Anche Ciro, dopo aver conquistato l’Asia minore si volse ad oriente e, nel 539 a.C., conquistava Babilonia nell’odierno Iraq. Ai giorni nostri la Turchia, i Balcani e i popoli in oriente, verso l’India, resisterebbero tranquillamente al nipote, Dario I, ma questo non significa che la potenza persiana sia da sottovalutare.
I persiani, seguendo le orme di Marco Polo, che lasciava la regione di Creman andando “verso tramontana” per raggiungere la “Gran Città di Cambulac”, si sono diretti con decisione, in questo ultimo decennio, verso la Cina e più in generale l’Asia.
Un anelito ricambiato, in maniera crescente nel tempo dalle potenze orientali, al punto che nemmeno l’invasione dell’Ucraina ha avuto alcun effetto sulla volontà di Cina e Russia di interrompere i colloqui, ripresi il 29 novembre 2021 a Vienna, per il Piano d’azione congiunto globale (Joint Comprehensive Plan of Action, acronimo JCPOA), comunemente noto come accordo sul nucleare iraniano.
L’accordo internazionale sull’energia nucleare in Iran, che era stato raggiunto a Vienna il 14 luglio 2015 tra l’Iran, il P5+1 (i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – Cina, Francia, Russia, Regno Unito, Stati Uniti – più la Germania) e l’Unione europea, si era interrotto nel 2018. Da allora, l’Iran ha cercato di rompere l’isolamento diplomatico e geopolitico spostandosi in Asia dal punto di vista geoeconomico. La Russia per compensare l’influenza cinese sulla Repubblica islamica ha sostenuto la candidatura iraniana consentendo l’adesione di quest’ultima all’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai (OCS).
La corsa nella OCS promuove gli obiettivi russi di proiettare l’organizzazione come una potenza eurasiatica ed è un’indicazione degli sforzi della leadership russa e cinese di creare un ordine internazionale non occidentale. In particolare, Iran e Russia sono alleati strategici e formano un’asse nel Caucaso insieme all’Armenia e sono anche alleati militari nei conflitti in Siria e Iraq e partner in Afghanistan e nell’Asia centrale post-sovietica.
Tuttavia, l’Iran pur avendo, così, mitigato gli effetti delle sanzioni economiche, per godere appieno del beneficio economico acquisito, ha bisogno di relazioni bancarie internazionali normalizzate, difficilmente raggiungibili con un sistema finanziario russo isolato dai circuiti internazionali.
L’unica via rimasta è il superamento dello stallo dei colloqui JCPOA e il ritorno al tavolo dei negoziati, benché le sanzioni imposte dall’UE e dalla Financial Action Task Force (FATF) alla luce della situazione dei diritti umani in Iran, il sostegno al terrorismo e per riciclaggio di denaro resteranno in vigore.
Richiamando l’antitesi fra concordia greca e confusione barbara, proposta con enfasi da Eschilo, non posso trascurare il contrasto evidente, ora come allora, fra i valori della comunità della polis, della democrazia di Atene, e l’autoritarismo persiano.
Sulle intenzioni pacifiche della Repubblica Islamica, pertanto, nutro qualche perplessità. Giovedì, infatti, l’AIEA ha pubblicato il suo ultimo rapporto confidenziale che, secondo i documenti trapelati dai media occidentali, ha affermato che l’Iran ha 33,2 chilogrammi di uranio arricchito al 60%, rispetto ai 17,7 kg di novembre.
Il JCPOA ha limitato i livelli di arricchimento dell’Iran al 3,67% e le sue scorte a 202,8 kg fino al 2031: un futuro molto prossimo in termini geopolitici.