volte non hanno il tempo di verificare anche, perché “bucare” una notizia significa perdere clic cioè soldi.
Un caso eclatante a poche ore dall’inizio delle operazioni militari, quando un canale di News su Twitter da in inglese la notizia che in seguito ai combattimenti è stato distrutto un magazzino di scorie nucleari nella vecchia e tristemente nota centrale di Cernobyl. Pochi minuti dopo, lo stesso canale corregge la notizia dicendo che vi è stato un errore di traduzione e quindi non è avvenuta alcuna demolizione del magazzino. Nel frattempo, una grande agenzia di stampa italiana aveva diffuso la notizia senza accorgersi della successiva precisazione subendo quindi i commenti di disapprovazione di numerosi lettori che si erano già accorti della inesattezza della notizia rilanciata.
Certamente con l’avvento della comunicazione in Rete e la pervasività dei social, che hanno trasformato centinaia di milioni di persone in produttori di informazione in tempo reale, il rischio della diffusione di notizie false c’è, come è reale la presenza di siti che si dichiarano paladini del fact-checking e invece diffondono bufale su commissione. A questo proposito però mi pongo la domanda: i giornali tradizionali e le Tv, le notizie manipolate non le hanno mai servite ai loro lettori e telespettatori? Ad esempio. perché il mainstream, a proposito della crisi ucraina, non parla dei 12.000 miliziani di ispirazione neonazista che affiancano ufficialmente l’esercito ucraino dal 2014 su autorizzazione del ministero degli Interni?
Purtroppo, al di là di queste considerazioni, la realtà ci racconta drammi e sofferenze che sicuramente non risparmieranno né una parte né l’altra: ci auguriamo tutti che il buon senso prevalga e si arrivi ad un accordo di pace duratura nel rispetto di tutti.
Servirebbe per questo una UE forte politicamente e militarmente, non più germanocentrica e legata alla logica globalizzatrice e delocalizzatrice della finanza internazionale. Per questo obiettivo è necessaria l’azione di persone di alta levatura che conoscano l’arte della diplomazia, quella riservata e non quella sbandierata sui mezzi di informazione, perché come qualcuno ha ricordato in questi giorni. “la diplomazia è stata creata per risolvere situazioni di conflitto e alleviare la tensione e non per viaggi in giro per i Paesi a degustare piatti esotici ai ricevimenti di gala”.
Per quanto riguarda la comunicazione in generale e l’informazione in particolare, visto il panorama sconfortante della qualità del prodotto che viene confezionato e offerto al pubblico dai media tradizionali, mi viene da concludere che non è vero, come dicono alcuni, che è morto il giornalismo ma che è morto il mestiere del giornalista, quello svolto secondo l’etica professionale e la ricerca della verità.